Violenza nel CPR: manganellate, autolesionismo e censura – video

Mi hanno picchiato, poi sono caduto giù e sono uscito fuori di testa, ho preso la lametta e mi sono tagliato. […] siamo la stessa carne, siamo lo stesso sangue, non va bene che mi trattano come un topo.”

A parlare è una persona rinchiusa nel CPR di Gradisca. Ci dicono che per quattro giorni è stato portato avanti e indietro dall’ospedale, dove non è stato ricoverato, perché “forse hanno paura che scappa”, dice qualcuno da dentro. Ci raccontano che ha avuto mancamenti per quattro giorni di fila, ci hanno parlato delle sue condizioni con preoccupazione per giorni poi sembrava stesse meglio “fisicamente ma non mentalmente”, ma ci riferiscono che venerdì 10 luglio gli usciva sangue dalla bocca e che sia svenuto un’altra volta.

Cos’è successo?

Ci raccontano che sabato 4 luglio, verso le 9 di mattina, le forze dell’ordine sono entrate nella cella di alcuni reclusi per sequestrare gli accendini. “Come facciamo a fumare se ci tolgono gli accendini?”, chiede qualcuno. Ci dicono che molti stavano ancora dormendo, perché i pensieri impediscono di prendere sonno se non quando è già mattina.

Ci raccontano che qualcuno ha chiesto “perché?”, ma che che sono stati comunque buttati fuori in malo modo, tanto che una persona è caduta sul pavimento bagnato, e ha avuto bisogno dell’assistenza medica della struttura. Ci raccontano che altri reclusi hanno protestato per questo comportamento gridando alle persone in divisa di spiegargli il perché dell’intervento e chiedendo di non essere trattati come animali, tirati fuori dal letto e buttati fuori dalle stanze in malo modo.

Ci raccontano che in questo momento un ragazzo che protestava in difesa degli altri è stato preso di mira venendo manganellato da due poliziotti, colpito alla schiena e sulla testa, mentre altri detenuti gli dicevano di uscire nel cortile, dove sarebbe stato protetto dal fatto che ci sono le telecamere.

Ma, una volta uscito, ci raccontano che preso dallo sconforto per quell’ingiustizia subita, ha preso una lametta e si è tagliato tutto il corpo. Il video che alleghiamo riguarda un momento appena successivo a questo avvenimento.

Ci raccontano che questa persona è svenuta diverse volte ogni giorno nei quattro giorni seguenti, in una di queste occasioni all’interno del CPR gli è stata fatta una rianimazione cardiopolmonare, ed è stata portata al Pronto soccorso di Gorizia. Gli svenimenti avvenivano secondo alcuni per il sangue perso, secondo altri per le botte prese in testa, secondo altri ancora perché nei giorni successivi non mangiava più.

Ci raccontano che questa persona, una volta tornata nel CPR, è stata privata di alcune delle sue lettere di dimissione dal Pronto soccorso e ci dicono che nonostante continui a richiederle non gli vengono consegnate, e quindi non conosce i risultati delle analisi che gli sono state fatte. “L’ha presa quello mafioso che comanda noi tutti in CPR [..] stiamo morendo noi qua”, ci dicono. L’ultimo video è di ieri, a terra c’è sangue.

Immaginiamo che non verrà mai fatta chiarezza legale su questa storia, come non lo è stata fatta per la morte di Vakhtang Enukidze, pestato dalle guardie del CPR, secondo quanto raccontano i testimoni. Ma sappiamo, perché lo vediamo in questi video, che ancora una volta una persona, sotto la pressione insostenibile di un’atroce ingiustizia, si è tagliata il corpo per esprimere il proprio dolore. Sappiamo che questa persona come tutte le altre persone detenute vuole uscire, e che ha tutta la legittimità di volerlo, che si sente in gabbia “come un topo”, che crede che lì dentro a nessuno freghi se è vivo o morto, che il CPR di Gradisca “è come una Guantanamo, non un centro come gli altri”.

I CPR: una macchina fatta per poter ricattare e creare ricattabili, sulla pelle e di tante persone, che hanno avuto l’unica sfortuna di non avere il documento adatto.

L’unica soluzione è che non esistano più: che crollino le mura dei CPR! Che tutti i reclusi siano liberati!

Abbiamo coperto i volti e cambiato le voci per tutelare le persone coinvolte.

A facili domande, facili risposte. Le (non) fughe di chi (non) fugge dal CARA di Gradisca

Apprendiamo dai media locali di una serie di fughe/non fughe da parte dei richiedenti asilo “ospitati” nel CARA avvenute dal retro del campo. In un articolo dettagliato, oltre a tutte le sfumature di preoccupazione della sindaca di Gradisca, viene posta la domanda sul perché questo succeda visto che a questo punto dell’emergenza sanitaria “gli ospiti” possono regolarmente uscire come “gli autoctoni”.

Posta la domanda ai diretti interessati incontrati per strada, la risposta appare piuttosto semplice: «Andiamo al supermercato!», ci dicono. In posti come il CARA, che il vitto sia scarso (un bicchierino di latte con due biscotti a colazione, riso in bianco con un pezzo di pane a pranzo etc.) e che in passato arrivasse anche avariato, inadatto e insufficiente non è una novità, come non lo è che i richiedenti asilo cerchino da sempre di autorganizzarsi i pasti, attività spesso ostacolata durante tutte le gestioni fuori e dentro alla struttura.

Le uscite contingentate poi, una persona circa ogni 10 minuti, imposte in maniera del tutto arbitraria dall’ente gestore, determinano lunghe attese davanti al cancello per guadagnarsi l’uscita che per qualcuno spesso neppure avviene, visto che sono circa 200 le persone ad oggi ad abitare al CARA. Questo avrà sicuramente influito sulla ricerca di strade alternative.

Forse le procedure potrebbero essere più agili, ma probabilmente al governo regionale e nazionale e a chi gestisce il centro importa principalmente che le uscite siano contenute, affinché di queste persone “se ne vedano di meno in giro”, secondo quella logica perversa e quella
retorica rassicurante per cui a guadagnarci da queste misure di reclusione sarebbe la sicurezza pubblica.

Ci dispiace constatare infine che una certa propaganda politica, fatta anche attraverso i media locali, continui ad avere presa sui cittadini di Gradisca e ne fomenti le paure. Di certo questo non avviene per caso: ci sono precise responsabilità delle istituzioni e della stampa che hanno contribuito a costruire l’immaginario dell'”immigrato untore”, attraverso una narrazione più vicina al gossip che alla cronaca.

C’è chi poco tempo fa ha dichiarato a proposito dell’installazione del centro quarantena che Gradisca non si merita altri migranti, noi siamo dell’avviso che siano i migranti a non meritarsi posti come il CPR e il CARA di Gradisca, luoghi disumani di speculazione economica e politica!

Assemblea NO CPR NO FRONTIERE FVG

Nicole ed Elena dal carcere di Piacenza

Condividiamo anche noi una lettera dal carcere di Nicole ed Elena, due delle persone arrestate la settimana scorsa a Bologna in una spudorata operazione repressiva (qui il comunicato di solidarietà che avevamo scritto).

Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi liber* subito!!!


Lettera pervenuta alla Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali


Carcere di Piacenza, 15 maggio 2020

Grazie a tutti voi!

Grazie per il kit di buste e bolli!

Io (Nicole) ed Elena siamo in AS3. Siamo arrivate alle 11.30 circa del 13 Maggio, dopo un primo passaggio in una tenda posta esternamente per misurare la temperatura corporea alle nuove detenute, siamo state messe in isolamento sanitario per 15 giorni (celle singole ma adiacenti). Non possiamo accedere alla palestra e alla biblioteca, dopo che c’eravamo state per 2 giorni, causa emergenza Covid e nostro isolamento. Dopo tale misura non saremo più potenziali veicoli di infezione… dopo una nostra incazzatura ci hanno dato 4 libri e ci stanno preparando il regolamento interno (è dall’ingresso che lo chiediamo)… vedremo.

Abbiamo 2 ore d’aria al dì, da fare separatamente dalle altre sempre per emergenza Covid e quindi le facciamo assieme (con mascherina) alle 12-13 e 15-16.

Come saprete qui c’è anche Natascia che al momento riusciamo a vedere solo di striscio quando attraversiamo il corridoio, ma i suoi sorrisi sono stati e sono fondamentali. Speriamo di poterla abbracciare presto. Oggi abbiamo avuto l’interrogatorio e ci siamo avvalsi della facoltà di non rispondere. Eravamo in videoconferenza insieme a tutti gli altri.

Lunedì vedremo gli avvocati. Di ieri la notizia che dal 19 c.m. al 30/06 riprenderanno i colloqui visivi e saranno mantenuti i colloqui via Skype.

Questa operazione (che ci pare aver capito chiamata “RITROVO”?) ha quali capi di imputazione l’ormai noto 270 bis e 270 bis1 (aggravante) per 11 su 12, istigazione a delinquere tramite articoli, volantini e manifesti con l’aggravante dell’uso di strumenti informatici – Tribolo.noblogs.org e la piattaforma roundrobin.info -; danneggiamento di un Bancomat BPER nel corso di una manifestazione non autorizzata il 13/02/2019; imbrattamento e deturpamento con vernice spray su edifici a Modena e Bologna con scritte comparse dal dicembre 2018 ad oggi per tutti. Incendio, per uno degli imputati più altri allo stato da identificare, ai ponti ripetitori delle reti televisive in via Santa Liberata (Bo) nella notte tra il 15 e il 16/12/2018.

Che dire?… “la commissione dei reati – fine […] non è necessaria” (cit. pag.21 ordinanza)… forse l’ennesimo tentativo dopo Outlaw e Mangiafuoco – finite in una bolla d’aria – di chiudere la bocca a chi “odia gli sfruttatori” (cit. pag.20 ordinanza)? E cosa più importante non ne fa un mistero ma lo urla al mondo. L’ordinanza porte il timbro del 6 marzo. Ci chiediamo se questi miseri esseri senza qualità abbiano deciso di rimandare il nostro arresto al 13 Maggio per risparmiarci l’ingresso in carcere nel pieno dell’emergenza Covid19 o se lo abbiano fatto per evitare in quel periodo ulteriori presenze scomode e ribelli nelle gabbie di Stato. La risposta viene da sé. Medici e guardie, fusi in un corpo unico qui come altrove, si rivendicano la loro «scelta di vita». I medici in particolare, incalzati dalle nostre domande provocatorie sul loro ruolo durante la prima visita, hanno fieramente sostenuto di svolgere il loro lavoro per la tutela della salute delle persone in galera.

A conti fatti, visti i morti e i malati di e in carcere, non possiamo che concludere e urlargli in faccia che il loro lavoro lo fanno decisamente male nonché in completa armonia con le guardie.

Non può esistere in luoghi del genere, la tutela della salute delle persone, per ciò che questi luoghi sono e rappresentano. L’unica sicurezza è la libertà per tutte e tutti.

Volevamo ringraziare tutte quelle persone che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza con i telegrammi, tanti; forse dall’esterno sembra una sciocchezza ma qui ci hanno scaldato il cuore e lo spirito. Il nostro pensiero va, in primis, a Stefy poiché è l’unica tra noi sola nel carcere di Vigevano e a tutti i nostri amici e compagni di lotta a Ferrara e Alessandria, a quelli raggiunti da obbligo di dimora nel Comune di Bologna e alle compagne e ai compagni fuori che continnuano a lottare insieme a noi.

Nicole e Elena

NEI SUPERMERCATI DELLA CITTÀ SOLIDARIETÀ AI BRACCIANTI IN SCIOPERO!

Oggi, in solidarietà ai braccianti agricoli in sciopero (qui il comunicato) contro ogni sfruttamento, contro il vincolo del permesso di soggiorno con il contratto di lavoro, contro le frontiere ed i CPR e per un modo solidale e senza migrazioni forzate sono comparsi bigliettini nelle cassette della frutta di molti supermercati di Trieste ed Udine e sono stati distribuiti volantini in Italiano ed in inglese.

Le lotte dei braccianti sfruttati, come quelle dei detenuti nei CPR, sono lotte per la libertà di tutte e tutti. Infatti, un mondo dove esistono i CPR, dove le verdure sono prodotte e raccolte con il sangue di persone sfruttate, e dove nei subappalti c’è chi fa la fame e rischia la vita per sopravvivere, è un mondo dove nessuna è davvero libera.”

SOLIDARIETÀ AI BRACCIANTI IN SCIOPERO!

SCARICA QUI IL VOLANTINO

DOWNLOAD HERE THE FLYER

  

Solidarietà ai braccianti agricoli in sciopero!

 

Oggi, giovedì 21 maggio, molti/e braccianti agricoli/e stanno scioperando contro la regolarizzazione fittizia contenuta nel cosiddetto “decreto Rilancio”. Il decreto prevede una regolarizzazione per soli sei mesi di una fetta irrisoria di lavoratori e lavoratrici privi di documenti regolari. 

Si tratta di un decreto squallido che, anche con l’emergenza sanitaria in corso, non mira a tutelare la salute delle persone prive di documenti, bensì a fornire lavoratori e lavoratrici usa-e-getta, da sfruttare per sei mesi e poi ricacciare nel limbo della “clandestinità”. Un decreto frutto della solita logica per cui ci sono profitti da tutelare (qui quelli della filiera agricola, dai grandi possidenti terrieri alla grande distribuzione) e vite sacrificabili per la causa. 

Si tratta di un decreto che evidenzia come la situazione emergenziale sia stata il laboratorio sociale e politico perfetto per favorire ulteriormente quella connessione tra luoghi di detenzione temporanea per migranti e richiedenti asilo e sfruttamento lavorativo in ambito agricolo e in quello del lavoro domestico. In questo modo, si definisce chiaramente una precisa volontà politica di razzializzare il mercato del lavoro: quello che un richiedente asilo o una persona  che arrivi in Italia dalla Balkan route o dalla rotta mediterranea può aspettarsi di fare, magari per essere ” regolarizzato”, è il bracciante per due euro all’ora, subendo violenze di ogni genere.

L’agricoltura made in Italy, soprattutto nelle grandi aziende del sud Italia ma non solo, è nota per il diffuso utilizzo del caporalato: le persone, solitamente non comunitarie, ci lavorano con turni estenuanti (almeno 12 ore) per paghe irrisorie (meno di 2 euro all’ora!). Le stesse persone vivono spesso nelle vicine baraccopoli (come quelle di San Ferdinando o Rosarno), segregate e senza luce e servizi igienici.

Molti braccianti sono costretti ad accettare queste condizioni perché sono privi di documenti regolari: nei loro confronti, i padroni hanno a disposizione una complessa rete di ricatti articolata dallo stesso Stato italiano. 

Il primo elemento di questa rete è il confine: per riuscire a entrare in Italia, in assenza di vie “legali”, le persone migranti affrontano viaggi spesso traumatizzanti, lunghi e pericolosi. Il tentativo di regolarizzazione, attraverso richiesta d’asilo o permesso di soggiorno, spesso non va a buon fine, costringendo le persone all’irregolarità e al lavoro nero.

Il secondo elemento è il vincolo con il contratto di lavoro: secondo la legge Bossi-Fini c’è una seconda possibilità di regolarizzarsi vincolando il proprio permesso con un contratto di lavoro; se si resta disoccupati, si perde in automatico anche la possibilità di vivere regolarmente in Italia.

Il terzo elemento sono i CPR: se le persone vengono fermate mentre sono irregolari, possono finire in uno dei CPR aperti in Italia. Nei sei mesi di reclusione, subiscono continue violenze e rischiano ogni giorno di essere deportate al Paese d’origine. I CPR sono un ingranaggio fondamentale della macchina del ricatto. Lo dimostra il fatto i CPR sono ancora aperti,nonostante l’emergenza sanitaria in corso e nonostante i rimpatri siano bloccati. Sono lì solo a dimostrare che il ricatto di essere deportati è sempre reale.

Coldiretti e la grande distribuzione hanno quindi a disposizione una grande quantità di persone ricattabili, fondamentali per i loro profitti.

Oggi, però, i braccianti stanno scioperando, nonostante il ricatto, e nonostante siano segregati e invisibili a molti in Italia: “Non vanno regolarizzate le braccia, ma gli esseri umani”, dicono. Chiedono appoggio allo sciopero non comprando le verdure oggi. 

Le lotte dei braccianti sfruttati, come quelle dei detenuti nei CPR, sono lotte per la libertà di tutte e tutti. Infatti, un mondo dove esistono i CPR, dove le verdure sono prodotte e raccolte con il sangue di persone sfruttate, e dove nei subappalti c’è chi fa la fame e rischia la vita per sopravvivere, è un mondo dove nessuna è davvero libera.

Che gli sfruttatori marciscano con le loro verdure!

Solidarietà ai braccianti agricoli in sciopero, non compriamo sfruttamento!

PS: Il caporalato, anche se non agricolo, è fortemente articolato anche in Friuli-Venezia Giulia, soprattutto nei subappalti di grandi ditte come Fincantieri. Tali subappalti prosperano all’interno di questo sistema di ricatti, di cui il CPR di Gradisca è un elemento fondamentale.

Qui il volantino


ENGLISH:

TODAY FARMHANDS ON STRIKE!

Today, Thursday May 21st, several farmhands are on strike against the fictitious regularization containedin the “Decreto Rilancio”. The decree defines a regularization of only six months for a negligible slice ofworkers without regular documents.This is a shabby decree that, even in the current health emergency situation, does not aim to protectthe health of undocumented people, but to provide disposable workers, to be exploited for six monthsand then pushed back into “clandestinity”. Such decree results from the usual logic for which there areprofits to be protected (here those of the agricultural chain, from large landowners to large-scaledistribution) and lives that can be sacrificed for the cause.

Made in Italy agriculture, especially in large farms in southern Italy, but not only, is known for thewidespread use of “caporalato”: people, usually non-EU workers, have to work with exhausting shifts (atleast 12 hours) for negligible wages (less than 2 euros per hour!). The same people often live in nearbyslums (such as those of San Ferdinando or Rosarno), segregated and without light and toilets.Many farmhands are forced to accept these conditions because they do not have regular documents: thebosses, on their side, can dispose of a complex network of blackmail articulated by the Italian State itself.

The first element of this network is the border: to be able to enter in Italy, in the absence of “legal”ways, migrant people often face traumatizing, long and dangerous journeys. Afterwards, they can try toregularize their situation through the request of asylum or residence permit, which, however, often fails,forcing people to live and work without regular documents.

The second element is the constrain of the employment contract: according to the Bossi-Fini law there isa second possibility one can try to regularize his/her condition and it corresponds to binding one’s ownpermit of stay with the employment contract; in this case if one lose the contract, he/her automaticallylose the opportunity to live regularly in Italy as well.

The third element is the CPR: if people are checked by police while they are irregular, they can end upin one of the Italian opened CPR. During the six months of detention, they face constant violence andrisk, every day, to be deported back to their country of origin. CPRs are the fundamental gear of theblackmail machine. This is demonstrated by the fact that the CPRs are still working, despite the ongoinghealth emergency and despite the fact that the deportation flights are currently blocked. They are onlythere to show that the blackmail of being deported is always real.Coldiretti and the large scale distribution of vegetables, therefore, have a large number of people attheir disposal which they can blackmail and which are fundamental for their profits.

Today, however, the farmhands are on strike, despite the blackmail, and despite being segregated andinvisible to many others in Italy: “It is not the worker’s arms what should be regularized, but thehuman beings”, they say. They demand support for the strike by not buying vegetables today.

The struggles of the exploited laborers, like those of the detained people in the CPR, are struggles forthe freedom of everyone. In fact, a world where the CPRs exist, where vegetables are produced andharvested with the blood of exploited people, and where people which work with subcontracting risktheir lives to survive, it is a world where none is truly free.

May the exploiters rot with their vegetables!Solidarity with the farm workers on strike. We don’t buy exploitation!

Assemblea no CPR no Frontiere, Trieste

PS: The phenomena of “caporalato” is strongly articulated in Friuli Venezia Giulia as well, , notespecially in agriculture but in the subcontracts working for large companies, such as Fincantieri. Suchsubcontracts thrive within this blackmail system, of which Gradisca’s CPR is a key element

Here the flyer

POTREBBE COLPIRE CHIUNQUE: AGIRE DIVENTA AUTODIFESA

Solidarietà e cassa resistenza

Mercoledì 13 maggio l’operazione “Ritrovo”, coordinata dalla procura di Bologna, ha incriminato diverse persone tra Bologna, Firenze e Milano: 7 di loro sono state arrestate in custodia cautelare e senza processo, altre 4 hanno ricevuto misure cautelari alternative. Si tratta di compagne e compagni che, come noi, si oppongono a frontiere e CPR e credono che attraverso l’azione si possa creare un mondo solidale, senza più persone oppresse e sfruttate.

Al Tribolo, spazio bolognese preso di mira dall’operazione, ci siamo state anche noi e lì, come in tanti altri luoghi, abbiamo potuto conoscere compagne attive nella lotta ai CPR di altre città.

L’operazione repressiva che ha portato alle misure cautelari, condotta dal Ros (!) e dalla procura antiterrorismo di Bologna (!!) è atroce, di una franchezza inaudita e pericolosa per la libertà di tutte e tutti.

È atroce perché utilizza le leggi antiterrorismo per terrorizzare la società, criminalizzando chiunque tenti di reagire alle ingiustizie. Rappresenta il quinto tentativo in poco più di un anno di raggruppare sotto il pesantissimo 270bis CP (associazione con finalità di terrorismo o di eversione), ormai sventolato con una disinvoltura preoccupante, iniziative, manifestazioni, diffusioni di critiche e azioni. Portare solidarietà e supporto agli/le ultim* con costanza e determinazione è diventata ragione sufficiente per essere accusate di “terrorismo”: ormai viene accusat* chiunque porti avanti pratiche coerenti di pari passo con analisi di critica radicale dell’esistente.

Le compagne e i compagni, tra le altre cose, vengono accusat* “di contrastare anche mediante ricorso alla violenza le politiche in materia di immigrazione”, di mettere in atto azioni volte a “contrastare e impedire l’apertura dei Centri Permanenti [?] di Rimpatrio”: ma noi sappiamo bene che chi pratica davvero violenza e terrorismo è chi rinchiude le persone in strutture come i CPR, imprigionate per mesi in attesa della deportazione, ammassate in condizioni intollerabili, spesso picchiate, talvolta lasciate morire o ammazzate.

L’operazione è inoltre spudoratamente franca, tanto che nelle stesse carte compare la ragione dell’operazione: “l’intervento [..] assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato […]”. In breve, lo Stato rinchiude coloro che potrebbero partecipare attivamente ad atti di ribellione contro di esso.

E perciò diventa estremamente pericolosa per la libertà di tutte: se basta questo, ci chiediamo, chi saranno le prossime e i prossimi?

Approfittando del totalitarismo di fatto creato “per la nostra salute”, lo Stato di diritto si è tolto la mascherina democratica per attaccare apertamente i suoi oppositori politici; la famigerata libertà di espressione e di opposizione con la quale, fino a ieri, si è riempito la bocca, viene messa da parte senza fatica. Se non reagiamo, ciò che è successo ieri potrebbe rappresentare uno spaccato dei prossimi tempi; potrebbe risuccedere a chi deciderà di scendere in strada per opporsi alle ingiustizie, per non far pagare la crisi che verrà alle fasce più povere o per creare legami solidali.

Esprimiamo solidarietà e calore alle compagne e ai compagni, repress* per aver lottato senza delega e mediazioni contro le istituzioni e le strutture dello sfruttamento e dell’oppressione.

Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi liber* subito!!!

Stiamo raccogliendo in una cassa comune contributi da inviare per le spese legali cui dovranno far fronte le persone coinvolte in quest’ultima operazione: chiunque voglia e possa contribuire ci contatti sulla pagina facebook “no cpr e no frontiere – fvg”!

Coronavirus nel CPR di Gradisca: aggiornamenti

Dopo aver ripetuto per giorni che nel CPR di Gradisca d’Isonzo c’erano solo 4 (poi 5) persone positive al Covid-19 e che erano in isolamento, mentre noi riportavamo le voci dei reclusi che parlavano di almeno dieci positivi, ieri autorità e giornali locali hanno parlato di 13 casi di isolamento preventivo nel CPR. “Si tratterebbe – stando ai giornali – per buona parte dei compagni di stanza dei 4 migranti risultati positivi nei giorni scorsi al test del tampone, e in parte di nuovi arrivi da fuori regione.” Non è chiaro come sia possibile che le 4 persone positive – che la Prefettura dichiarava fossero in isolamento – avessero dei compagni di stanza. La verità è che fino a pochi giorni fa, positivi al test (di cui abbiamo ricevuto le fotografie) erano in stanza insieme a negativi o a persone che non avevano ancora ricevuto il risultato. Da qualche giorno, questa prassi deliberatamente criminale è stata interrotta: le persone sono in cella a due a due, positivi con positivi e negativi con negativi. A quanto sappiamo, le persone positive stanno bene: non sappiamo però se ci sono persone che non riusciamo a raggiungere. Nell’area blu invece le persone sono in isolamento individuale.

Ieri alcuni reclusi e sono stati sottoposti al tampone. Alcuni hanno ricevuto i risultati e sono negativi. Altri non hanno ancora ricevuto il risultato. I reclusi applicano autonomamente il distanziamento fisico per autotutela, quando non sanno se il loro compagno di cella è positivo o negativo. I reclusi sanno che per loro il rischio di contagio deriva da chi entra ed esce dal CPR: i lavoratori della cooperativa Edeco e le guardie.

I reclusi cominciarono a protestare chiedendo la loro liberazione non appena il Coronavirus cominciava a diffondersi in Italia. La loro paura – quella che il virus entrasse nel CPR e il CPR si trasformasse in una trappola – si sta avverando. Per questo, negli ultimi giorni si sono moltiplicate le proteste.

Vogliamo la chiusura e la distruzione di tutti i lager etnici, subito.

 

Nel Cpr c’è il Coronavirus: i positivi sono in cella coi negativi

Oggi, 24 aprile, da dentro il CPR di Gradisca ci fanno sapere che ci sono almeno cinque persone positive al Coronavirus. Queste persone sono rinchiuse nelle celle comuni, con altri detenuti. Alcune di queste persone sono state deportate dalla Lombardia, in piena emergenza Coronavirus. La Regione Friuli-Venezia Giulia dichiara che ci sono tre persone positive in isolamento: questo è falso. Abbiamo ricevuto fotografie che testimoniano chiaramente che le persone infette sono a contatto con gli altri reclusi: la fotografia allegata è l’esito del tampone di un ragazzo che vive in una cella con un compagno negativo. Le persone positive hanno portato i materassi fuori dalle celle, per dormire nelle gabbie all’aperto e non infettare i propri compagni.

Chiediamo che tutte le persone vengano liberate dal CPR, che rischia di diventare una trappola per esseri umani.

Seguiranno aggiornamenti.

h. 22.20: stasera c’è stata una protesta: i reclusi hanno bruciato alcuni materassi per mostrare la loro rabbia e la loro paura. Stare chiusi in un CPR – positivi e negativi al virus – è un pericolo mortale. Chiedono di essere liberati, o quantomeno di non essere costretti a stare nelle stanze a rischio contagio. Ma, ci dicono da dentro, non ci sono abbastanza celle perché ognuno possa stare isolato. Del resto, ci dice chi è rinchiuso da prima dell’emergenza, non siamo noi a esserci contagiati a vicenda ma ci hanno contagiato quelli che entrano ed escono, cioè le guardie e gli operatori della cooperativa Edeco.

h. 23.00: secondo i reclusi, ci sono 8 casi di positivi nella zona rossa e almeno 4 casi nella zona blu, che – stando alle fonti ufficiali – sarebbe quella adibita all’isolamento delle persone affette da Covid-19. Come sappiamo, però, persone positive al virus si trovano anche nelle celle con persone negative.

18 APRILE, TRE MESI DALLA MORTE DI VAKHTANG NEL CPR DI GRADISCA

Sono passati tre mesi dall’omicidio di Vakhtang all’interno del CPR, e sulla sua fine è calato il silenzio.
La procura di Gorizia ha aperto un’indagine per omicidio, i termini per il deposito dell’esito dell’autopsia sono scaduti da settimane. Eppure, nulla si sa sul risultato degli accertamenti nel frattempo il corpo è stato rimpatriato.
Come abbiamo già detto, a pochi giorni dalla morte, la maggior parte dei detenuti testimoni del pestaggio mortale furono deportati nei loro Paesi d’origine e con una violenta operazione, definita “bonifica”, i telefoni dei reclusi furono sequestrati impedendo i contatti con l’esterno per molti giorni.
In seguito e con fretta, sono state rese pubbliche delle dichiarazioni rilasciate dai medici legali il giorno stesso dell’autopsia, che imputavano la morte a un edema polmonare, escludendo implicitamente il decesso a seguito del pestaggio. I risultati dell’autopsia, invece, non sono mai stati resi noti.
Evidente è il tentativo di mettere sotto il tappeto” quanto avvenuto e far dimenticare Vakhtang e la morte in seguito a un pestaggio. Altrettanto chiara è l’operazione politica condotta per cercare di mettere a tacere chi lotta per lo smantellamento di questo lager.
 
Ad ora, nulla si sa sulla prosecuzione delle indagini e su eventuali indagati. Nulla si sa del risultato dell’autopsia. Nulla si sa dei testimoni, se non quello che ci hanno raccontato loro in prima persona, dopo essere stati rimpatriati frettolosamente. 
La totale mancanza di trasparenza da parte della Procura dimostra quello che era prevedibile: che non c’è nessun impegno da parte delle istituzioni per giungere alla verità e che anzi si vogliano insabbiare le responsabilità di qualcuno, come già troppe volte è successo in Italia. 
Non lo uccise la morte ma una decina di guardie bigotte che gli cercarono l’anima a forza di botte

A pensar male… ancora due parole sulla cooperativa EDECO

Lo scorso agosto, la cooperativa padovana EDECO si aggiudicava la gestione del CPR di Gradisca d’Isonzo; su queste pagine si raccontò già qualcosa a riguardo.
Nelle ultime settimane, lo stato di emergenza ha congelato anche l’attività dei tribunali, così in quello di Padova non si è potuta tenere, il 3 marzo scorso, la prima udienza del processo denominato “Business dell’accoglienza”. Il processo vede accusati a vario titolo alcuni fra i vecchi responsabili della cooperativa Edeco e ben tre ex-dipendenti della prefettura padovana, per fatti risalenti al periodo 2015-2017. Si tratta di Simone Borile (ex-presidente), la moglie Sara Felpati (vice-presidente), Gaetano Battocchio e Annalisa Carraro (consiglieri di amministrazione), Pasquale Aversa (vice-prefetto all’epoca dei fatti), i funzionari Patrizia Quintario e Alessandro Sallusto ed alcuni altri
Come riportato nei media, le accuse su cui si basa il proceso riguardano la qualità dei servizi offerti, il trattamento riservato alle persone e le strategie di vincita degli appalti, per citarne alcune: cibo scarso e avariato, servizi igienici indegni, cura e assistenza assenti, persone sane tenute con altre malate di varicella e scabbia, maltrattamenti, documenti falsi ai Comuni per aggiudicarsi gli Sprar locali,flusso di informazioni riservate su ispezioni e controlli dalla Prefettura alla coop, bandi scritti su misura, poi in effetti vinti. Il tutto grazie alla copertura delle autorità prefettizie, pronte a oliare e favorire un sistema in grado di generare bilanci da 15 milioni di euro. 
Tuttavia EDECO matura così l’esperienza necessaria e, in attesa che la solita farsa della giustizia da tribunale si compia, non si perde d’animo e si candida al bando di gara per la gestione dell’ex-caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo (l’attuale CPR). Al bando, al quale avevano partecipato 14 aziende e cooperative italiane e persino estere, arriva quinta. Ma, fatto assai singolare, le prime quattro sono estromesse per carenze nella documentazione presentata e la Prefettura goriziana, a guida Massimo Marchesiello e Antonino Gulletta, non può far altro che assegnare l’agognato appalto a EDECO. A pensar male… è arrivato il salto di qualità, da asili nido e scuole dell’infanzia agli Sprar, agli hub, ai CAS di Conetta (Venezia), Bagnoli (Padova) e Oderzo (Treviso), fino ai moderni lager di Stato, i CPR! 
Ad ogni modo, la lista degli intrighi e delle violazioni commesse per far andare avanti il carrozzone non ci interessa granché: non sono stati i primi e non saranno gli ultimi a cercare di far soldi sulla pelle di centinaia di uomini e donne rinchiuse e costrette in condizioni miserabili e soggette a continui ricatti, soprusi e violenze.
Tra novembre e dicembre, Sara Felpati e Annalisa Carraro in persona hanno svolto i colloqui di assunzione nel goriziano. In questi, chiarivano amichevolmente agli aspiranti operatori/mediatori che non avrebbero fatto un lavoro “di accoglienza” con gli “ospiti”, non precisando di che tipo di altro lavoro si sarebbe trattato.
Tutti i colloqui sono avvenuti nel silenzio, senza bando ed inizialmente ospitati dalla sede dei Gesuiti di Gorizia. A seguito di una contestazione a sorpresa, la sede dei colloqui è stata cambiata. A novembre la UIL goriziana ha cominciato ad aiutare EDECO, in difficoltà nel trovare personale. I comunicati orgogliosi di UIL si possono trovare sulla stampa locale, il loro supporto ha permesso un passaggio di lavoratori dal CARA al CPR.
Il giorno dell’apertura deduciamo dai commenti dei detenuti che i mandati di EDECO ai suoi lavoratori fossero diventati chiari: gli “ospiti” sarebbero sempre dovuti stare chiusi in cella, il cibo doveva essere passato loro sotto le sbarre, il campo da calcio e la mensa non si sarebbero mai dovuti aprire e all’interno del CPR doveva esserci una presenza di forze dell’ordine costante. 
A meno di un mese dell’apertura una maxi fuga coordinata ha permesso a cinque detenuti di fuggire, molti altri sono stati bloccati fuori e dentro il CPR. Pochi giorni dopo è morto Vakhtang. 
I detenuti raccontano che non gli vengono mai dati prodotti per l’igiene, cambi vestiti e biancheria, che il cibo causa problemi intestinali, che non possono mai uscire oltre la gabbia se non per andare in infermieria, che ricevono un trattamento meschino e razzista e che vengono puniti dalla polizia sotto richiesta degli altri lavoratori.
Vakhtang è il secondo morto avvenuto sotto gestione di EDECO, dopo Sandrine Bakayoko, nel gennaio 2017 a Conetta (VE).
Non sappiamo chi ci sia ad oggi a capo di questa cricca che opera all’interno del CPR di Gradisca insieme a esercito e polizia di ogni genere e tipo. Sappiamo però che neanche a un mese dalla sua apertura è stato ucciso un uomo al suo interno, che in diversi hanno tentato il suicidioe che molti altri sono stati picchiati e repressi in vari modi per aver tentato di ribellarsi alle condizioni di prigionia cui sono sottoposti, come ci hanno raccontatoQualche settimana fa, alcuni di loro hanno risposto con uno sciopero della fame e poi appiccando il fuoco alle loro gabbie, apportando danni ingenti alla struttura.
A queste persone va tutta la nostra solidarietà; agli aguzzini a ogni livello, con e senza divisa, tutto il nostro odio e disprezzo.
CHI GESTISCE UN CPR, COME UN QUALSIASI CARCERE, È COMPLICE DELLA SUA ESISTENZA.
FUOCO ALLE GALERE, FUOCO AI CPR!