Mercoledì 18 dicembre Atif è caduto nell’Isonzo. Assieme ad altri ragazzi che come lui sono ospitati nel vicino CARA di Gradisca stava ingannando il tempo sulla riva del fiume.
Alcuni articoli giornalistici lasciano intendere che la colpa è di un gioco avventato, di una stupida scommessa tra amici.
Ma prima di lui l’Isonzo si è portato via Taimur nel 2015, e Zarzai nel 2016. Nel giugno di quest’anno Sajid nel fiume ha deciso di far finire la sua vita.
Tutti loro hanno avuto la sfortuna di nascere in quello che secondo le nostre leggi è il lato “sbagliato” del mondo. Chi vi nasce se vuole cercare fortuna altrove non può, come facciamo noi europei, semplicemente comprare un biglietto d’aereo. Deve affidarsi ai trafficanti, affrontare un viaggio lungo e massacrante, pagare cifre astronomiche, solamente per poter mettere un piede oltre al confine della fortezza Europa.
Atif vi era riuscito in ottobre, fermato nei pressi della frontiera con la Slovenia, e stava attendendo da allora l’esito della sua richiesta d’asilo.
Era quindi entrato nel gorgo della legge sull’immigrazione italiana, quella che costringe ad attendere per mesi e mesi e in alcuni casi anni un colloquio con una “commissione” il cui esito sembra più l’estrazione di una lotteria che il frutto di una qualche valutazione.
Nel frattempo la vita alienante al CARA di Gradisca, distante da tutto e tutti, nessun tipo di attività per far passare le giornate, nemmeno uno straccio di marciapiede per raggiungere il bar più vicino o le sponde dell’Isonzo.
Quelle sponde dove i ragazzi del CARA vanno a consumare o cucinare il cibo che si comperano, per sfuggire all’immangiabile pasta o riso che all’infinito ripropone il “menu” della mensa della struttura.
Quelle sponde dove a volte sono inseguiti dai solerti tutori delle forze dell’ordine pronti a comminare multe da 300€ a seguito dell’ordinanza della “democratica” amministrazione di Gradisca che vieta di bivaccarvi. La stessa amministrazione che non ha mai pensato di offrire nessuna alternativa degna per trascorrere il tempo, un posto al coperto dove poter stare assieme, magari leggere qualche libro, prepararsi il the o semplicemente stare in pace in un luogo sicuro.
Chi ha conosciuto Atif racconta di un ragazzo solare, che seguiva un corso d’italiano organizzato da volontari fuori dal CARA, che voleva aiutare la madre e le quattro sorelle rimaste sole in Pakistan dopo la morte del padre.
Atif non realizzerà i sui progetti: la sua vita gli è stata rubata da un confine assurdo e da una legge ingiusta.