Venerdì 21 settembre 2018

#2. Come già accennato, il numero di migranti che ogni sera arriva allo squat per un pasto caldo dello chef Bashir tende a fluttuare tra le 70 e le 120 persone. Le variabili: il flusso in entrata e in uscita da Belgrado e la direzione di questo flusso; la praticabilità della rotta bosniaca che entra in Croazia dopo Velika Kladuša; e naturalmente l’operatività della polizie serba e croata. Questo perché, a cadenza quasi giornaliera, dopo cena decine di ragazzi preparano i propri beni (soprattutto le scarpe), e si avvicinano ai treni e ai camion che fermano a Šid e sono diretti verso i Paesi dell’Europa centrale. Senza che conducenti o capitreno se ne accorgano i ragazzi – tutti o quasi tra i 15 e i 23 anni, ma abbiamo anche un dodicenne – saltano sui mezzi e cercano di nascondersi come possono. Scenderanno poi quando il mezzo avrà attraversato almeno una frontiera, ma in ogni caso quelli che sono respinti vengono colti generalmente in cinque momenti distinti. Questa struttura in livelli, la difficoltà ascendente che separa l’uno dall’altro, il set di abilità uniche richieste per ognuno, l’incidenza di una certa componente di fortuna, la presenza di checkpoint (gli squat e i campi) da cui è sempre possibile ripartire, le conseguenze progressivamente più incisive della cattura e la giovane età dei migranti credo siano le ragioni per cui questo modo di spostarsi sia universalmente noto come the Game. I momenti in cui è possibile perdere, vale a dire essere presi e ricondotti al punto di partenza, sono i seguenti:
1) Immediatamente saliti sul mezzo di trasporto.
Oltre ad una certa velocità di corsa è cruciale avere bene in mente gli orari di partenza dei treni e dei camion sufficientemente grandi da offrire un buon nascondiglio. Se non si è abbastanza lesti lo chauffeur scende e scarica i partecipanti; i ragazzi però sono ancora freschi e, anche a fronte di un’elevata aggressività del conducente, se la cavano al massimo con un calcio in culo. Le conseguenze della squalifica quindi sono abbastanza modeste e durano pochissimo, vale a dire fino al successivo mezzo giocabile.
2) A Šid dalla municipale.
I migranti vengono raccolti e scortati verso la jungle dove molti di loro vanno a dormire. Inaspettatamente le conseguenze della squalifica si fanno più leggere sul piano fisico, però se reiterata pesa molto sul morale del giocatore. Va detto che, se esiste un’abilità assolutamente necessaria e che deve essere impiegata in ogni tratta del viaggio, questa abilità è la caparbietà, da cui si genera la pazienza di aspettare il giusto mezzo giocabile, la tenacia per camminare quando fanno male i piedi, eccetera. Comunque ogni migrante è ben consapevole che, a questo punto, le sue possibilità di arrivare in Croazia si andavano facendosi più concrete. Forse i meno scafati iniziavano a pensare alla Slovenia, o addirittura all’Italia e alla Germania. La causa principale della squalifica qua dipende direttamente dal tipo di Game che era in corso. Se si tratta di un Big Game, vale a dire un Game molto partecipato e che generalmente si svolge di notte, la squalifica insorge per scarsa fortuna: un po’ passano, moltissimi sono presi, cosicché tra noi volontari serpeggia la quasi-certezza che questi Big Game siano roba da beoti. In verità qualche sera fa, quando abbiamo incrociato sulla strada verso casa almeno trenta-quaranta partecipanti seguiti da una macchina della polizia che procedeva a passo d’uomo, so di per certo che due cugini con cui avevo chiacchierato qualche ora prima sono riusciti a passare, e con loro almeno altri dieci. Spessissimo però succede che in molti si muovano preventivamente o bazzichino con eccessiva convinzione nei dintorni della stazione ferroviaria o del polo industriale da dove partono i camion, mettendo in allarme la polizia che pare sensibilissima a questo tipo di fermento. É un pochino come nei 100 metri piani, una falsa partenza di uno o di pochi nuoce a tutti quelli che sono in gara.
Se invece si tratta di un Game che raccoglie poche unità e si svolge a qualsiasi orario del giorno, venire beccati dalla muni

cipale di Šid diventa veramente questione di scarsa scaltrezza o estrema sfortuna, perché generalmente chi partecipa a questi Game piccoli viene squalificato al livello successivo.
3) Ovvero al posto di frontiera, in collaborazione tra la polizia croata e quella serba. Chi ha superato i primi due livelli, nettamente i più agevoli, deve ancora passare attraverso la tagliola dello scanner nel posto di blocco dalla parte croata del confine che si trova a una manciata di chilometri dal centro di Šid. Sicuramente più della metà dei partecipanti si ferma a questo punto. Credo che questi scanner siano delle macchine a raggi X attraverso cui passano i camion, ma non sono sempre in funzione e così passare il confine, se si è fortunati, è solo una questione di qualità del cantuccio che ci si è scelti. Se invece sono in funzione, a giudicare da quanti rimandano indietro, sono degli strumenti abbastanza potenti. La polizia croata avvisa quella serba che prende in carico i ragazzi, li monta su una volante o su un furgoncino, li porta alla stazione di polizia di Šid per impronte digitali e una serie di “second time jail”, che non ha la minima pretesa di verità e in effetti non spaventa nessuno.
4) In territorio croato.
Lo scarto nel tenore delle conseguenze della squalifica balza nettissimamente in avanti. In prima istanza dal punto di vista giuridico, perché la Croazia pratica sistematicamente pushback di questi ragazzi. Questa mattina, in un attimo di pausa, ho trovato una definizione di pushback che mi è parsa molto precisa, e quindi la copincollo:
‘Pushback’ is the term used to describe the practice by authorities of preventing people from seeking protection on their territory by forcibly returning them to another country. By pushing back those seeking safety and dignity over a border, states abdicate responsibility for examining their individual cases. Pushbacks encompass the legal concept of collective expulsion, which is prohibited in Article 4 of Protocol No 4 to the European Convention on Human Rights (ECHR). This refers to the ‘prohibition of collective expulsion of aliens’, which occurs when a group is compelled to leave a country without reasonable and objective examination of individual cases.
Pushbacks violate international and EU law because they undermine people’s right to seek asylum, deny people of the right to due process before a decision to expel them is taken, and may eventually risk sending refugees and others in need of international protection back into danger. (fonte: Oxfam)
In seconda istanza perché la polizia croata si lascia andare molto, molto, molto spesso a insulti, percosse e minacce armate anche su minori non accompagnati, donne e bambini. Spesso sottraggono soldi e telefono cellulare. Chiunque venga catturato è immediatamente deportato in Serbia e, tra quelli che poi vengono a mangiare allo squat, una buona percentuale presenta contusioni, ferite o escoriazioni o lamenta dolori in varie parti del corpo. La nostra doctor ha sempre un gran daffare. Una discriminante piuttosto importante è il luogo in cui si viene arrestati. Se succede nelle vicinanze della frontiera serbo-croata alle manganellate, ai calci, agli insulti segue un rapido scarico in territorio extra-UE. Con la vicinanza della Mitteleuropa aumentano i disagi: le percosse ne guadagnano in intensità e inizia un viaggio di molte ore verso la Serbia.
Negli ultimi giorni ho parlato con diversi ragazzi che mi hanno raccontato di traduzioni sportive. Tutti i resoconti mi sono parsi non solo coerenti tra loro, ma addirittura complementari nella descrizione di massima delle abitudini delle polizia croata, e allora sono riuscito a strutturare una specie di normotipo del poliziotto croato procedendo quasi per esclusiva addizione di nuovi elementi su quelli già in mio possesso. Chiaramente questa figura, che per quanto precisa esclude i casi estremi di virtù e vizio, l’ho costruita attraverso le storie di testimoni diretti ma non disinteressati, così devo sforzarmi ogni volta di verificare minuziosamente l’attendibilità di ognuno di loro. Altro perp
etuo appunto di cui devo assolutamente ricordarmi mentre scrivo è l’obbligo assoluto a non esprimere giudizi morali ma unicamente i fattori oggettivi che mi hanno permesso di arrivare a questi giudizi. A volte divento retorico quando mi sforzo di nascondere questi giudizi ma non è mai difficile capire quando sta succedendo o sta per succedere.
Quello che un migrante che viene tratto in arresto diciamo nella campagna zagabrese può aspettarsi è: un brevissimo inseguimento a cui seguono colpi di arma da fuoco o in alternativa un Alt! sotto la minaccia sempre delle armi; una serie infinita di insulti in serbocroato (il significato di “pičku matri” ormai lo sanno anche i muri) che accompagnano le percosse a questo punto assai poco necessarie a infilare i fuggitivi dentro una camionetta in stile Fiat Ducato; certamente la confisca definitiva di sacchi a pelo, coperte e vestiti; possibilmente anche del cellulare e del denaro; un viaggio che richiede 6-7 ore e in cui non solo nessuno viene rifocillato né viene offerta acqua, ma durante il quale le condizioni all’interno del retro del Ducato sono di assoluto sovraffollamento; nella camionetta è buio. Naturalmente non mi viene proprio facile immaginare quanto prossimi ci si deve sentire a dei capi d’allevamento in piedi, feriti, al buio, affamati e disidratati, in un locale ingombro di gente che nei giorni precedenti ha dormito all’addiaccio nelle campagne e nelle foreste croate e ora probabilmente si lamenta, qualcuno ogni tanto batte i pugni sulla lamiera al di là della quale stanno le guardie, qualcun altro ha dei bisogni che non può controllare, c’è gente che vomita e in pochi svengono.
Quello che mi aspettavo da queste persone è che dimostrassero segni di acuto nervosismo o accessi d’ira. Invece arrivano così, e ti raccontano ste robe come se fossero successe al cugino di chissà chi che poi forse nemmeno esiste ma bisogna comportarsi come se ci importasse qualcosa. Scrivo questo perché inizialmente ho faticato a credere a queste storie, raccontate con eccessivo distacco, tra un discorso e l’altro, giusto per offrire una piccola esperienza personale o non far morire la conversazione. Ora invece penso che sia tutto coerente con la non eccezionalità di queste storie tutte simili, e che mi ha fatto scartare l’ipotesi delle mele marce che stanno dappertutto e quindi anche nella polizia in favore della certezza che non esistano organi effettivamente in grado di preparare i poliziotti in tema di diritti umani e affini: il problema è certamente generale.
5) In Slovenia.
Come già in Croazia le abilità più utili sono saper camminare attraverso i boschi senza farsi vedere, possedere coperta e sacco a pelo per le notti, resistere alla tentazione di avvicinarsi ai centri abitati per recuperare qualcosa. La polizia slovena è generalmente più morbida di quella croata, quindi si evitano minacce e percosse. Il problema dei pushback invece rimane: nonostante un controllo a maglie più larghe, chi viene colto è portato al confine e lì consegnato alla polizia croata, che farà lo stesso con quella serba e di nuovo allo squat. Abbiamo gente che parte per il Game e torna dopo 4-5 giorni. Il viaggio per e dalla Slovenia è abbastanza lungo e già di per sé debilitante. I ragazzi non ritentano di andare al Game per almeno almeno un giorno o due, mentre i meno granitici tendono ad aspettare anche una settimana o due. Il Game oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente.

Abbiamo bisogno di coperte, sacchi a pelo, scarpe numero 42.

 

Venerdì 14 settembre 2018

#1. Ieri sono arrivato a Šid e ho immediatamente iniziato. Non sapevo dove fosse l’appartamento dei volontari e quindi mi sono fatto accompagnare, da un ragazzo afghano che ho incrociato in stazione, direttamente allo squat. Si tratta di un edificio a 2 piani abbandonato da lungo tempo. Molte pareti sono solo mucchi di calcinacci; porte e finestre o intonaco sono inesistenti. La calce grigia dei muri che resistono, qua e là ricoperta di scritte a pennello, è più o meno tutto quello che si vede. Solo dal pavimento, in cui alcune piccole zone del rivestimento superficiale ancora si intravedono, e dal poco che si può capire della planimetria, si può azzardare l’ipotesi che l’edificio fosse un tempo una scuola o un qualche tipo di di ufficio pubblico. Ieri, quando sono arrivato, ho conosciuto due volontari di No Name Kitchen nel mezzo del turno docce: da mezzogiorno alle cinque, si porta l’acqua allo squat, si aziona una pompa, si montano due tende per un minimo di privacy e così, all’interno di un locale esterno a cui manca la parete che dà sul giardino e dove l’acqua delle docce dei giorni precedenti (si fanno due turni a settimana) ristagna in una pozza maleodorante, le persone possono lavarsi. Nello squat, di questi tempi, vanno e vengono giornalmente 70-80-90-100 persone. Un po’ dipende dalla polizia di frontiera croata, un po’ da quello che succede a Belgrado e alla rotta bosniaca. Gli arrivi, come ho potuto notare qualche ora più tardi, sono costanti. Delle partenze sappiamo poco, oltre a qualcuno che promette “tonight i go to the Game” – che significa infilarsi sotto i camion più grandi per cercare di passare sotto il naso dei doganieri serbi e croati del posto di blocco. È anche difficile capire quando manca qualcuno. Ovviamente non facciamo appelli, e con 70+ persone diventa più facile rendersi conto delle facce nuove che non di quelle che mancano.

Venerdì 14 settembre 2018