OLTRE QUELLE MURA: a fianco dei reclusi di Gradisca, di Jamal, dei compagni/e arrestati/e a Malpensa

Il pomeriggio del 24 marzo siamo stati/e sotto le mura del Cpr di Gradisca d’Isonzo per far arrivare la nostra solidarietà ai reclusi in un centro che da mesi vede succedersi continuamente rivolte, atti di ribellione, tentativi di evasione e fortunatamente anche molte fughe riuscite.
Se la zona più vicina all’accesso, quella dalla quale normalmente era più facile udire le voci dei prigionieri, questa volta è rimasta completamente silenziosa, poco dopo esserci spostati/e sul retro ci è arrivata distintamente per molti minuti la rabbiosa risposta dei reclusi in quell’ala, con urla e battiture, prima che anche queste venissero ridotte al silenzio.

Nel campo di Gradisca, dalla sua riapertura alla fine del 2019, sono morte da quel che si sa 4 persone: Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, Anani Ezzedine e Arshad Jahangir. La sua gestione è ancora in mano alla cricca di aguzzini preferita della prefettura di Gorizia, e cioè la cooperativa Ekene di Battaglia Terme (Padova), il cui capo Simone Borile è finito rinviato a giudizio per “omicidio colposo” per la morte nel gennaio 2020 di Vakhtang Enukidze, in realtà ucciso di botte dalle guardie.

La deportazione di Jamal, imprigionato per alcuni giorni a Gradisca prima di essere deportato in Marocco – come tutte le deportazioni che avvengono ogni settimana – non spengono la lotta, ma semmai le donano ancora più forza, nella spinta a far sì che tutti i lager di Stato vengano distrutti.
Le lotte presenti e passate, non solo contro i campi di deportazione, ci dicono che la solidarietà e il supporto alle rivolte è tanto doverosa e necessaria quanto l’attacco diretto ai responsabili e ai complici – persone, aziende, enti, istituzioni – dell’esistenza di questi luoghi, coloro il cui operato ne rende concreto e possibile il funzionamento.
Ci sono e ci saranno momenti di angoscia e scoramento, ma le continue evasioni, le continue azioni di rivolta e distruzione interne ai campi, l’azione determinata e coraggiosa dei reclusi che hanno chiuso il Cpr di Torino, dei compagni/e che a Malpensa hanno bloccato la deportazione in atto e di quelli/e che a Caltanissetta si sono messi di traverso, ci dicono che “la macchina delle espulsioni vorrebbe sembrare, ed essere mostrata, come un’inattaccabile fortezza costruita sulle fondamenta del razzismo” ma che a volte “basta poco a tirare giù il muro disumanizzante che silenzia la violenza e avvalla l’inaccettabile”.

Ci uniamo ancora alle parole seguite agli arresti del 20 marzo, “tutto ciò che è successo a Torino e a Malpensa è potenzialmente replicabile e riproducibile. La lotta contro la macchina delle espulsioni e la detenzione amministrativa è possibile ed è reale nei suoi obbiettivi e nelle sue prospettive. Sappiamo che alla repressione si risponde con la lotta come ci insegna la resistenza palestinese tutti i giorni”.

La nostra solidarietà va a tutti/e i/le reclusi/e, a Jamal che oggi si trova in Marocco, a Josto, Ele, Miri, Peppe, a tutti/e i compagni/e prigionieri/e e in ogni modo privati della loro libertà

FUOCO AI CPR
FUOCO A TUTTE LE GALERE

TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE

compagne e compagni

MOHAMED É LIBERO! Aggiornamento sullo sciopero della fame nel Cpr di Gradisca

Riportiamo da No Cpr Torino https://nocprtorino.noblogs.org/post/2023/07/16/mohamed-e-libero-aggiornamento-sullo-sciopero-della-fame-nel-cpr-di-gradisca/

Quotidianamente gli atti di protesta scuotono i giorni e le notti all’interno dei CPR. Tra quelle mura, per evitare le deportazioni, opporsi alle provocazioni delle guardie, ma anche solo per chiedere la nomina dell’avvocato o un colloquio è necessario lottare. Lottare da soli, lottare in gruppo, contro un sistema strutturalmente violento e razzista, ogni giorno e con ogni mezzo a propria disposizione.
Una storia che si ripete da quando i CPR (prima CPT, poi CIE) sono stati istituiti nel 1998. Una storia che in alcune occasioni riesce ad inceppare la macchina delle espulsioni.

Lo sciopero della fame di Mohamed, recluso nel centro per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo, che grazie alla solidarietà e alla presenza dei e delle compagne triestine è uscito dalla coltre di silenzio a cui era stato rilegato da sbirri ed ente gestore – qui il comunicato sulle iniziative dello scorso fine settimana e sullo sciopero durato 26 giorni – è riuscito a bloccare la condanna alla deportazione e ottenere la libertà.
Infatti, nonostante il rischio di persecuzioni in caso di ritorno in Tunisia, per aver partecipato alle primavere arabe del 2011, la richiesta d’asilo di Mohamed era stata considerata “non fondata e strumentale ad evitare l’espulsione”.

Una condizione comune, quella dei richiedenti asilo all’interno dei CPR, che nei prossimi mesi con le nuove regole previste dal Decreto Cutro e la possibilità di procedure di espulsione accelerate e espletabili direttamente in frontiera aumenterà il numero di deportazioni dall’Italia verso i paesi di provenienza o anche verso Paesi terzi considerati “sicuri”, ma anche i tempi e i luoghi di detenzione amministrativa [qui un podcast di approfondimento su alcune modifiche al testo unico immigrazione].

A questa idea di sicurezza, che mira a clandestinizzare e utilizzare le persone migranti come merce di scambio per accordi economici ed energetici, scendendo a patti anche con regimi palesemente dittatoriali, si contrappongono le lotte dentro ai CPR e contro le frontiere.
Supportiamo queste lotte, rendiamole quanto più possibile visibili, portiamole in strada per dargli piu forza e poterne trarre da esse.

Per la libertà.

Per un mondo senza frontiere né galere.

Dalla parte di chi prova ad abbattere quelle mura

Qualche giorno dopo il weekend di mobilitazione contro i CPR e le frontiere, ci teniamo a condividere alcune considerazioni su questi due giorni.

Chi ha partecipato e portato i generi di prima necessità ai reclusi non lo ha fatto per spirito di carità, ma perché ha intimamente capito che in quel luogo di tortura i pacchi che abbiamo consegnato possono trasformarsi in mezzo per allargare le maglie di un sistema che attraverso privazioni e violenza si traduce in tortura.

Il cibo che abbiamo messo dentro a quei pacchi potrà forse aiutare qualcuno a rifiutarsi di mangiare il cibo fornito all’interno del CPR da Ekene, la cooperativa che lo gestisce. Dentro quelle razioni – a Gradisca come negli altri CPR – vengono infatti nascosti psicofarmaci volti ad ammansire i prigionieri (o ospiti, come li chiamano loro). Da qui il significato politico dei generi alimentari, non abbiamo mai voluto rendere più vivibile quel centro di tortura amministrativa.

Un grande grazie anche alle compagne che sono venute a presentarci I CPR si chiudono col fuoco. L’opuscolo (disponibile qui) presenta le testimonianze delle persone rinchiuse e delle rivolte che quest’inverno hanno bruciato molte sezioni del CPR di corso Brunelleschi fino a provocarne la chiusura.

Noi siamo convinte: le affinità politiche più strette si legano attraverso la condivisione delle pratiche di lotta, e per questo ci teniamo a rimandare alla prossima chiamata nazionale, il Passamontagna del 4-5-6 Agosto. Invitiamo chi può a essere presente: la pretesa sovranità degli Stati sui confini nazionali si spezza attraversandoli.

Segnaliamo poi una vicenda estremamente grave, a dimostrazione che la mobilitazione e la solidarietà sono sempre più necessarie per rompere quello stato di invisibilità e isolamento in cui i CPR sono confinati. Nei contatti avvenuti in questi giorni con l’interno abbiamo infatti scoperto che una persona tunisina è in sciopero della fame da tre settimane e negli ultimi giorni è stato portata in ospedale a seguito di atti di autolesionismo. Ieri sera è stato riportato al CPR, ma in una cella e in un’area distanti dai compagni che, in solidarietà, avevano iniziato a rifiutare il cibo. È la seconda volta che intraprende il digiuno nell’ultimo mese, in segno di protesta verso la detenzione arbitraria a cui è sottoposto. Ha avuto problemi politici in Tunisia a seguito delle rivolte della primavera araba, ma nonostante questo la sua richiesta asilo è stata respinta come “pretestuosa”.

Ma le voci dai CPR, per chi vuole ascoltare, parlano di abusi costanti e di persone che nonostante tutto non si piegano: le proteste e le rivolte sono continue, anche se rimangono nel silenzio colpevole di quelle quattro mura. Sta anche a noi farle risuonare, portando solidarietà e appoggio.

Ringraziamo anche per questo le forze dell’ordine, la Prefettura di Gorizia e la cooperativa Ekene che, gelosi di mantenere le persone rinchiuse, sedate e isolate, hanno negato con la forza al presidio di spostarsi sotto le mura del CPR e, sempre con la forza, hanno impedito ai reclusi di far uscire le loro voci da quelle stesse mura.

Come ribadito più volte durante i dibattiti, le persone rinchiuse sono pienamente consapevoli dell’ingiustizia e della violenza che sono costrette a subire all’interno del CPR, tanto da arrivare al punto di mettere a repentaglio il proprio futuro e le proprie stesse vite per far cadere quel muro. C’è chi ha rischiato il rimpatrio per far uscire la testimonianza di un omicidio, c’è chi ha rischiato la pelle per distruggere le mura, il ringraziamento più grande va a loro. Il bisogno profondo di libertà è più potente dell’oppressione quotidiana e soffocante, e il minimo che possiamo fare da fuori è sostenere e amplificare queste voci e questa lotta che riguarda tutti e tutte.

Solidali con chi subisce la violenza dei CPR e delle frontiere e dalla parte di chi prova ad abbattere queste mura.

Scritto con Burjana  https://laburjana.noblogs.org/post/2023/07/13/dalla-parte-di-chi-prova-ad-abbattere-quelle-mura/

Abbiamo il nome e l’orrore continua

Arshad Jahangir, così si chiama il ragazzo morto nel CPR di Gradisca il 31 agosto 2022, come ha diffuso il comune. Sopravvissuto all’attraversamento delle frontiere per entrare in Europa (che non sappiamo come sia avvenuto) e alle difficoltà della ricerca di un permesso di soggiorno, è il CPR di Gradisca il luogo che, nella sua atrocità, gli ha fatto provare ad uccidersi, e a farcela, nell’assenza di soccorsi e cura che vige nel centro. È il quinto morto sotto la gestione delle cooperative di Simone Borile: quattro nel CPR di Gradisca negli ultimi due anni e mezzo, una prima, a Conetta.

L’orrore del CPR si esprime in continuazione, ogni volta che si decide di ascoltarlo, nell’omertá di media ed istituzioni, chiedendo una notizia da dentro. Oggi, ci raccontano, un ragazzo ha provato a farsi male e ha perso i sensi; ci chiedono di diffondere la sua foto, perché non siano gli unici a sapere.

Tutti e tutte sappiamo, prendiamocene le responsabilità. Se ognuno/a fa qualcosa, nei modi che ritiene opportuni, quel centro chiuderà.

 

Nessun soccorso – nessuna risposta

Da dentro al lager di gradisca i detenuti ci comunicano che altre due persone hanno tentato il suicidio nelle ultime 48 ore, ma che fortunatamente sono state salvate dai compagni di cella. Ci inviano moltissimi video della loro rivolta ma in particolare pubblichiamo questo, girato ieri, 5 settembre 2022, in cui si vedono i detenuti di una cella chiamare i soccorsi, urlando e sbattendo le porte, mentre un compagno di stanza é incosciente e altri cercano di aiutarlo.

I soccorsi non arrivano.

Queste notizie devono girare, raggiungere il dibattito pubblico, perché possano contribuire a far chiudere questi lager.

Ricordiamo che chi fa uscire queste informazioni mette a repentaglio la sua sicurezza e la sua possibilità di rimanere in italia, accanto ai suoi cari.

Facciamo tesoro di questa generosità, non ignoriamo i cpr.

 

Un altro morto al CPR. Dateci il nome, vogliamo entrare, facciamoli uscire.

C’è bisogno di una grandissima presenza solidale domenica 4 settembre alle 15:00 davanti al CPR di Gradisca. Chiediamo massima diffusione e una reale presa di responsabilità a tutt*.

Di fronte alle parole indecenti della garante, di fronte all’inerzia delle istituzioni in seguito a quest’ennesima morte, questa volta pretendiamo di entrare. Vogliamo vedere con i nostri occhi quel centro di morte. Vogliamo sapere, perché nessun altro – garanti, associazioni, istituzioni – ha voluto rompere quel muro infame.

Pretendiamo l’ingresso di una DELEGAZIONE CITTADINA NEL CPR, e per farlo dobbiamo essere in molt*.

Il centro è in rivolta. Le persone detenute ci chiedono a gran voce che
ci siano parlamentari e giornalisti. Facciamo un appello a tutt* di
mobilitarsi ed esserci.

Esigiamo che quelle mura crollino, finendo di produrre discriminazione,
violenza e morte.

NO SILENZIO E OMERTÀ. FREEDOM, HURRIYA, LIBERTÀ

A Gradisca si muore: sappiamo chi è Stato

Due giorni fa, il 31 agosto 2022, un ventottenne pakistano del quale non sappiamo il nome si è ammazzato nel Cpr di Gradisca d’Isonzo. Era entrato un’ora prima.

Si è ammazzato in camera; l’hanno trovato i suoi compagni di reclusione.

Voci da dietro al muro

Da dietro le mura del CPR ci gridano che il ragazzo pakistano «ha fatto la corda» subito dopo l’incontro con il Giudice di pace di Gorizia che aveva confermato la sua permanenza nel centro per tre mesi. Ci chiedono di dire che si è ucciso dalla disperazione per quella scelta sulla sua vita. Ci dicono che era nella zona blu, dove tolgono i telefoni e dove vanno le persone appena entrate. I detenuti ci dicono che gli operatori del centro tengono loro nascosto il nome del ragazzo, nonostante le loro richieste.

Ci raccontano che molti, dopo le udienze con il Giudice di pace, si sentono male e altri hanno provato a impiccarsi, salvati poi dai compagni di stanza. Raccontano che in quei momenti si sta molto male e si perde la testa. Ci raccontano che è peggio di qualsiasi carcere e che nel cibo vengono messi psicofarmaci. Ci chiedono che parlamentari e giornalisti raccontino quello che succede realmente nei CPR ed entrino.

Chi ci parla ci dice di temere per la sua incolumità per quello che ci sta raccontando. Ci dice che si sta esponendo per tutti ma che i militari lo stanno guardando. Ci fornisce il suo nome e indirizzo perché teme per la sua vita, per il solo fatto di raccontare quello che succede. E noi lo sappiamo bene, ricordiamo come fosse ieri le deportazioni seriali e il sequestro immediato dei telefoni di tutti i detenuti che avevano testimoniato la notte della morte di Vakhtang.

Qui di seguito pubblichiamo due dei molti video ricevuti da dentro: un video a riguardo è stato pubblicato anche ieri da LasciateCIEntrare.

Repressione della solidarietà (con pistola puntata)

La sera del primo settembre, alcuni solidali sono passati davanti al Cpr per mostrare solidarietà ai reclusi e ascoltare le loro voci sulla morte del ragazzo pakistano. Mentre stavano lì, è arrivata una volante dei carabinieri, chiamata dal personale del Cpr insospettito dalla presenza di alcune persone fuori da quelle mura. 

Da una delle volanti, è uscito un carabiniere che ha cominciato a correre, non molto velocemente, puntando la pistola contro uno dei solidali. Le persone sono state perquisite e i cellulari sequestrati momentaneamente. Dopo un po’ di tempo, i solidali sono stati portati in caserma per essere identificati, dove hanno avuto la convalida del fermo di dodici ore. In caserma, uno dei solidali è stato costretto a una perquisizione integrale e a spogliarsi completamente.

L’esistenza del Cpr necessita del silenzio: la sola presenza di qualcuno nelle sue vicinanze origina sospetto e si tramuta in fermi, perquisizioni e, come successe ad altri solidali nel 2019, fogli di via dal territorio comunale. Il Cpr è istituzionalmente un luogo del quale bisogna ignorare l’esistenza, anche nei giorni in cui ammazza qualcuno. 

La violenza dell’arma puntata non ha alcuna giustificazione: la reazione poliziesca spropositata di fronte a un ragazzo bianco che non stava commettendo nessun reato ci interroga su quale sia il livello di soprusi al quale sono costrette ogni giorno le persone che non hanno la tutela della cittadinanza. Gli abusi di potere e la violenza razzista istituzionale tengono in piedi i Cpr ogni giorno.

Il commento indegno della garante

La Garante per i diritti delle persone recluse del comune di Gradisca, Giovanna Corbatto, commenta sul Messaggero veneto: «Non sappiamo se e quali fantasmi si portasse dietro, se la sua drammatica decisione sia stata pianificata o improvvisata, se avesse patologie. Avendo trascorso solo un’ora al Cpr sarei prudente nel citare le condizioni di vita all’interno come causa o concausa di un gesto così estremo».

Il meccanismo messo in atto da Corbatto è quello della colpevolizzazione della vittima (victim blaming): di fronte a un ragazzo che si è ammazzato dentro una struttura sulla decenza della quale lei stessa dovrebbe sorvegliare, Corbatto si rifiuta di riconoscere le responsabilità istituzionali e dà letteralmente la colpa alla vittima.

Il Cpr è uno spazio letale: si tratta di un dato innegabile, confermato dal susseguirsi delle morti. Chi muore lì dentro, in qualunque modo muoia, è un morto istituzionale, cioè un morto di Stato.

Quasi tre anni di un luogo letale

Nel lager di Gradisca dIsonzo, sono già morte troppe persone.

07/12/2021: Ezzeddine Anani, uomo marocchino di 41 anni, si toglie la vita nella cella in cui era recluso in isolamento per quarantena Covid.

14/07/2020: Orgest Turia muore in seguito a un’overdose e un suo compagno di stanza scampa alla stessa sorte. Mentre il prefetto di Gorizia Marchesiello dice che tutto va bene, dapprima la stampa locale diffonde la voce di una nuova morte per rissa, poi la sindaca Tomasinsig e rappresentanti della polizia ripropongono la narrazione infame dei detenuti tossici e dello spaccio di sostanze all’insaputa dei carcerieri. In realtà, Turia non è tossicodipendente, è un uomo di origini albanesi portato in Cpr perché trovato senza passaporto.

18/01/2020: Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano trentottenne, viene ammazzato, secondo i testimoni, dalle botte ricevute dalle guardie armate della struttura. A seguito della sua morte tutti i testimoni vengono deportati, i loro cellulari sequestrati, la famiglia di Vakhtang Enukidze in Georgia subisce forti pressioni per non prendere parte a un processo penale e, ad oggi, non è stato comunicato alcun esito ufficiale dell’autopsia sul corpo.

30/04/2014: Majid el Khodra muore in ospedale a Trieste, dopo mesi di coma, dopo una caduta dal tetto dell’allora Cie di Gradisca, ad agosto dell’anno precedente. Ai suoi familiari viene negata per mesi la possibilità di vederlo. Dopo la sua morte, il Cie chiude, per riaprire qualche anno dopo con il nuovo nome di Cpr.

L’elenco dei nomi delle persone morte dentro il Cpr ci ricorda che ad ammazzare non sono mai «i fantasmi»: sono le leggi, le istituzioni, i rappresentati razzisti dello Stato. L’elenco dei nomi delle persone morte dentro il Cpr ci dice che quel posto, che è stato voluto da tutti i governi, non è riformabile. Ci richiama a mobilitarci perché, se il Cpr continuerà a esistere, la gente continuerà a morirci dentro.

Migrant lives matter.

Il quarto morto di Stato: voci da dietro il muro

Da dietro le mura del CPR ci gridano che il ragazzo pakistano «ha fatto la corda» subito dopo l’incontro con il Giudice di pace di Gorizia che aveva confermato la sua permanenza nel centro per tre mesi. Ci chiedono di dire che si è ucciso dalla disperazione per quella scelta sulla sua vita. Ci dicono che era nella zona blu, dove tolgono i telefoni e dove vanno le persone appena entrate. I detenuti ci dicono che gli viene nascosto dagli operatori del centro il nome del ragazzo nonostante le loro richieste.

Ci raccontano che molti, dopo le udienze con il Giudice di pace, si sentono male e altri hanno provato a impiccarsi, salvati poi dai compagni di stanza. Raccontano che in quei momenti si sta molto male e si perde la testa. Ci raccontano che è peggio di qualsiasi carcere e che nel cibo vengono messi psicofarmaci. Ci chiedono che parlamentari e giornalisti raccontino quello che succede realmente nei CPR ed entrino.

Chi ci parla ci dice di temere per la sua incolumità per quello che ci sta raccontando. Ci dice che si sta esponendo per tutti ma che i militari lo stanno guardando. Ci fornisce il suo nome e indirizzo perché teme per la sua vita, per il solo fatto di raccontare quello che succede. E noi lo sappiamo bene, ricordiamo come fosse ieri le deportazioni seriali e il sequestro immediato dei telefoni di tutti i detenuti che avevano testimoniato la notte della morte di Vakhtang.

E allora noi chiediamo perché giornalisti e garante parlano di «fantasmi del passato» a giustificazione della morte del giovane di oggi. A quale scopo la Garante dei detenuti, che sa cosa succede all’interno, invoca il silenzio davanti alle urla assordanti di dolore, di rabbia, di terrore, di angoscia che escono da quelle mura. I Cpr sono i luoghi più atroci e più intrinsecamente razzisti che esistono sul suolo italiano.

Oggi, 1 settembre 2022, quattro persone sono state già ammazzate dal Cpr di Gradisca a soli tre anni dalla sua apertura.

I Cpr devono chiudere subito!

Autolesionismo e mancato soccorso nel CPR di Gradisca

In queste ultime ore, da dentro il CPR di Gradisca escono storie di violenza, autolesionismo e mancato soccorso.

Un video pubblicato su un gruppo facebook di persone tunisine in Italia mostra due persone a terra, in mezzo al sangue, dopo essersi procurate dei tagli (TW: sangue, autolesionismo). L’autolesionismo è una pratica di resistenza spesso utilizzata dai reclusi, che sono privati di ogni altra maniera di denunciare la propria situazione e rivendicare il proprio desiderio di libertà.

Dentro è un inferno, i reclusi ci raccontano che vengono trattati di merda, non escono mai dalle gabbie e non vengono portati in ospedale neppure quando i medici che li visitano nel CPR dicono che dovrebbero andarci.

In questo caso, si è dovuta aspettare più di un’ora per i due uomini che stavano perdendo molto sangue. Per ora, le voci su cosa sia successo non sono confermate.

Il deputato tunisino Majdi Karbai, che spesso ha raccontato la situazione dei tunisini in Italia, ha scritto oggi in un post di aver contattato il Garante per i diritti delle persone detenute e dei funzionari del ministero della Giustizia al fine di aprire un’indagine su quanto è successo ieri a Gradisca.

Intanto, pochi giorni fa è stato il secondo anniversario della morte di Vakhtang Enukidze, morto a un mese dalla riapertura del CPR, dopo un pestaggio poliziesco. Dopo di lui, dentro la galera etnica di Gradisca, sono morti anche Orgest Turia, nell’estate 2020, e Ezzedine Anani, il mese scorso. Ezzedine, tunisino, se non fosse morto, sarebbe stato deportato direttamente in Tunisia, come avviene con tutti i suoi concittadini che da Gradisca, bisettimanalmente, vengono rimandati nel luogo dal quale hanno scelto di andarsene.

Voci dal Cpr: siamo in sciopero della fame!

Ieri, 19 dicembre 2021, ci siamo ritrovate assieme a compagni e compagne da tutta la regione sotto il lager di Gradisca. La morte di B.H.R. pochi giorni fa, la terza da quando il CPR ha riaperto il 17 dicembre di due anni fa, non poteva rimanere sotto silenzio.

Come sempre uno degli obiettivi dell’iniziativa era farsi sentire dai reclusi per comunicare loro la nostra solidarietà e vicinanza. Nonostante la questura avesse come sempre relegato il presidio al lato opposto della strada, un cospicuo gruppo di partecipanti al presidio si è spontaneamente spostato davanti al lager urlando slogan e ricevendo una risposta da dentro. Le voci gridavano: libertà!

Mentre cercavano di comunicare con l’esterno, alcune persone recluse sono state minacciate di venir denunciate se avessero continuato a comunicare con i solidali.

Oggi abbiamo scoperto che dentro al CPR, ci sono diverse persone in sciopero della fame, almeno tre in zona verde e qualcuno in zona rossa. Uno non mangia da tre giorni, altri hanno iniziato tra ieri e oggi. Da dentro, chiedono di condividere fuori la notizia del loro sciopero; la rivendicazione è la libertà, tutti vogliono uscire da lì.

Nel frattempo, la rete No Cpr di Milano ha riportato nuove notizie sul suicidio avvenuto nel Cpr di Gradisca, che riportiamo qui sotto anche se non abbiamo ancora avuto modo di confermarle:

La notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2021 avevamo diffuso la notizia di un giovane suicidatosi nel CPR di Gradisca di Isonzo. Si pensava inizialmente si trattasse di un marocchino. Si tratta invece di un cittadino tunisino di 44 anni. Il suo nome è Anani Ezzeddine. La famiglia è stata informata prontamente dalle autorità competenti; anche loro chiedono di comprendere le ragioni del suicidio. In questi giorni sempre nel CPR di Gradisca diverse sono state le segnalazioni di persone che hanno tentato il suicidio, che sono state salvate e sostenute dai compagni di cella. Nel caso di Anani non c’è stato nulla da fare.

Ieri, mentre noi eravamo a Gradisca, altre persone si sono mobilitate sia contro il CPR di Milano sia contro il CPR di Ponte Galeria, vicino a Roma.

Contro tutti i lager, contro tutti i confini.

[L’immagine rappresenta una scritta sull’asfalto, che dice: “Vakhtang, Orgest, BHR, morti di Stato”. La scritta è apparsa ieri al termine del presidio, davanti al CPR.]