Aggiornamenti da dentro il lager – 13.02.2020

Nel Cpr di Gradisca il tempo non passa mai. Le persone restano in attesa, spesso senza riuscire a parlare con i loro avvocati d’ufficio, per settimane, per mesi, e si sentono come “sotto sequestro”. Aspettano settimane o mesi le udienze, le cui date non vengono comunicate se non all’ultimo.

Intanto, le persone che sono state deportate ci raccontano che si sentono completamente spaesate nel loro Paese d’origine, dal quale si sono allontanate da anni, chi da più di venti. Uno ci dice che non è abituato a vivere in quel posto, che tutto e tutti gli sembrano strani, e che vorrebbe solo rientrare in Italia, dove sta tutta la sua famiglia e tutta la sua vita. Passano il tempo a cercare di capire come tornare a casa loro, in Italia.

Da dentro ci ripetono che non ce la fanno più. Ci dicono: “qui è una merda proprio, più che vi immaginate, manco il più forte può resistere qui”.

“Siamo alla merda qua, siamo sequestrati. Sempre sdraiati nel letto, la mia schiena sta male. […] Niente, niente. Mangiare schifo, bruttissimo. Mi trattano male peggio di un animale. L’animale viene trattato bene, i gatti bene mangiano […] la cena arriva dopo le dieci [di sera], il pranzo dopo le tre [di pomeriggio] […] colazione arriva a mezzogiorno. Da qua esci complicato, questa non è una struttura per guarire persone […] due metri quadrati, ma non siamo gatti, non siamo topi. […] Non lo so perché fate le frontiere tutti quanti…”

Nel silenzio che sta seguendo l’attenzione mediatica dopo l’uccisione di Vakhtang Enukidze, il Cpr di Gradisca continua a essere “una merda proprio”.