Z., che non si alza dal letto da ottanta giorni

A Gradisca, un uomo sta a letto da ottanta giorni. Ci parlano di lui altri reclusi, ci dicono che sta costantemente disteso a letto, dorme moltissime ore, avvolto in una coperta marrone di lana, nonostante il caldo. Riusciamo a ricostruire che sta in quelle condizioni da circa ottanta giorni, sappiamo che, per quanto non si alzi quasi mai dal letto, non ha smesso di mangiare.

Sappiamo che riceve 20 gocce al giorno di Rivotril, altrimenti noto come clonazepam, una benzodiazepina usata per trattare l’epilessia. Lo stesso foglietto illustrativo specifica che l’uso di medicinali antiepilettici come il clonazepam aumenta il rischio di avere pensieri e/o comportamenti suicidari e l’uso di dosi elevate e/o per periodi prolungati può dare dipendenza fisica e psichica, soprattutto se chi lo assume in passato ha abusato di medicinali, droghe o alcol. Nel CPR, a moltissime persone viene somministrato il Rivotril, anche se si tratta di persone con altre dipendenze o che rischiano di subirne pesantemente gli effetti collaterali.

Ogni 15 giorni Z. riceve anche una puntura, non sappiamo per quale motivo e di che sostanza.

Un suo compagno di prigionia ci dice che, se non si fa qualcosa per toglierlo da quella situazione, Z. sarà il prossimo morto del CPR di Gradisca.

Nel frattempo, per le persone con problemi psicologici o psichiatrici dentro al CPR l’assistenza del SSN è stata limitata alla possibilità di un colloquio ogni quindici giorni, in via telematica. Un tipo di assistenza quindi praticamente inutile, a detta degli stessi operatori e operatrici del SSN, più somigliante a una presa in giro, per persone costrette in condizioni disumane, cui spesso vengono somministrati sedativi e medicinali vari in maniera coatta al fine di cercare di spegnere in loro ogni moto contro la loro condizione e i suoi ben chiari responsabili.

Per fortuna, questo giochetto non funziona quasi mai.

DEPORTAZIONI DAL CPR E NUOVI VIDEO DA DENTRO – Aggiornamenti del 30.07.2020

Tra venerdì e domenica, nel CPR di Gradisca sono avvenute continue rivolte: le condizioni di vita dentro sono pesantissime, come abbiamo cercato di raccontare pubblicando testimonianze foto e video; la rabbia dopo la morte di Orgest Turia si intreccia alla paura di morire nello stesso modo. Ora sappiamo che quattordici persone sono state deportate; i loro posti sono stati subito occupati da altri internati. Il CPR è una macchina a ciclo continuo.

Abbiamo già raccontato di queste rivolte qui.

Pubblichiamo ora due video della repressione poliziesca delle rivolte. Dopo i diversi incendi e durante lo sciopero della fame, ci raccontano che le guardie hanno oscurato le telecamere prima di dedicarsi a pestaggi massicci; alcune persone, ci viene detto , sono state isolate dalle altre e pestate dalle guardie in assetto antisommossa. Un uomo è svenuto per le botte, ma è stato impedito agli altri reclusi di avvicinarglisi per soccorrerlo.

“Guardate, guardate, usano il flessibile per entrare. Ormai siamo arrivati alla fine, non ce la facciamo più”

“Stanno entrando con i bastoni, si stanno preparando” […]

“Ispettore, ispettore, ci mettete da un’altra parte? Non si può stare qua”

“Noi vogliamo andare via”

“Stanno togliendo i materassi a tutti, insomma dormiamo per terra.”

“Guarda che lo sta picchiando […] e per niente, per niente, i ragazzi non hanno fatto niente”

Quattordici persone, in seguito ai pestaggi delle guardie, sono state deportate in Tunisia. Le deportazioni, che si erano fermate durante l’emergenza sanitaria, sono quindi ripartite proprio in concomitanza con la visita della ministra Lamorgese in Tunisia. Un chiaro messaggio da spedire oltremare, proprio nei giorni in cui centinaia di persone sono in fuga dalla Tunisia al collasso e dai campi di concentramento libici, possibili grazie al sostegno economico e militare del governo italiano, giungono sulle nostre coste. I voli charter verso la Tunisia sono, storicamente, tra i più numerosi: nel 2018, l’Italia ha organizzato 66 voli charter di rimpatrio verso la Tunisia, su 77 voli charter totali. A Gradisca e negli altri CPR, le deportazioni di testimoni scomodi e soggetti ribelli è una pratica consolidata. Anche a gennaio, i testimoni della morte di Vakhtang Enukidze erano stati deportati in fretta e furia, anche nell’Egitto del dittatore al-Sisi.

Continuiamo a mantenere i contatti con l’interno e far uscire le voci da dietro quel muro. Sappiamo bene però che è importante anche portare solidarietà diretta, andando sotto a quel lager e facendo sentire le nostre voci: invitiamo tutte le persone solidali a essere pronte a tornare a Gradisca ogni volta che sarà necessario esprimere vicinanza concreta a chi questo lager lo subisce sulla propria pelle.

REPRESSIONE E BOTTE ORA AL CPR – AGGIORNAMENTI DEL 26 LUGLIO 2020

Al Cpr di Gradisca negli ultimi giorni ci sono stati altri incendi e molti dei reclusi hanno subito una repressione molto violenta. Uno di loro è stato allontanato per essere picchiato e ed è stato costretto a dormire su una rete di ferro senza materasso.

In seguito a questo ennesimo episodio di violenza da parte dei poliziotti, la quasi totalità dei reclusi delle zona Blu del Cpr, una cinquantina di persone, è entrata in sciopero della fame.

Ci raccontano che le f.d.o. hanno punito quasi tutti gli scioperanti con botte pesantissime: un ragazzo tunisino, in particolare, è stato portato all’ospedale e nel corso della mattinata sono arrivate almeno due ambulanze per altri detenuti a cui è toccata la stessa sorte.

Da quello che ci raccontano dall’interno del centro, le telecamere sono state oscurate, per non far rintracciare alcuna prova dei fatti, e le persone sono state portate in un luogo isolato prima di essere picchiate.

Riceviamo delle foto che testimoniano quanto accaduto, ma ci viene chiesto esplicitamente di non pubblicarle per non mettere in pericolo le persone coinvolte e per non far preoccupare ulteriormente le loro famiglie.

M., un ragazzo egiziano è stato picchiato dalle guardie in seguito agli incendi poi si è autolesionato per protesta.

Un altro ragazzo egiziano da due settimane soffre di un fortissimo mal di denti, ma non ha ancora ricevuto alcuna assistenza medica.

Ci raccontano poi che quando Orgest Turia è morto in CPR e H. è andato in terapia intensiva, i quattro compagni di cella e testimoni sono stati trattenuti in una stanza per 24 ore senza cibo. Uno di loro è stato buttato a terra e preso a calci perché aveva osato uscire dalla cella per andare in bagno senza chiedere permesso.

Recentemente, è diventato più pericoloso filmare quello che avviene dentro il CPR e inviarlo fuori.

In generale, i detenuti ci parlano di condizioni esasperanti e di trattamenti mai subiti, nemmeno in carcere, per chi di loro ci è stato. Molti di loro non riescono a dormire, né a mangiare. Gli incendi per protesta sono all’ordine del giorno e molti di loro finiscono per respirare molto fumo e stare male anche per questa ragione. Stando a quanto ci raccontano, le conseguenze per gli atti di protesta sono quasi sempre pestaggi da parte delle guardie del centro e vari atti intimidatori, tra cui denunce per resistenza a pubblico ufficiale o danneggiamento.

FINE DI UNA TRAGEDIA, CON UN ARRESTO E CON UN ESTINTORE APERTO SUL VOLTO DI UNA PERSONA

Scriviamo quest’articolo per spiegare la tragedia che sta dietro all’arresto di un recluso nel CPR di Gradisca, apparso ieri su un quotidiano sotto l’ignobile sottotitolo «Lì dentro delinquenti ex carcerati». Invitiamo a leggere fino in fondo e diffondere. Ci troviamo ormai senza parole per descrivere quanto la realtà dentro i CPR venga storpiata dai media, che, descrivendola attraverso la voce di poliziotti o altre persone di parte, assumono un ruolo essenziale nella costruzione di un immaginario falso attorno al lager e alle persone recluse, legittimando quindi la sua esistenza e concimando il razzismo più becero.

Cos’è successo?

I reclusi ci raccontano che da alcune settimane sono entrate molte persone nel CPR “appena arrivate in Italia” e che non parlano italiano. Da alcuni quotidiani locali leggiamo che si potrebbe trattare di persone in arrivo dalla rotta balcanica, da dentro invece ci dicono che vengono da Lampedusa.

Tra questi c’era R. un ragazzo egiziano, ora in arresto. Molti detenuti ci parlano di lui da giorni, preoccupati per la sua sorte. Finora non siamo riuscite a riportare le loro voci riguardo a questa storia, perché nel frattempo nel CPR è morto Orgest Turia e il suo compagno di cella, H., è stato salvato in extremis. H. ora si trova in ospedale, ma vogliono rinchiuderlo di nuovo dentro il CPR, contro la sua volontà e quella di tutti i familiari, che sono certi che non mangerebbe niente se entrasse, per lo shock e la paura che gli succeda un’altra volta la stessa cosa.

Torniamo a R. Da quello che ci raccontano, R. è uscito dalla zona di quarantena verso l’11 luglio, non parlava italiano, era appena riuscito ad arrivare in Italia ed era molto stressato per due ragioni: gli era stato tolto il cellulare e aveva un forte dolore ai denti ma, a quanto ci dicono, le sue richieste non venivano ascoltate.

Ci dicono che il 15 luglio R. inizia a protestare vivacemente e che per questo gli viene finalmente data attenzione, ci riferiscono che gli viene detto che verrà avvisato il capo e quindi lui aspetta questo colloquio.

Il colloquio però non sembra arrivare. Tra il 16 e il 18 luglio, ci raccontano che nella sua cella scoppiano dei piccoli incendi, in cui lui si brucia un braccio. Ci dicono che viene denunciato per danneggiamento e gli altri detenuti continuano a dire che lui non deve stare lì, che non ha senso perché è appena arrivato in Italia e che ha bisogno del suo cellulare.

Il 19, durante il giorno, la rabbia di R. esplode, ci raccontano che si trova nella cella con gli altri reclusi, mentre gli operatori e i militari si trovano protetti dall’altra parte delle sbarre. Nei video di quei momenti si sente chiaramente qualcuno tra questi ultimi che gli dice “Adesso ti arriva il telefono, va bene? […] se io ti prometto qualcosa la mantengo va bene?”; i reclusi vicini a R. invece cercano di tranquillizzarlo: “Non ti preoccupare, va bene”, sanno che R. è psicologicamente instabile per la situazione in cui si trova. Ripetono che R. sta impazzendo e che ha iniziato anche a dormire fuori, per terra.

Ci raccontano che nelle prime ore del 20 luglio nella stanza di R. scoppia un nuovo incendio. Altri reclusi si svegliano e qualcuno esce dalla cella per il fumo. A quel punto, da quello che ci raccontano, un operatore aziona l’estintore sul volto di M., un altro recluso, che perde i sensi e viene trasportato in Pronto soccorso assieme ad altri. Ora sono tutti arrabbiati: pensano che M. ha rischiato la vita e che R. non doveva stare lì, ormai non stava più psicologicamente bene. R. non deve stare nemmeno in galera, dove si trova ora.

Con la rabbia in corpo, perché abbiamo sentito un’altra storia ingiusta, perché vogliono riportare H. in CPR oggi, perché il CPR esiste, ma anche per la complicità più squallida dei media, ripetiamo: che i muri di quel lager possano crollare!

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

18/07/2020

6 mesi dalla morte di Vakhtang, 4 giorni dalla morte di un’altra persona.

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

Anche questa volta, la prima versione della notizia della morte di un giovane di 28 anni nel CPR di Gradisca è quella di una rissa tra detenuti, seguita poi dalla versione più in voga al momento: la morte per overdose.

Fino a prima della lunga serie di rivolte dei detenuti nelle carceri italiane del marzo scorso, una delle versioni preferite da polizia e quindi dai media era “edema polmonare”, così per Stefano Cucchi, così per Vakhtang Enukidze, entrambi morti in seguito ai pestaggi dei loro carcerieri, nonostante il capo della polizia Gabrielli abbia trovato “offensivo” il paragone.

Le sommosse di marzo in oltre trenta carceri italiane vengono sedate al prezzo di 14 morti sul groppone dello Stato – i secondini circondano le carceri armi in pugno, a Modena i parenti hanno riferito di aver sentito distintamente spari – che si affretta a a comunicare che i decessi sono stati causati “per lo più” da overdose di psicofarmaci e metadone. Da quel momento è un continuo. Solo per rimanere qui da noi, il 15 marzo scorso dentro il carcere di via Udine muore Ziad, un prigioniero di 22 anni a seguito della somministrazione di metadone e psicofarmaci in dosi eccessive, una settimana fa muore nel carcere del Coroneo di Trieste Nicola Buro, ufficialmente per arresto cardiaco, “che potrebbe essere stato causato da un abuso di farmaci”.

Ora è toccato a un uomo albanese rinchiuso al CPR di Gradisca, morto tre giorni fa, quando anche a un suo compagno di stanza, poi ricoverato, stava per toccare la stessa sorte.

Si scatena subito tra i soliti media locali la gara a riportare la versione che dipinga al meglio la prefettura: prima una rissa, poi ogni sforzo viene devoto a creare l’immagine dei detenuti-tossici (si sa, il posto dei tossici dovrebbe essere la galera) e dello smercio di sostanze all’interno del CPR. Il Prefetto Marchesiello dice che va tutto bene e sotto controllo (e ci mancherebbe, tanto i migranti posso andarsene quando vogliono, come diceva a gennaio in un’intervista), la sindaca DEM Tomasinsig constata con la consueta retorica democratica che “in quella struttura ci sono numerose persone con alle spalle una storia di problemi psichici, o di dipendenze” (quindi è normale che finiscano dove sono), un ex dipendente del vecchio CIE racconta che “c’è chi ricorre ai farmaci puramente per “sballarsi” ed ammazzare il tempo” (tanto non hanno altro da fare) e, ciliegina sulla torta, la testimonianza anonima di un esperto poliziotto che parla di “sotterfugi”, “favori tra detenuti” e “mercati interni”. Al giornalista naturalmente sfugge il fatto che ognuna di queste figure è interessata e parte attiva del mantenimento del campo di deportazione di Gradisca.

Il punto non è se e quanti psicofarmaci ogni detenuto assume, il loro utilizzo non è mai stato un “mistero” all’interno delle strutture di reclusione.

Il problema semmai è l’esistenza di istituzioni totali di reclusione e annientamento quali sono le carceri e i CPR, con il loro portato di violenze, umiliazioni, abusi e morte.

Galere e CPR sono accumunati dall’uso di metodi “soft” come la somministrazione di farmaci, spesso all’insaputa dei detenuti o in dosi sproporzionate, utili alla sedazione di quegli individui più inclini a rivoltarsi.

Non ci stanchiamo di ripetere che tutto questo è materialmente realizzabile non solo grazie alla locale Prefettura, all’esercito e alle varie guardie in tenuta antisommossa sempre pronte a picchiare duro ad un fischio dei secondini-operatori della Cooperativa EDECO (ormai con tre morti nel pedigree, non si dimentichi Sandrine Bakayoko morta a Conetta nel 2017), ma anche grazie agli/le infermeri/e, alle operatrici legali, e tutti quei collaboratori indispensabili al funzionamento del lager.

Infine due parole sulla cosidetta Garante comunale dei detenuti Giovanna Corbatto: la notizia della sua visita al CPR viene diffusa su tutti i media diversi giorni prima della data da lei concordata con la Prefettura, quando – dato il suo ruolo – sarebbe potuta entrare nel CPR senza preannunciarsi, verificando così meglio le reali condizioni del campo. Di sicuro in questo modo non potrà vedere il sangue che ricopriva il cuscino e il pavimento vicino al letto sul quale è morto l’uomo albanese, e che i suoi compagni di cella volevano fosse visto, come non potrà vedere molti altri particolari non ripresi dagli “occhi” della videosorveglianza.

Ai rinchiusi/e va la nostra solidarietà.

Che i muri di tutti i CPR possano cadere!

Qui ci sono i responsabili! Presidio sotto la prefettura di Gorizia

QUI CI SONO I RESPONSABILI DEL CPR! NON VOGLIAMO IL CPR, GIÙ LE MURA DEL CPR SUBITO!

Lunedì 20 luglio, ore 19: presidio sotto la Prefettura in Piazza Vittoria a Gorizia.

17 dicembre 2019: apre il CPR, l’appalto è affidato a EDECO di Padova, la cooperativa plurindagata che gestiva la struttura dove era morta Sandrine Bakayoko nel 2017.

17 gennaio 2020: nel CPR muore Vakhtang Enukidze, un uomo georgiano di trentotto anni. I testimoni sostengono sia stato ammazzato di botte dalla polizia nel CPR e che le violenze siano una costante nel centro, la sorella sostiene che non avesse problemi di salute e che la sera prima della morte stava molto male e chiedeva aiuto. Vengono sequestrati i cellulari ai testimoni che poi vengono rapidamente rimpatriati. L’avvocato del Garante dei diritti delle persone detenute fa una dichiarazione strategica ai media: a ridosso dell’autopsia, sostiene che sia morto per edema polmonare acuto e non per le percosse subite. Nonostante si tratti della stessa ragione clinica della morte di Cucchi, la dichiarazione permette di far calare il silenzio sulla morte di Vakhtang e sulla chiusura del CPR. L’esito degli esami istologici e tossicologici non è mai stato comunicato.

Lockdown, marzo-maggio 2020: Il CPR rimane aperto nonostante i voli di rimpatrio siano bloccati. Nel CPR ci sono dei casi di Covid-19, i detenuti positivi al virus vengono tenuti in cella con i compagni negativi, ci rivelano i reclusi. Ci dicono: “è come se Hitler fosse tornato alla terra”. Viene aperta l’ala ancora inagibile (!) del CPR, dove viene creata una struttura di quarantena, non sappiamo quante persone siano state portate via, quante si siano ammalate e quante siano morte.

14 luglio 2020: muore un ragazzo albanese, del quale ancora non si sa il nome. I testimoni raccontano di averlo trovato la mattina alle 6 morto, dicono che gli sono stati somministrati troppi psicofarmaci ed è morto nel sonno. Sembra che anche in questo caso, dalle prime ore della mattina, siano stati tolti i cellulari ai reclusi per le indagini. La reazione è agghiacciante: vari media parlano inizialmente di rissa tra detenuti e la Garante comunale, una delle poche figure che può entrare a sorpresa, “prenota” una visita con largo anticipo e garantisce che si sta informando.

14 luglio 2020: Un ragazzo viene trovato in fin di vita nel CPR, vari media, senza ritegno, sostengono sia colui che ha ucciso il ragazzo albanese e che poi ha tentato di suicidarsi (!). In realtà, si tratta di un giovane dal Marocco, finito nel CPR, come la maggior parte delle persone, per errore e cattiveria, e come il compagno di stanza albanese, non si è risvegliato la mattina ed è finito in terapia intensiva per overdose di psicofarmaci ricevuti e assunti la sera prima. Le sorelle passano la giornata a chiamare la struttura, gli avvocati e qualsiasi numero trovino, non hanno notizie del fratello dalla sera prima. La struttura non le informerà mai, solo attraverso altre vie scoprono la notte del fratello in terapia intensiva e si catapultano a Gorizia.

15 luglio 2020: Si sviluppa un nauseante dibattito mediatico che coinvolge sia le figure istituzionali, dalla sindaca alla garante, sia le forze dell’ordine (ma non i detenuti, sia chiaro) sull’abuso e traffico di psicofarmaci nel centro. Nessuno parla di chiusura a seguito del secondo morto. Con la complicità dei media, il dibattito cerca di creare l’immaginario dei detenuti-tossici (a priori), dello smercio di sostanze (che, se esistesse, vorrebbe dire che è alimentato da qualcuno che dentro il CPR può accedere) e delle difficoltà di chi lavora nella struttura. Il tutto lascia intravedere la volontà di far scivolare le responsabilità della morte sugli altri detenuti.

Noi sappiamo invece che il CPR è una struttura che produce morte di per sé, sappiamo che può chiudere e sappiamo che alcuni dei responsabili della sua apertura stanno nella prefettura di Gorizia, la stessa che ha confermato il foglio di via a persone dell’Assemblea per essere state incrociate da una pattuglia a Gradisca prima dell’apertura del centro.

Invitiamo chiunque vuole che crollino le mura del CPR a venire a dirlo nel luogo dove ci sono i responsabili. I reclusi saranno avvisati di quest’iniziativa.

Per Vakhtang, per il ragazzo albanese, perché non ci sia nessun altro morto da ricordare!

Quello che sappiamo del ragazzo morto a Gradisca – video

Ieri, nel CPR di Gradisca, un ragazzo di 28 anni è morto.

Ieri pomeriggio, siamo stati sotto quelle mura, eravamo circa sessanta. Volevamo parlare con chi sta chiuso dentro, per fargli sentire che sapevamo che uno di loro era morto e gli eravamo solidali, e per sapere com’era andata, secondo loro.

Gridando da una parte all’altra del muro, ci hanno detto che il ragazzo che è morto era stato imbottito di medicinali; tra gli altri, aveva assunto sicuramente il Rivotril – una benzodiazepina ad alta potenza con ansiolitiche, sedative, antiepilettiche – che viene spesso somministrato ai reclusi. L’abuso di psicofarmaci è una costante nei centri di internamento: le persone li assumono per evadere da quel quotidiano senza speranza e/o come sostitutivi legali di altre sostanze. Tuttavia, chi prescrive gli psicofarmaci ha una responsabilità clinica precisa: se veramente il ragazzo – del quale ancora non conosciamo il nome – fosse morto per overdose di psicofarmaci, i responsabili diretti della sua morte sono nel CPR. 

Da dentro, ci hanno gridato che non si trattava della prima morte lì dentro: che un’altra persona era già morta, all’apertura. Quella persona è Vakhtang Enukidze, e la sua memoria è viva dentro come è viva fuori.

“Avete qualche idea di quale sia la ragione della sua morte?” – “La ragione può essere solo una” – “Quale?” – “Che loro hanno buttato dentro senza motivo poi hanno dato un kilo di medicamenti per calmarlo.”

“La gente qua deve uscire se no finisce con la stessa maniera per tutti, fate girare a tutti social media, al giornale, a tutti.”

Alcuni detenuti, ieri 14 luglio alle 6 di mattina, hanno trovato il compagno di cella morto nel letto e un ragazzo marocchino in condizioni gravi. Poi lo hanno visto venir trasportato via, come nel video che ci hanno inviato, e che pubblichiamo.

I primi a parlarne sono stati i giornali, anche ieri, come dopo la morte di Vakhtang Enukidze che attribuivano a una rissa tra detenuti, la stampa ha alterato la realtà senza ritegno.

Fino a ieri i cellulari nella zona blu erano stati sequestrati, come dopo la morte di Vakhtang “per favorire le indagini”. In quel caso, i detenuti testimoni erano stati rimpatriati immediatamente.

Ieri, un compagno di cella del ragazzo morto era stato ricoverato, inizialmente in gravi condizioni. Si è risvegliato oggi, il suo ultimo ricordo è di lunedì notte, quando gli venivano somministrati i medicinali. Sembra che le cartelle cliniche non siano accessibili a causa delle indagini in corso, ma sembra certo che la causa del suo ricovero d’urgenza fosse un’overdose.

Durante tutta la giornata di ieri, i familiari del secondo recluso trasportato all’ospedale hanno chiamato costantemente la struttura per sapere cosa stesse succedendo. Non riuscivano a contattare il fratello, con cui si sentivano frequentemente, dalla sera prima. Nessuno li ha avvisati che il fratello si trovava in ospedale e neppure gli avvocati erano stati informati. Solo la sera hanno scoperto, con fatica, che il ricoverato in terapia intensiva era proprio lui, e non lo hanno scoperto dal CPR.

Seguiranno aggiornamenti. 

MORTE NEL CPR DI GRADISCA!!!

MORTE NEL CPR DI GRADISCA!!!

Riceviamo e diffondiamo la notizia della seconda morte nel CPR di Gradisca.

Ci dicono che un ragazzo albanese è rimasto senza vita e che un ragazzo marocchino al momento è ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale di Gorizia. Circolano varie versioni dei fatti.

Durante il primo pomeriggio ci sono state rivolte nella zona rossa del CPR; la notizia della morte si sta diffondendo tra le varie zone della struttura, da dove ci raccontano che nella zona rossa è stato bruciato un materasso.

Nella zona blu, quella dove si trovavano i due ragazzi, sono stati sequestrati tutti i cellulari.

Quello che sappiamo con certezza è che, dopo solo sei mesi dalla morte di Vakhtang, un’altra persona ha perso la vita all’interno di questa atroce struttura.

CHE TUTTI I CPR CHIUDANO SUBITO!!!

(Di seguito un video-testimonianza giuntoci dall’interno qualche ora fa)

Diffondete il più possibile!!

https://www.facebook.com/nocprfvg/

Violenza nel CPR: manganellate, autolesionismo e censura – video

Mi hanno picchiato, poi sono caduto giù e sono uscito fuori di testa, ho preso la lametta e mi sono tagliato. […] siamo la stessa carne, siamo lo stesso sangue, non va bene che mi trattano come un topo.”

A parlare è una persona rinchiusa nel CPR di Gradisca. Ci dicono che per quattro giorni è stato portato avanti e indietro dall’ospedale, dove non è stato ricoverato, perché “forse hanno paura che scappa”, dice qualcuno da dentro. Ci raccontano che ha avuto mancamenti per quattro giorni di fila, ci hanno parlato delle sue condizioni con preoccupazione per giorni poi sembrava stesse meglio “fisicamente ma non mentalmente”, ma ci riferiscono che venerdì 10 luglio gli usciva sangue dalla bocca e che sia svenuto un’altra volta.

Cos’è successo?

Ci raccontano che sabato 4 luglio, verso le 9 di mattina, le forze dell’ordine sono entrate nella cella di alcuni reclusi per sequestrare gli accendini. “Come facciamo a fumare se ci tolgono gli accendini?”, chiede qualcuno. Ci dicono che molti stavano ancora dormendo, perché i pensieri impediscono di prendere sonno se non quando è già mattina.

Ci raccontano che qualcuno ha chiesto “perché?”, ma che che sono stati comunque buttati fuori in malo modo, tanto che una persona è caduta sul pavimento bagnato, e ha avuto bisogno dell’assistenza medica della struttura. Ci raccontano che altri reclusi hanno protestato per questo comportamento gridando alle persone in divisa di spiegargli il perché dell’intervento e chiedendo di non essere trattati come animali, tirati fuori dal letto e buttati fuori dalle stanze in malo modo.

Ci raccontano che in questo momento un ragazzo che protestava in difesa degli altri è stato preso di mira venendo manganellato da due poliziotti, colpito alla schiena e sulla testa, mentre altri detenuti gli dicevano di uscire nel cortile, dove sarebbe stato protetto dal fatto che ci sono le telecamere.

Ma, una volta uscito, ci raccontano che preso dallo sconforto per quell’ingiustizia subita, ha preso una lametta e si è tagliato tutto il corpo. Il video che alleghiamo riguarda un momento appena successivo a questo avvenimento.

Ci raccontano che questa persona è svenuta diverse volte ogni giorno nei quattro giorni seguenti, in una di queste occasioni all’interno del CPR gli è stata fatta una rianimazione cardiopolmonare, ed è stata portata al Pronto soccorso di Gorizia. Gli svenimenti avvenivano secondo alcuni per il sangue perso, secondo altri per le botte prese in testa, secondo altri ancora perché nei giorni successivi non mangiava più.

Ci raccontano che questa persona, una volta tornata nel CPR, è stata privata di alcune delle sue lettere di dimissione dal Pronto soccorso e ci dicono che nonostante continui a richiederle non gli vengono consegnate, e quindi non conosce i risultati delle analisi che gli sono state fatte. “L’ha presa quello mafioso che comanda noi tutti in CPR [..] stiamo morendo noi qua”, ci dicono. L’ultimo video è di ieri, a terra c’è sangue.

Immaginiamo che non verrà mai fatta chiarezza legale su questa storia, come non lo è stata fatta per la morte di Vakhtang Enukidze, pestato dalle guardie del CPR, secondo quanto raccontano i testimoni. Ma sappiamo, perché lo vediamo in questi video, che ancora una volta una persona, sotto la pressione insostenibile di un’atroce ingiustizia, si è tagliata il corpo per esprimere il proprio dolore. Sappiamo che questa persona come tutte le altre persone detenute vuole uscire, e che ha tutta la legittimità di volerlo, che si sente in gabbia “come un topo”, che crede che lì dentro a nessuno freghi se è vivo o morto, che il CPR di Gradisca “è come una Guantanamo, non un centro come gli altri”.

I CPR: una macchina fatta per poter ricattare e creare ricattabili, sulla pelle e di tante persone, che hanno avuto l’unica sfortuna di non avere il documento adatto.

L’unica soluzione è che non esistano più: che crollino le mura dei CPR! Che tutti i reclusi siano liberati!

Abbiamo coperto i volti e cambiato le voci per tutelare le persone coinvolte.

SCIOPERO DELLA FAME, AUTOLESIONISMO E TENTATE RIVOLTE NEL CPR DI GRADISCA

Loro mi hanno cambiato la vita e la testa. Ti fanno andare fuori di testa. Rovinano la gente, ti fanno cose brutte […]. Vedo alla telecamera mia madre e piange, la mia compagna e piange, tutti stanno male per me. […] Vedo solo brutto ormai, faccio una cosa brutta, sono stufo, non ce l’ho più la forza”.

A parlare è un giovane ragazzo, chiuso nel CPR di Gradisca; ci racconta di essere papà di una figlia di 4 mesi che non è mai riuscito a vedere e che non è nemmeno mai riuscito ad avere colloqui di persona con la compagna. Ci dice che da 3 giorni è in sciopero della fame con altre persone nel CPR di Gradisca, chiedono la loro liberazione immediata, perché non c’è nessuna ragione per cui siano tenuti lì dentro. “Non voglio più mangiare, voglio morire, mi hanno fatto male per niente“, dice un altro. Le voci dei reclusi ripetono di stare male, di non avere indumenti per cambiarsi di essere trattati come ratti e raccontano dei continui autolesionismi e accessi in pronto soccorso. Raccontano di stare chiusi in gabbia, al caldo, ci dicono che alcune volte ci sono dei piccoli incendi, come l’altro ieri sera, e che questi vengono presto bloccati.

Dopo mesi di Covid i rimpatri sono fortunatamente ancora bloccati, ma posti atroci come il CPR di Gradisca continuano esistere. Dentro ci finisce chiunque capiti sotto tiro nel momento sbagliato, purché migrante e con problemi con i documenti. Tra le persone con cui abbiamo parlato c’è chi ci ha detto di esserci capitato dopo essere andato in questura a sollecitare la residenza, chi perché ha ricevuto un controllo per strada, chi perché uscendo dopo un mese in prigione si trova una camionetta ad aspettarlo per prolungare la sua detenzione.

Storie il cui senso può essere visto solo nella macchina del ricatto usata per lo sfruttamento della mano d’opera migrante e di cui il CPR è un ingranaggio punta. Perché nel piccolo e nel personale di ognuna di queste storie un senso logico non c’è. Benché si cerchi di dipingere i reclusi come criminali si tratta di persone che per puro caso o sfortuna vengono inviate a impazzire nel CPR, un posto inaccettabile, inattaccabile, ignifugo, senza socialità, dove le persone vengono chiuse in gabbie e dove spesso non gli rimane che tagliarsi letteralmente il corpo dal dolore. Se poi vengono anche davvero deportate nel Paese d’origine, allora per molte, che ormai hanno una vita in Italia, nel migliore dei casi è come se un mondo intero gli crollasse addosso.

Che crollino le mura del CPR di Gradisca!

La foto è recente e ci è stata inviata dall’interno dicendoci che è il braccio di uno dei detenuti nel CPR di Gradisca, una delle tante braccia tagliate lì dentro.