Trasferimento ora

In questo momento stanno venendo trasferite 15 persone dal CPR di Gradisca, tra cui c’è H., il ragazzo testimone degli orrori di Piacenza.

Si tratta di 13 persone dal Marocco e 2 dall’Algeria, alle quali stanno dicendo che le stanno portando al CPR di Ponte Galeria (Roma),  cosa che loro non sanno se sia vera o meno. Alcuni dicono che se arriveranno nel CPR di Ponte Galeria gli verranno poi tolti i telefoni.

SITUAZIONE INSOSTENIBILE: CHIUDERE SUBITO IL LAGER!

URGENTE: H., il ragazzo testimone dell’orrore di Piacenza e che ha passato 4 mesi in carcere (qui) per non collaborare con lo spaccio della caserma, ci racconta di star subendo maltrattamenti in CPR. Dopo essere riuscito ad arrampicarsi su un tetto nei giorni scorsi, è in sciopero della fame da due giorni, dice che forse quando starà morendo di fame lo libereranno. Chiediamo aiuto nella diffusione e nel fare il possibile perché sia liberato.

Intanto pesantissimi atti di autolesionismo da parte di una persona che ci racconta come il CPR faccia impazzire, e poche ore fa un ragazzo è stato trasportato in una coperta, non si sa né verso dove né come stia: chiunque possa faccia qualcosa!

Continuano inoltre ogni sera incendi nel CPR, che, ignifugo, continua a reggere alla disperazione dei reclusi.

Chiunque faccia qualcosa perché il CPR chiuda e i suoi detenuti siano liberati.

Il CPR è un lager!!

La storia di S.W., che è stato rimpatriato oggi da Gradisca

Pubblichiamo la testimonianza di S.W., un ex recluso. Nella prima parte, viene raccontato un tentato pestaggio poliziesco nel CPR di Gradisca, che ben testimonia quale sia l’atteggiamento intimidatorio – quando non espressamente violento – della polizia all’interno del centro. Quando uno degli internati del CPR si è autolesionato, tagliandosi con una lametta, gambe, torace e collo per protestare contro lo stato di detenzione in cui vive. Venti uomini delle f.d.o. interne al CPR si sono presentati in assetto antisommossa pronti a picchiare la persona in questione per riportarla all’ordine. Nella seconda parte, S.W. racconta la storia della sua vita, mostrando come uno Stato strutturalmente razzista possa cominciare a distruggere la vita delle persone ben prima di chiuderle in un CPR.

Sono arrivati in venti in assetto antisommossa, in schiere da cinque, come se volessero assaltare una città. Quando volevano picchiare [un recluso] in venti persone, io ho tirato fuori il cellulare e cominciato fare video. Uno di loro, che era il capo, mi ha detto: ti porto in carcere se fai il video. Io ho risposto che non ho paura di carcere e io denuncio a voi.

Loro dopo sono andati via perché c’erano tutti. E sono arrivato dopo nella mia stanza con ragazzi di esercito e mi uno ha detto che avevo violato leggi perché avevo fatto un video a loro. Io ho detto di provarlo in tribunale e che però io cellulare non glielo davo. […]
Ha detto che mi denunciava, e ho risposto: fai pure denuncia, ci vediamo in tribunale. Lui se n’è andato.

Io ormai ho capito come funziona in Italia. Io non ho fatto rapine o spacciato droga. Non ho rubato. Tutte le denunce che ho sono violenza, resistenza, minaccia etc etc di carabinieri della mia città ***.

Anche loro hanno scritto tutto quello che vogliano. Mi hanno picchiato tre volte quando ero ubriaco e chiedevo loro di mandarmi in Pakistan o darmi indietro passaporto. Hanno ragione loro sempre. Ti giuro che non ti ho detto niente di falso. Avevo costruito in anni mia vita ed è stata rovinata da una denuncia dei carabinieri, sempre gli stessi di *nome città*, dove abitavo da 15 anni.

E anche qui in CPR ci riempiono di denunce. Peggiorano la situazione di ogni persona così. Il giudice qui in Italia non hanno mai fatto qualcosa contro la polizia. Io avevo certificazione in carcere perché mi avevano picchiato in caserma con calci pugni in venti. […]

E ancora sono qui. Non mi hanno confermato ancora che mi rimandano in Pakistan. Se non vado, faccio un casino qui e vado in carcere. Almeno mi danno gli arresti domiciliari. Qui è un casino. Il carcere è meglio di qui, almeno lavori e passi il tempo.

Non posso andare senza passaporto. Sono tre anni che la Questura mi ha preso il mio passaporto con permesso di soggiorno per lungo periodo e carta di identità. […]

Avevo permesso di soggiorno francese anche, ma è scaduto perché avevo obbligo di firma da giudice di pace di *nome città* per espulsione nel 2017; non mi hanno mai fatto espulsione e nemmeno mi hanno dato il passaporto. Io dopo un anno di firma ho rifiutato di firmare a carabinieri di *nome città* ed è successo un casino con quei bastardi. Ho preso denuncia e condanna per 14 mesi per resistenza e violenza pubblico ufficiale. Mi hanno picchiato di brutto.

Ho fatto richiesta anche in TAR di *** per avere documenti, due volte. Mi hanno rifiutato perché la Questura dice che sono pericoloso. Io non ho rubato nulla, non ho fatto rapine, non ho spacciato. Ho solo denunce da parte dei carabinieri di *nome città*. Sempre con loro. Io sono stanco di queste cose di polizia, avvocato, giudice etc etc. Non ho armonia o tranquillità nella mia vita da quattro anni. Non posso sfidare lo Stato. Ero depresso in quel periodo e bevevo troppo e usavo sempre sonniferi per dormire. Quelle denunce hanno cambiato mia vita in peggio. Io ho sempre lavorato e non mi manca niente però non voglio più stare in un posto dove non hai una sicurezza di futuro.

Nel 2004 ero venuto in Italia e non avevo nessuna denuncia fino al 2016, ti giuro, neanche una multa. Avevo una ragazza italiana, una casa, un lavoro, tutto: invece di aiutarmi a risolvere i problemi con testa o portarmi da uno psicologo, mi hanno fatto denunce.

Si tratta di S.W., un giovane arrivato in Italia da minorenne più di 15 anni fa. Qui si è fermato a Reggio Emilia, dove ci racconta che ha lavorato per dieci anni in una stalla e per cinque come camionista. Nel 2017 la Questura gli ha fatto un decreto di espulsione, lui però dice che non aveva la consapevolezza di cosa stesse firmando. Da lì, non ha mai più avuto modo di regolarizzarsi, nonostante i soldi che ci racconta di aver investito in avvocati e ricorsi. Sembra sia entrato in CPR perché si è presentato nella stessa Questura chiedendo di essere rimpatriato, esausto dalla vita cui è stato costretto in Italia, pur non avendo alcun legame con il Paese d’origine che aveva lasciato da bambino. Invece di un rimpatrio assistito, è stato portato a Gradisca dove come gli altri ha rischiato la morte. Nel suo tempo dentro il CPR noi sappiamo solo che è stato molto gentile, che ha aiutato chiunque potesse stando attento alle necessità degli altri detenuti, che faceva sport per cercare di rimanere lucido e di stancare il suo corpo in modo da non trovarsi costretto ad accettare la terapia farmacologica per dormire. Dopo il presidio spontaneo di solidali nato davanti al CPR in seguito alla morte di Orgest Turia, S.W. diceva a chiunque fosse passato lì davanti:

“Grazie per vostro sostegno. Tutti ragazzi vi salutano e ringraziano. Anche se non cambia niente voi avete fatto la vostra parte. [Ci] Sono ancora persone come voi che credono in umanità. È già tanto per me. Questo ho imparato da voi. Persone diverse in nazionalità religione etc etc che credono che ognuno ha diritto di avere una seconda possibilità di vivere in società, dando il suo contributo. Grazie a tutti voi.”

Purtroppo anche S.W. ora non è più in Italia, lasciandoci sempre più sol* con italiani come quelli che oggi sono entrati in Consiglio regionale, come quelli che dal Consiglio regionale hanno invitato allo sterminio o come quelli che hanno dato ampia diffusione ai video di questi soggetti, ignorando invece quelli delle rivolte nel lager di Gradisca d’Isonzo.

Z., che non si alza dal letto da ottanta giorni

A Gradisca, un uomo sta a letto da ottanta giorni. Ci parlano di lui altri reclusi, ci dicono che sta costantemente disteso a letto, dorme moltissime ore, avvolto in una coperta marrone di lana, nonostante il caldo. Riusciamo a ricostruire che sta in quelle condizioni da circa ottanta giorni, sappiamo che, per quanto non si alzi quasi mai dal letto, non ha smesso di mangiare.

Sappiamo che riceve 20 gocce al giorno di Rivotril, altrimenti noto come clonazepam, una benzodiazepina usata per trattare l’epilessia. Lo stesso foglietto illustrativo specifica che l’uso di medicinali antiepilettici come il clonazepam aumenta il rischio di avere pensieri e/o comportamenti suicidari e l’uso di dosi elevate e/o per periodi prolungati può dare dipendenza fisica e psichica, soprattutto se chi lo assume in passato ha abusato di medicinali, droghe o alcol. Nel CPR, a moltissime persone viene somministrato il Rivotril, anche se si tratta di persone con altre dipendenze o che rischiano di subirne pesantemente gli effetti collaterali.

Ogni 15 giorni Z. riceve anche una puntura, non sappiamo per quale motivo e di che sostanza.

Un suo compagno di prigionia ci dice che, se non si fa qualcosa per toglierlo da quella situazione, Z. sarà il prossimo morto del CPR di Gradisca.

Nel frattempo, per le persone con problemi psicologici o psichiatrici dentro al CPR l’assistenza del SSN è stata limitata alla possibilità di un colloquio ogni quindici giorni, in via telematica. Un tipo di assistenza quindi praticamente inutile, a detta degli stessi operatori e operatrici del SSN, più somigliante a una presa in giro, per persone costrette in condizioni disumane, cui spesso vengono somministrati sedativi e medicinali vari in maniera coatta al fine di cercare di spegnere in loro ogni moto contro la loro condizione e i suoi ben chiari responsabili.

Per fortuna, questo giochetto non funziona quasi mai.

DEPORTAZIONI DAL CPR E NUOVI VIDEO DA DENTRO – Aggiornamenti del 30.07.2020

Tra venerdì e domenica, nel CPR di Gradisca sono avvenute continue rivolte: le condizioni di vita dentro sono pesantissime, come abbiamo cercato di raccontare pubblicando testimonianze foto e video; la rabbia dopo la morte di Orgest Turia si intreccia alla paura di morire nello stesso modo. Ora sappiamo che quattordici persone sono state deportate; i loro posti sono stati subito occupati da altri internati. Il CPR è una macchina a ciclo continuo.

Abbiamo già raccontato di queste rivolte qui.

Pubblichiamo ora due video della repressione poliziesca delle rivolte. Dopo i diversi incendi e durante lo sciopero della fame, ci raccontano che le guardie hanno oscurato le telecamere prima di dedicarsi a pestaggi massicci; alcune persone, ci viene detto , sono state isolate dalle altre e pestate dalle guardie in assetto antisommossa. Un uomo è svenuto per le botte, ma è stato impedito agli altri reclusi di avvicinarglisi per soccorrerlo.

“Guardate, guardate, usano il flessibile per entrare. Ormai siamo arrivati alla fine, non ce la facciamo più”

“Stanno entrando con i bastoni, si stanno preparando” […]

“Ispettore, ispettore, ci mettete da un’altra parte? Non si può stare qua”

“Noi vogliamo andare via”

“Stanno togliendo i materassi a tutti, insomma dormiamo per terra.”

“Guarda che lo sta picchiando […] e per niente, per niente, i ragazzi non hanno fatto niente”

Quattordici persone, in seguito ai pestaggi delle guardie, sono state deportate in Tunisia. Le deportazioni, che si erano fermate durante l’emergenza sanitaria, sono quindi ripartite proprio in concomitanza con la visita della ministra Lamorgese in Tunisia. Un chiaro messaggio da spedire oltremare, proprio nei giorni in cui centinaia di persone sono in fuga dalla Tunisia al collasso e dai campi di concentramento libici, possibili grazie al sostegno economico e militare del governo italiano, giungono sulle nostre coste. I voli charter verso la Tunisia sono, storicamente, tra i più numerosi: nel 2018, l’Italia ha organizzato 66 voli charter di rimpatrio verso la Tunisia, su 77 voli charter totali. A Gradisca e negli altri CPR, le deportazioni di testimoni scomodi e soggetti ribelli è una pratica consolidata. Anche a gennaio, i testimoni della morte di Vakhtang Enukidze erano stati deportati in fretta e furia, anche nell’Egitto del dittatore al-Sisi.

Continuiamo a mantenere i contatti con l’interno e far uscire le voci da dietro quel muro. Sappiamo bene però che è importante anche portare solidarietà diretta, andando sotto a quel lager e facendo sentire le nostre voci: invitiamo tutte le persone solidali a essere pronte a tornare a Gradisca ogni volta che sarà necessario esprimere vicinanza concreta a chi questo lager lo subisce sulla propria pelle.

REPRESSIONE E BOTTE ORA AL CPR – AGGIORNAMENTI DEL 26 LUGLIO 2020

Al Cpr di Gradisca negli ultimi giorni ci sono stati altri incendi e molti dei reclusi hanno subito una repressione molto violenta. Uno di loro è stato allontanato per essere picchiato e ed è stato costretto a dormire su una rete di ferro senza materasso.

In seguito a questo ennesimo episodio di violenza da parte dei poliziotti, la quasi totalità dei reclusi delle zona Blu del Cpr, una cinquantina di persone, è entrata in sciopero della fame.

Ci raccontano che le f.d.o. hanno punito quasi tutti gli scioperanti con botte pesantissime: un ragazzo tunisino, in particolare, è stato portato all’ospedale e nel corso della mattinata sono arrivate almeno due ambulanze per altri detenuti a cui è toccata la stessa sorte.

Da quello che ci raccontano dall’interno del centro, le telecamere sono state oscurate, per non far rintracciare alcuna prova dei fatti, e le persone sono state portate in un luogo isolato prima di essere picchiate.

Riceviamo delle foto che testimoniano quanto accaduto, ma ci viene chiesto esplicitamente di non pubblicarle per non mettere in pericolo le persone coinvolte e per non far preoccupare ulteriormente le loro famiglie.

M., un ragazzo egiziano è stato picchiato dalle guardie in seguito agli incendi poi si è autolesionato per protesta.

Un altro ragazzo egiziano da due settimane soffre di un fortissimo mal di denti, ma non ha ancora ricevuto alcuna assistenza medica.

Ci raccontano poi che quando Orgest Turia è morto in CPR e H. è andato in terapia intensiva, i quattro compagni di cella e testimoni sono stati trattenuti in una stanza per 24 ore senza cibo. Uno di loro è stato buttato a terra e preso a calci perché aveva osato uscire dalla cella per andare in bagno senza chiedere permesso.

Recentemente, è diventato più pericoloso filmare quello che avviene dentro il CPR e inviarlo fuori.

In generale, i detenuti ci parlano di condizioni esasperanti e di trattamenti mai subiti, nemmeno in carcere, per chi di loro ci è stato. Molti di loro non riescono a dormire, né a mangiare. Gli incendi per protesta sono all’ordine del giorno e molti di loro finiscono per respirare molto fumo e stare male anche per questa ragione. Stando a quanto ci raccontano, le conseguenze per gli atti di protesta sono quasi sempre pestaggi da parte delle guardie del centro e vari atti intimidatori, tra cui denunce per resistenza a pubblico ufficiale o danneggiamento.

FINE DI UNA TRAGEDIA, CON UN ARRESTO E CON UN ESTINTORE APERTO SUL VOLTO DI UNA PERSONA

Scriviamo quest’articolo per spiegare la tragedia che sta dietro all’arresto di un recluso nel CPR di Gradisca, apparso ieri su un quotidiano sotto l’ignobile sottotitolo «Lì dentro delinquenti ex carcerati». Invitiamo a leggere fino in fondo e diffondere. Ci troviamo ormai senza parole per descrivere quanto la realtà dentro i CPR venga storpiata dai media, che, descrivendola attraverso la voce di poliziotti o altre persone di parte, assumono un ruolo essenziale nella costruzione di un immaginario falso attorno al lager e alle persone recluse, legittimando quindi la sua esistenza e concimando il razzismo più becero.

Cos’è successo?

I reclusi ci raccontano che da alcune settimane sono entrate molte persone nel CPR “appena arrivate in Italia” e che non parlano italiano. Da alcuni quotidiani locali leggiamo che si potrebbe trattare di persone in arrivo dalla rotta balcanica, da dentro invece ci dicono che vengono da Lampedusa.

Tra questi c’era R. un ragazzo egiziano, ora in arresto. Molti detenuti ci parlano di lui da giorni, preoccupati per la sua sorte. Finora non siamo riuscite a riportare le loro voci riguardo a questa storia, perché nel frattempo nel CPR è morto Orgest Turia e il suo compagno di cella, H., è stato salvato in extremis. H. ora si trova in ospedale, ma vogliono rinchiuderlo di nuovo dentro il CPR, contro la sua volontà e quella di tutti i familiari, che sono certi che non mangerebbe niente se entrasse, per lo shock e la paura che gli succeda un’altra volta la stessa cosa.

Torniamo a R. Da quello che ci raccontano, R. è uscito dalla zona di quarantena verso l’11 luglio, non parlava italiano, era appena riuscito ad arrivare in Italia ed era molto stressato per due ragioni: gli era stato tolto il cellulare e aveva un forte dolore ai denti ma, a quanto ci dicono, le sue richieste non venivano ascoltate.

Ci dicono che il 15 luglio R. inizia a protestare vivacemente e che per questo gli viene finalmente data attenzione, ci riferiscono che gli viene detto che verrà avvisato il capo e quindi lui aspetta questo colloquio.

Il colloquio però non sembra arrivare. Tra il 16 e il 18 luglio, ci raccontano che nella sua cella scoppiano dei piccoli incendi, in cui lui si brucia un braccio. Ci dicono che viene denunciato per danneggiamento e gli altri detenuti continuano a dire che lui non deve stare lì, che non ha senso perché è appena arrivato in Italia e che ha bisogno del suo cellulare.

Il 19, durante il giorno, la rabbia di R. esplode, ci raccontano che si trova nella cella con gli altri reclusi, mentre gli operatori e i militari si trovano protetti dall’altra parte delle sbarre. Nei video di quei momenti si sente chiaramente qualcuno tra questi ultimi che gli dice “Adesso ti arriva il telefono, va bene? […] se io ti prometto qualcosa la mantengo va bene?”; i reclusi vicini a R. invece cercano di tranquillizzarlo: “Non ti preoccupare, va bene”, sanno che R. è psicologicamente instabile per la situazione in cui si trova. Ripetono che R. sta impazzendo e che ha iniziato anche a dormire fuori, per terra.

Ci raccontano che nelle prime ore del 20 luglio nella stanza di R. scoppia un nuovo incendio. Altri reclusi si svegliano e qualcuno esce dalla cella per il fumo. A quel punto, da quello che ci raccontano, un operatore aziona l’estintore sul volto di M., un altro recluso, che perde i sensi e viene trasportato in Pronto soccorso assieme ad altri. Ora sono tutti arrabbiati: pensano che M. ha rischiato la vita e che R. non doveva stare lì, ormai non stava più psicologicamente bene. R. non deve stare nemmeno in galera, dove si trova ora.

Con la rabbia in corpo, perché abbiamo sentito un’altra storia ingiusta, perché vogliono riportare H. in CPR oggi, perché il CPR esiste, ma anche per la complicità più squallida dei media, ripetiamo: che i muri di quel lager possano crollare!

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

18/07/2020

6 mesi dalla morte di Vakhtang, 4 giorni dalla morte di un’altra persona.

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

Anche questa volta, la prima versione della notizia della morte di un giovane di 28 anni nel CPR di Gradisca è quella di una rissa tra detenuti, seguita poi dalla versione più in voga al momento: la morte per overdose.

Fino a prima della lunga serie di rivolte dei detenuti nelle carceri italiane del marzo scorso, una delle versioni preferite da polizia e quindi dai media era “edema polmonare”, così per Stefano Cucchi, così per Vakhtang Enukidze, entrambi morti in seguito ai pestaggi dei loro carcerieri, nonostante il capo della polizia Gabrielli abbia trovato “offensivo” il paragone.

Le sommosse di marzo in oltre trenta carceri italiane vengono sedate al prezzo di 14 morti sul groppone dello Stato – i secondini circondano le carceri armi in pugno, a Modena i parenti hanno riferito di aver sentito distintamente spari – che si affretta a a comunicare che i decessi sono stati causati “per lo più” da overdose di psicofarmaci e metadone. Da quel momento è un continuo. Solo per rimanere qui da noi, il 15 marzo scorso dentro il carcere di via Udine muore Ziad, un prigioniero di 22 anni a seguito della somministrazione di metadone e psicofarmaci in dosi eccessive, una settimana fa muore nel carcere del Coroneo di Trieste Nicola Buro, ufficialmente per arresto cardiaco, “che potrebbe essere stato causato da un abuso di farmaci”.

Ora è toccato a un uomo albanese rinchiuso al CPR di Gradisca, morto tre giorni fa, quando anche a un suo compagno di stanza, poi ricoverato, stava per toccare la stessa sorte.

Si scatena subito tra i soliti media locali la gara a riportare la versione che dipinga al meglio la prefettura: prima una rissa, poi ogni sforzo viene devoto a creare l’immagine dei detenuti-tossici (si sa, il posto dei tossici dovrebbe essere la galera) e dello smercio di sostanze all’interno del CPR. Il Prefetto Marchesiello dice che va tutto bene e sotto controllo (e ci mancherebbe, tanto i migranti posso andarsene quando vogliono, come diceva a gennaio in un’intervista), la sindaca DEM Tomasinsig constata con la consueta retorica democratica che “in quella struttura ci sono numerose persone con alle spalle una storia di problemi psichici, o di dipendenze” (quindi è normale che finiscano dove sono), un ex dipendente del vecchio CIE racconta che “c’è chi ricorre ai farmaci puramente per “sballarsi” ed ammazzare il tempo” (tanto non hanno altro da fare) e, ciliegina sulla torta, la testimonianza anonima di un esperto poliziotto che parla di “sotterfugi”, “favori tra detenuti” e “mercati interni”. Al giornalista naturalmente sfugge il fatto che ognuna di queste figure è interessata e parte attiva del mantenimento del campo di deportazione di Gradisca.

Il punto non è se e quanti psicofarmaci ogni detenuto assume, il loro utilizzo non è mai stato un “mistero” all’interno delle strutture di reclusione.

Il problema semmai è l’esistenza di istituzioni totali di reclusione e annientamento quali sono le carceri e i CPR, con il loro portato di violenze, umiliazioni, abusi e morte.

Galere e CPR sono accumunati dall’uso di metodi “soft” come la somministrazione di farmaci, spesso all’insaputa dei detenuti o in dosi sproporzionate, utili alla sedazione di quegli individui più inclini a rivoltarsi.

Non ci stanchiamo di ripetere che tutto questo è materialmente realizzabile non solo grazie alla locale Prefettura, all’esercito e alle varie guardie in tenuta antisommossa sempre pronte a picchiare duro ad un fischio dei secondini-operatori della Cooperativa EDECO (ormai con tre morti nel pedigree, non si dimentichi Sandrine Bakayoko morta a Conetta nel 2017), ma anche grazie agli/le infermeri/e, alle operatrici legali, e tutti quei collaboratori indispensabili al funzionamento del lager.

Infine due parole sulla cosidetta Garante comunale dei detenuti Giovanna Corbatto: la notizia della sua visita al CPR viene diffusa su tutti i media diversi giorni prima della data da lei concordata con la Prefettura, quando – dato il suo ruolo – sarebbe potuta entrare nel CPR senza preannunciarsi, verificando così meglio le reali condizioni del campo. Di sicuro in questo modo non potrà vedere il sangue che ricopriva il cuscino e il pavimento vicino al letto sul quale è morto l’uomo albanese, e che i suoi compagni di cella volevano fosse visto, come non potrà vedere molti altri particolari non ripresi dagli “occhi” della videosorveglianza.

Ai rinchiusi/e va la nostra solidarietà.

Che i muri di tutti i CPR possano cadere!

Quello che sappiamo del ragazzo morto a Gradisca – video

Ieri, nel CPR di Gradisca, un ragazzo di 28 anni è morto.

Ieri pomeriggio, siamo stati sotto quelle mura, eravamo circa sessanta. Volevamo parlare con chi sta chiuso dentro, per fargli sentire che sapevamo che uno di loro era morto e gli eravamo solidali, e per sapere com’era andata, secondo loro.

Gridando da una parte all’altra del muro, ci hanno detto che il ragazzo che è morto era stato imbottito di medicinali; tra gli altri, aveva assunto sicuramente il Rivotril – una benzodiazepina ad alta potenza con ansiolitiche, sedative, antiepilettiche – che viene spesso somministrato ai reclusi. L’abuso di psicofarmaci è una costante nei centri di internamento: le persone li assumono per evadere da quel quotidiano senza speranza e/o come sostitutivi legali di altre sostanze. Tuttavia, chi prescrive gli psicofarmaci ha una responsabilità clinica precisa: se veramente il ragazzo – del quale ancora non conosciamo il nome – fosse morto per overdose di psicofarmaci, i responsabili diretti della sua morte sono nel CPR. 

Da dentro, ci hanno gridato che non si trattava della prima morte lì dentro: che un’altra persona era già morta, all’apertura. Quella persona è Vakhtang Enukidze, e la sua memoria è viva dentro come è viva fuori.

“Avete qualche idea di quale sia la ragione della sua morte?” – “La ragione può essere solo una” – “Quale?” – “Che loro hanno buttato dentro senza motivo poi hanno dato un kilo di medicamenti per calmarlo.”

“La gente qua deve uscire se no finisce con la stessa maniera per tutti, fate girare a tutti social media, al giornale, a tutti.”

Alcuni detenuti, ieri 14 luglio alle 6 di mattina, hanno trovato il compagno di cella morto nel letto e un ragazzo marocchino in condizioni gravi. Poi lo hanno visto venir trasportato via, come nel video che ci hanno inviato, e che pubblichiamo.

I primi a parlarne sono stati i giornali, anche ieri, come dopo la morte di Vakhtang Enukidze che attribuivano a una rissa tra detenuti, la stampa ha alterato la realtà senza ritegno.

Fino a ieri i cellulari nella zona blu erano stati sequestrati, come dopo la morte di Vakhtang “per favorire le indagini”. In quel caso, i detenuti testimoni erano stati rimpatriati immediatamente.

Ieri, un compagno di cella del ragazzo morto era stato ricoverato, inizialmente in gravi condizioni. Si è risvegliato oggi, il suo ultimo ricordo è di lunedì notte, quando gli venivano somministrati i medicinali. Sembra che le cartelle cliniche non siano accessibili a causa delle indagini in corso, ma sembra certo che la causa del suo ricovero d’urgenza fosse un’overdose.

Durante tutta la giornata di ieri, i familiari del secondo recluso trasportato all’ospedale hanno chiamato costantemente la struttura per sapere cosa stesse succedendo. Non riuscivano a contattare il fratello, con cui si sentivano frequentemente, dalla sera prima. Nessuno li ha avvisati che il fratello si trovava in ospedale e neppure gli avvocati erano stati informati. Solo la sera hanno scoperto, con fatica, che il ricoverato in terapia intensiva era proprio lui, e non lo hanno scoperto dal CPR.

Seguiranno aggiornamenti. 

MORTE NEL CPR DI GRADISCA!!!

MORTE NEL CPR DI GRADISCA!!!

Riceviamo e diffondiamo la notizia della seconda morte nel CPR di Gradisca.

Ci dicono che un ragazzo albanese è rimasto senza vita e che un ragazzo marocchino al momento è ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale di Gorizia. Circolano varie versioni dei fatti.

Durante il primo pomeriggio ci sono state rivolte nella zona rossa del CPR; la notizia della morte si sta diffondendo tra le varie zone della struttura, da dove ci raccontano che nella zona rossa è stato bruciato un materasso.

Nella zona blu, quella dove si trovavano i due ragazzi, sono stati sequestrati tutti i cellulari.

Quello che sappiamo con certezza è che, dopo solo sei mesi dalla morte di Vakhtang, un’altra persona ha perso la vita all’interno di questa atroce struttura.

CHE TUTTI I CPR CHIUDANO SUBITO!!!

(Di seguito un video-testimonianza giuntoci dall’interno qualche ora fa)

Diffondete il più possibile!!

https://www.facebook.com/nocprfvg/