Aggiornamenti da dentro il lager – 18.02.2020

La sopravvivenza nel Cpr prosegue uguale: si fanno i rimpatri, si libera per decorrenza dei termini, si aspettano gli avvocati coi quali alle volte è difficile parlare, si aspettano le udienze che vengono sempre comunicate all’ultimo momento.

Ogni mese avviene l’udienza di convalida del trattenimento: è durante questa udienza che il giudice decide se prolungare il trattenimento di un altro mese, fino al massimo dei sei previsti dalla legge. A ogni udienza viene aperto un nuovo fascicolo, cosa che – insieme ad altre – determina tempi lunghi e grande confusione.

Qualche giorno fa, M. A., il ragazzo con l’epatite C, è stato rimpatriato. La sua richiesta di asilo per motivi politici era stata rigettata. Aveva poi fatto richiesta di permesso di soggiorno per cure mediche. Il giorno stesso è stato rimpatriato con l’inganno: dopo che gli era stato comunicato che veniva trasferito a Catania per essere curato, è stato invece portato a Palermo e dove è stato imbarcato su un volo charter di rimpatrio per la Tunisia. Nel 2018, l’Italia ha organizzato 66 voli charter di rimpatrio verso la Tunisia, su 77 voli charter totali.

I fogli di via non ci fermeranno. Libere tutte, liberi tutti.

MISURE FASCISTE CONTRO LA SOLIDARIETÀ:

I FOGLI DI VIA NON CI FERMERANNO, LIBERE TUTTE, LIBERI TUTTI!

Nelle scorse settimane quattro militanti dell’assemblea NO CPR – NO Frontiere FVG sono stati raggiunti da altrettanti fogli di via dal territorio comunale di Gradisca d’Isonzo. La “scusa” ufficiale per un simile provvedimento risale al 9 dicembre scorso quando i carabinieri di Gradisca fermavano e trattenevano in caserma per oltre un’ora e mezza i quattro, per poi rilasciarli con copia della richiesta indirizzata al Questore di Gorizia del foglio di via per aver presuntamente tentato di scattare delle foto dall’esterno del CARA (allora il CPR non era aperto né era nota la data d’apertura).

Il foglio di via è una misura amministrativa che in base all’articolo 2 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 intitolato “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” inibisce l’accesso al territorio comunale pena l’arresto da uno a sei mesi. Si tratta di una limitazione della libertà personale che viene imposta non per aver commesso un reato, ma per _prevenire_ che esso possa essere commesso da una persona che i rappresentanti dello Stato (questori) ritengono “pericolosa”.

La pretestuosità della misura è evidente dal momento che il CARA non è certo una struttura segreta: immagini e riprese della struttura sono continuamente pubblicate dai media. Ma l’evidenza diventa ancora maggiore se si tiene presente che la misura è stata comminata dal questore il 13 gennaio, cioè due giorni dopo il corteo indetto dall’assemblea No CPR – No Frontiere che, passando davanti il CPR ha instaurato il primo dialogo con i reclusi, i quali hanno così potuto rendere pubbliche le tremende condizioni in cui sono costretti e, la settimana seguente, i pestaggi.

Per questi motivi, l’intento di intimidire e dissuadere chi tenta di solidarizzare con i reclusi e svelare la disumanità di una prigione etnica quale è il CPR è del tutto evidente.

Peraltro l’utilizzo di misure amministrative per reprimere il dissenso in Italia è un fatto sempre più frequente. Sin dal cosiddetto “pacchetto sicurezza “, L125/2008, del Ministro Maroni che da ai Sindaci “sceriffi” la possibilità di legiferare in delega allo Stato su questioni di sicurezza, passando per il decreto Minniti sulla “sicurezza urbana” del 2017, nell’ordinamento italiano sono state progressivamente introdotte sempre maggiori possibilità per colpire con misure amministrative immediatamente esecutive ogni forma di resistenza e dissenso. Proprio per il loro carattere amministrativo si tratta di misure che sono impartite delle autorità senza un processo e un giudizio di merito, e molto spesso comportano sanzioni pecuniarie, che si rivelano più efficaci di quelle penali nel colpire soggetti a basso reddito, precari e studenti, cioè esattamente i principali protagonisti delle lotte sociali.

Crediamo vada sottolineato il legame tra l’utilizzo di queste misure e la legge Turco-Napolitano del 1998, che istituiva i centri per l’espulsione dei migranti (i quali nel corso del tempo hanno cambiato nome in CPT, CIE, CPR). Proprio l’aver introdotto nell’ordinamento giuridico la detenzione amministrativa per i cittadini stranieri, che possono venir privati della libertà personale e rinchiusi nei CPR con un semplice atto disposto dal Questore, convalidato poi da un Giudice di Pace senza un giudizio di merito da parte di una corte, ha creato il precedente utile per estendere progressivamente a tutti e tutte misure amministrative di limitazione della libertà.

Ma questo legame diviene ancora più inquietante se lo si guarda da un’altra ottica: il “foglio di via obbligatorio” è uno dei “rimasugli” che sono ancora in vigore nell’ordinamento italiano di quelle che erano le “misure di sicurezza” previste dal mussoliniano codice Rocco del 1930 per colpire gli oppositori politici del regime. Ecco quindi che a chi lotta contro l’esistenza di prigioni etniche nel nostro paese, cioè istituzioni che di fatto sono assimilabili ai lager del secolo scorso, vengono applicate norme fasciste che esattamente a quel periodo risalgono.

Allora diviene chiaro che costruire la solidarietà con i reclusi nel CPR così come con chi viene colpito dalla repressione significa difendere la libertà di tutti e tutte.

 

Aggiornamenti da dentro il lager – 13.02.2020

Nel Cpr di Gradisca il tempo non passa mai. Le persone restano in attesa, spesso senza riuscire a parlare con i loro avvocati d’ufficio, per settimane, per mesi, e si sentono come “sotto sequestro”. Aspettano settimane o mesi le udienze, le cui date non vengono comunicate se non all’ultimo.

Intanto, le persone che sono state deportate ci raccontano che si sentono completamente spaesate nel loro Paese d’origine, dal quale si sono allontanate da anni, chi da più di venti. Uno ci dice che non è abituato a vivere in quel posto, che tutto e tutti gli sembrano strani, e che vorrebbe solo rientrare in Italia, dove sta tutta la sua famiglia e tutta la sua vita. Passano il tempo a cercare di capire come tornare a casa loro, in Italia.

Da dentro ci ripetono che non ce la fanno più. Ci dicono: “qui è una merda proprio, più che vi immaginate, manco il più forte può resistere qui”.

“Siamo alla merda qua, siamo sequestrati. Sempre sdraiati nel letto, la mia schiena sta male. […] Niente, niente. Mangiare schifo, bruttissimo. Mi trattano male peggio di un animale. L’animale viene trattato bene, i gatti bene mangiano […] la cena arriva dopo le dieci [di sera], il pranzo dopo le tre [di pomeriggio] […] colazione arriva a mezzogiorno. Da qua esci complicato, questa non è una struttura per guarire persone […] due metri quadrati, ma non siamo gatti, non siamo topi. […] Non lo so perché fate le frontiere tutti quanti…”

Nel silenzio che sta seguendo l’attenzione mediatica dopo l’uccisione di Vakhtang Enukidze, il Cpr di Gradisca continua a essere “una merda proprio”.

5.02.2020-Deportazione oggi

Oggi è stato deportato B.S. È un ragazzo originario dal Gambia, gli mancavano pochi giorni per terminare il tempo massimo di permanenza in un CPR. Anche lui ci aveva raccontato di aver visto il pestaggio a Vakhtang. È, anche lui, un testimone. Era stato inizialmente portato al CPR di Bari, poi a quello di Gradisca. Prima viveva a Vicenza dove aveva molti amici e amiche, frequentava il Bocciodromo di Vicenza, ce ne parlava spesso nelle chiamate dei primi giorni, quando tutti avevano ancora i telefoni. È molto gentile, molto calmo, parla molto bene l’italiano. Era arrivato anni fa in Italia, dal mediterraneo, attraverso un viaggio terrificante in cui aveva visto morire molte delle persone che erano sulla sua stessa imbarcazione, ce ne aveva parlato, in uno di quei messaggi all’inizio, ci diceva che era impossibile dimenticarlo. Lo hanno portato via questa mattina dicendogli che lo spostavano per alcuni giorni in un altro CPR, si è ritrovato all’aeroporto di Bologna, con due guardie e in poco tempo su un volo, terrorizzato e rassegnato. Come cavolo ci torna ora qui dal Gambia B.S.? Qui dove ha tutta la sua vita? Di nuovo attraverso la Libia? Noi aspettavamo uscisse per andare a prenderlo alle porte del CPR e conoscerlo di persona.

Pagherete tutto!

Per Vakhtang, per B.S., per tutti i reclusi e le recluse nei CPR. Con tanta rabbia e tristezza lo ridiciamo: che ognuno faccia qualcosa perché questi abomini chiudano e perchè tutte le persone che ci sono rinchiuse vengano liberate.

5.02.2020 – AGGIORNAMENTI DAL C.P.R. DI GRADISCA-

AGGIORNAMENTI DAL CPR DI GRADISCA

Hanno deportato alcuni dal Marocco, dei nigeriani ieri, l’altro ieri dal Marocco.”, “Ho paura che mi mandano via” ci hanno detto sabato 1 febbraio alcune persone recluse dentro il CPR.

I detenuti del CPR rischiano la deportazione pur di raccontarci quello che succede lì dentro. Fuori ci ritroviamo con la responsabilità di aver ascoltato quelle voci. Vi riportiamo alcune informazioni che ci sono state dette.

Un ragazzo dentro il CPR ha l’epatite C, sabato in molti ci gridavano che non veniva medicato ed i suoi compagni chiedevano aiuto. Domenica sera ha iniziato a vomitare sangue ed è stato brevemente portato al pronto soccorso per poi essere riportato al CPR la notte. Ogni volta che qualcuno ha bisogno di qualcosa, anche se urgente come in quel caso, sono costretti a fare casino almeno per 15 minuti, battere sulle sbarre e urlare, prima che qualcuno li consideri.

La zona verde, quella vicino alla strada, è stata quasi completamente svuotata, così da limitare al massimo i contatti con l’esterno. La zona rossa, quella più lontana, è invece piena.

La doccia ha solo acqua bollente, una persona ha provato a entrare sotto la doccia, ne è uscita piena di bolle. Devono mescolare un secchio di acqua calda ed uno di acqua fredda per lavarsi.

Dopo la rivolta della scorsa settimana son rimasti 4 giorni senza riscaldamento.

Il cibo che gli viene dato viene sempre passato sotto le sbarre delle gabbie ed è composto da del riso con o senza sugo e delle carote lesse.

Ci ringraziano molto per la solidarietà mostrata da fuori e per andare a parlare lì sotto, non si capacitano di come possano esistere posti così.

Durante il corteo, sabato, i reclusi ci gridavano che la polizia li stava filmando e minacciando che avrebbe inviato i video al “magistrato”. I reclusi vivono nel terrore di essere deportati. Quando vengono portati dal giudice di pace ricevono o il prolungamento della permanenza senza ulteriori spiegazioni o, quando il tempo massimo si è esaurito, l’ordine di uscire dal CPR. Non vengono quasi mai informati di quando la scelta è la deportazione, le deportazioni arrivano infatti spesso all’alba e a sorpresa. Minacciare l’invio di informazioni su una “cattiva condotta” al “magistrato” significa minacciare di aumentare la probabilità che avvenga la deportazione. Anche fuori ci seguivano e filmavano dall’alto sabato, riguardo a ciò ne parleremo un’altra volta.

Ad alcune persone, la settimana scorsa, è stata rovinata la vita, le hanno deportate. Sono state deportate verso Paesi da cui, molto probabilmente, ripartiranno affrontando viaggi pericolosi e forse mortali. Sono state strappate da vita e affetti in Italia, per aver perso un pezzo di carta. Nel mentre, sui media, si legge solo la preoccupazione per i pochi giorni di prognosi dati ad alcune forze dell’ordine ferite nel sedare la rivolta dei reclusi nel CPR di Torino, i quali a loro volta stavano lottando per la loro libertà e per quella di tutte/i noi. Perché un mondo in cui esistono luoghi di morte, come i CPR, è un mondo in cui nessuno è davvero libera/o.

Perché tutti i muri dei CPR cadano e le persone rinchiuse vengano liberate. Per Vakhtang.

In solidarietà con tutti quei detenuti che stanno lottando perché i CPR chiudano. In solidarietà con tutte le persone rinchiuse nei CPR.