La storia assurda di N.: “qui ti danno due anni come fossero caramelle”

Scriviamo con rabbia per diffondere la storia assurda di un ragazzo che ieri è stato processato per “concorso morale” agli episodi avvenuti il 14 agosto nel CPR: in breve, si tratta di un incendio, come quelli che avvenivano in quel posto ogni sera. Potrebbe sembrare uno scherzo se non avesse preso un anno e 10 mesi di reclusione. A lui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, temiamo che da un momento all’altro possano prenderselo con forza e ributtarlo nel posto da dove, due anni fa, ha scelto di partire. Che i CPR cadano e siano distrutti. Che tutti i suoi detenuti siano liberati! Che N. sia liberato! Diffondete!

N. arriva in Italia a metà 2018, a 22 anni “per costruire il mio futuro e guardare in avanti”, arriva in aereo a Venezia, pagando molti soldi per un contratto di lavoro a Potenza, che poi risulta non esistere. Parla già un po’ l’italiano, che ha iniziato a studiare da solo prima di partire.

Decide quindi di partire, passa in Francia e poi va a vivere in Belgio, dove lavora per sette mesi. Un giorno viene fermato e, non avendo un permesso di soggiorno valido per il Belgio, viene rispedito in Italia per regolarizzarsi. Il centro di rimpatrio in Belgio, dove sta in attesa del volo verso l’Italia, è interculturale, misto (uomini e donne) e ha una una palestra, assistenza medica, cibo buono e abbonamento a Netflix.

Arriva a Fiumicino e ad aspettarlo trova due donne – forse assistenti sociali forse funzionarie della Prefettura – che gli ritirano il passaporto e gli danno un permesso provvisorio, perché nel frattempo lui ha fatto richiesta asilo. Lo inviano in un CAS a Roma, talmente sporco che non si riusciva a fare la doccia: da quel CAS, N. decide di scappare. Vive e lavora un po’ a Napoli e poi torna in Veneto, va a fare la vendemmia e a lavorare in osteria a Conegliano. Fa la commissione per la richiesta asilo, intraprendendo l’unica via per regolarizzarsi in Italia, e, come per quasi tutti, la sua richiesta viene rifiutata senza grandi spiegazioni. Un giorno, mentre mangia un kebab in piazza, viene fermato e trovato senza permesso di soggiorno, spiega che sta per consegnare i documenti per la sanatoria aperta da poco. Tuttavia, pochi giorni dopo, vanno a prenderlo al suo domicilio per portarlo al CPR di Gradisca. Dopo pochi giorni, compie 25 anni. Sta male, come tutti i detenuti nel CPR.

Un giorno di luglio 2020, vede dalle inferriate il corpo di Orgest Turia che viene portato via e vede Hassan in fin di vita. In quel periodo nel CPR ci sono incendi tutte le sere. Qualche tempo dopo N. ha richiesto un colloquio per nominare un avvocato di fiducia; il colloquio inizialmente gli viene impedito, dicendo all’avvocato che il ragazzo non può essere convocato perché si trova in quarantena per il Covid, N. smentisce questa versione: lui è nel CPR da più di un mese ormai, gli hanno fatto tre tamponi, tutti e tre con esito negativo. N. si sente preso in giro e pensa stiano usando la scusa della quarantena per isolarlo e non permettergli di parlare con nessuno.

Il 14 agosto, ci sono stati degli incendi a seguito del pestaggio di alcuni altri detenuti nella zona rossa. In quei giorni, il fuoco è una presenza quotidiana; ogni sera, a seguito di una giornata di pesanti soprusi, nel CPR di Gradisca avvengono piccole rivolte. Ma il 14 agosto la repressione sembra essere stata più violenta, come avevamo raccontato in questo post.

Il 15 agosto, all’alba, viene preso e portato al carcere di Gorizia con altri due detenuti: viene messo in custodia cautelare per concorso morale ai fatti del 14 sera e viene messo sotto arresto assieme ad altre due persone. All’inizio, viene messo in quarantena, poi viene spostato con i detenuti comuni. Uno dei tre il 19 viene fatto uscire dal carcere, non si sa dove viene portato. L’altro rimane, ma viene poi trasferito due mesi dopo nel carcere di Trieste. Sugli altri due sembra pendessero accuse più gravi, come lesione, resistenza e danneggiamento. “Ci sono quelli che ammazzano e sono in giro per la strada e invece noi siamo stati messi in carcere”, ci dice.

L’8 settembre ha il riesame per le misure cautelari; il giorno prima avvisa. L’8 si prepara per andare in tribunale, ma nessuno lo porta al suo processo: dopo 23-24 giorni lo avvisano che tutte le istanze del riesame sono state rigettate e le misure cautelari in carcere vengono mantenute. Poi arriva la conclusione delle indagini e il rinvio a giudizio per il 15 dicembre, il giudice chiede il rito abbreviato o il patteggiamento. Parla con l’avvocato, fissa l’udienza per il patteggiamento per il 26 novembre e viene spostato con obbligo di dimora al CPR: più che un obbligo di dimora, si tratta di una detenzione carceraria.

Gli dicono che potrà assistere in videoconferenza dal carcere, o di persona. Il 26 mattina è pronto, ma nessuno lo fa uscire dal CPR o lo porta al suo processo. A metà udienza riceve una chiamata dall’avvocato, che chiede di interrompere momentaneamente l’udienza in modo da chiedere al suo assistito se gli va bene un patteggiamento di 1 anno e 10 mesi (aumentato di 10 mesi rispetto all’iniziale proposta). N., da quello che capisce, deve accettare poiché se andasse a processo gli verrebbero chiesti non meno di tre anni, come scritto sui primi documenti al suo arresto, prima della conclusione delle indagini. Si trova quindi ad accettare il patteggiamento al telefono, nella sua cella del CPR senza poter presenziare al suo processo o ascoltare ciò che è stato detto. È incensurato quindi può avere la pena sospesa per la condizionale.

“Qui ti danno due anni come fossero delle caramelle”, ci dice. 1 anno e 10 mesi, dopo 3 mesi di carcere cautelare, per concorso morale a una delle centinaia rivolte di coloro che nel CPR rivendicano di essere umani.

E adesso?

Solo ieri hanno deportato 13 persone tunisine dal CPR di Gradisca, lunedì 24, i giorni prima ancora di più. N. sa che forse sarà uno dei prossimi, ma non vuole tornare in Tunisia, da dove se n’è andato. È arrivato in Italia poco più di due anni fa, ha fatto 54 giorni di CPR, 3 mesi di carcere e ora si trova da 10 giorni di nuovo nel CPR.

“Sono massacrato, qua dentro al CPR mi hanno rovinato la vita, in tutti i sensi”.

CHE N. SIA LIBERATO E POSSA VIVERE DOVE VUOLE, COME TUTTI GLI ALTRI DETENUTI. SOLIDARIETÀ A N. E A TUTTI I DETENUTI!

MINACCE DI MORTE E ESPULSIONI

Dentro il CPR c’è Hassen, un uomo che parla bene italiano ed ha vissuto a Padova per anni, un uomo originario dalla Tunisia che ha aiutato spesso, facendo da traduttore, i suoi compagni di detenzione trasportati nel lager di Gradisca da Lampedusa.

Hassen è scappato dalla Tunisia perchè minacciato di morte, se fosse rimasto gli sarebbe costata la vita. Hassen ha un’infezione tubercolare latente ed un nodulo (benigno) alla tiroide.

Quando la polizia lo ha fermato a Padova, lui si è sentito male, ha avuto nausea e giramenti di testa, e ha chiesto di andare all’ospedale, ci racconta che i poliziotti lo hanno picchiato e minacciato di rimandarlo subito in Tunisia. Successivamente è stato portato al Cpr di Gradisca, da quando è entrato ci raccontano che non gli hanno fatto alcuna visita medica. Martedì della scorsa settimana lo hanno portato presso il consolato tunisino, ma ci racconta che l’hanno lasciato chiuso dentro al “furgone” impedendogli di parlare con il console, dopo avergli preso i documenti.

Ieri gli hanno fatto un tampone, che lui ha preso come indizio della sua imminente deportazione, e Hassen ha scritto una lettera di addio alla madre e ha iniziato a prepararsi per il suicidio: o morto o libero, in Tunisia a farsi ammazzare non ci vuole tornare. I compagni di cella ed i contatti all’esterno hanno cercato di farlo desistere ed hanno vegliato la notte per scongiurare la sua deportazione. Al momento si trova ancora nel CPR, sembra i giorni dei rimpatri ora siano diventati martedì, giovedì e venerdì.

Si trova nel CPR da 3 mesi, tempo massimo secondo le nuove modifiche dei decreti “sicurezza”. La sua permanenza forzata è dovuta alle convalide mensili comminate dall’unico Giudice di Pace della provincia di Gorizia, noto a detenuti ed avvocati per le sue sentenze quasi sempre a favore della detenzione. La sua vita misera e annichilita degli ultimi mesi è dovuta alla cooperativa EDECO che gestisce il centro. L’impossibilità di “allontanarsi volontariamente” dal centro è dovuto ai dispositivi di controllo e alle guardie armate usati per controllare il centro, come fosse un carcere di massima sicurezza. La sua deportazione (e la sua eventuale morte) è dovuta alle leggi razziste approvate da tutti i governi e le giunte che si sono susseguiti.

Che i gradiscani e le gradiscane, le uniche persone che possono muoversi nel comune vadano di fronte a quel centro a farsi raccontare cosa succede, ad opporsi a che lo deportino. Che gli operatori degli aeroporti, che gli autisti degli autobus, che i normali passeggeri si rifiutino di essere mandanti di morte.

Che chiunque abbia qualche idea, la metta in pratica.

Aggiornamenti da Gradisca: contagi e deportazioni

Il 10 novembre, alle 5 di mattina, come da prassi, da dentro il CPR di Gradisca un gruppo di detenuti, tutti di nazionalità tunisina, sono stati deportati: non sappiamo quanti fossero esattamente né dove li abbiano portati, ma ipotizziamo che qualsiasi tappa intermedia fosse comunque destinata al rimpatrio forzato.

La macchina dei CPR sta quindi continuando a operare a pieno regime. Se nemmeno durante il primo lockdown la prefettura di Gorizia o la giunta comunale di Gradisca ha ipotizzato di chiudere queste strutture, contrariamente a quanto avvenuto in altri Paesi europei, ora che lo stato di eccezione sta continuando a colpire tutt*, dalle scuole alla piccole attività commerciali, di luoghi detentivi, carceri e, ultimi fra tutti, Cpr non si occupa nessuno.

Dentro al CPR di Gradisca, da quel che sappiamo, continuano ad avvenire settimanalmente nuovi ingressi e trasferimenti di persone da un CPR all’altro: solo tre giorni fa, sono entrate altre 25 persone, provenienti da Sud, probabilmente direttamente da Lampedusa. Non viene rispettata alcuna misura sanitaria di tutela minima: da quello che ci viene raccontato, la mascherina, per esempio, viene fatta indossare ai detenuti del campo solo se e quando viene consentito loro di parlare con un legale. Le persone recluse all’interno del campo continuano nella maggior parte a vivere in stanze comuni.

I giornali locali hanno parlato di casi di Covid all’interno del CARA adiacente e di una trentina di contagi nel carcere di Tolmezzo (UD). Non è dato sapere invece cosa avvenga all’interno del CPR: anche qui, come è noto dalla scorsa primavera, sono stati rilevati alcuni casi di persone positive al Covid-19. Per il momento sembra che le misure di prevenzione si siano limitate all’isolamento delle persone positive, individuando una camerata comune per tutte loro. In ogni caso, ai reclusi non viene comunicato nulla sulla presenza o meno di casi di Covid.

Sappiamo che una delle persone positive faceva parte del gruppo di tunisini trasferiti la scorsa settimana. Ci viene confermato da più parti che, a differenza di quanto accadeva in passato, anche dentro al CPR di Gradisca le comunicazioni di molti dei detenuti con l’esterno e con i propri familiari vengono impedite. Il metodo pare essere questo: quando uno entra in CPR, gli si toglie la sim dal cellulare.

La garante comunale Giovanna Corbatto poco più di un mese fa si è espressa pubblicamente dicendo che le condizioni interne al CPR sono peggiori di quelle delle carceri; tuttavia, sappiamo bene che il suo ruolo è poco più di uno specchietto per allodole. Chi avrebbe il potere di fare chiudere questi lager non ha alcuna intenzione di farlo. Che muoiano di botte o di Covid là dentro evidentemente poco importa.

Finché avremo fiato e finché potremo, continueremo a raccontare quello che succede nella galera di Gradisca, perché tutte e tutti sappiano che dietro a questo inferno ci sono responsabilità precise.

Volantinaggio contro la coop Edeco a Battaglia Terme (PD)

Mentre la Cooperativa Edeco si macchia le mani del sangue delle persone senza documenti gestendo” il CPR di Gradisca d’Isonzo, poco lontano, in provincia di Padova, si aggiudica innocentemente appalti per la conduzione di nidi e scuole per l’infanzia.

C’è chi ha deciso di rendere noto il ruolo di Edeco nella gestione di uno di quelli che sono i moderni campi di concentramento italiani, attraverso un volantinaggio massivo nella città sede della cooperativa stessa, Battaglia Terme (PD).

Il CPR esiste per le ragioni sistemiche che non smettiamo mai di ricordare, ma esiste anche perché c’è chi lo mantiene in vita lavorandoci e traendo profitto sulla pelle di chi vi è rinchiuso.

È  per questo che non è affatto marginale il ruolo di Edeco, come di qualsiasi altro ente che grazie ai suoi servizi permette il suo funzionamento.

È  per questo che bisogna sempre ricordare chi è complice dell’esistenza di questi lager.

Pubblichiamo qui il volantino che è stato distribuito a Battaglia Terme.

BASTA ALLA MILITARIZZAZIONE DELLE NOSTRE VITE!

Oggi scenderemo anche noi in piazza. Lo Stato, ormai da quasi un anno, affronta l’emergenza sanitaria come fosse un’emergenza sociale: invece di finanziare la sanità e promuovere la salute, aumenta i controlli e tutela i profitti di pochi. Lo abbiamo visto in primavera, con i trattamenti riservati a chi stava nei CPR, nelle prigioni o in strada. Abbiamo visto persone appena arrivate dalla rotta balcanica essere multate, come molte altre, perché non stavano chiuse nella casa che non avevano. Abbiamo visto cosa vuol dire essere succubi dell’umore del controllore di turno. Non lo vogliamo vedere più!

Qui la chiamata –> https://www.facebook.com/events/375534137018400/