27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE E PER VAKHTANG.

27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE IN ESSI E PER VAKHTANG.

Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle forze dell’ordine all’interno del CPR di Gradisca.

Ce l’hanno raccontato i reclusi, quella stessa notte del 18 gennaio, quando siamo andate sotto le mura del CPR a parlare con loro, avendo saputo della morte di una persona.

Ce l’hanno gridato, chiamandoci e inviandoci video, con il coraggio di chi sapeva che nessun altro, se non loro, avrebbe fatto uscire quello che era realmente successo lì dentro.

La Questura e la Procura hanno fatto di tutto, fin dall’inizio, per liquidare la sua morte: “migrante morto per rissa” titolavano i giornali il giorno seguente alla pubblicazione della prima notizia da parte di Melting Pot.

Siamo riuscite a far uscire quelle voci, come altrove fanno da anni altri solidali, e da tutta Italia tante persone hanno ascoltato le testimonianze e ci hanno creduto. Anche il giorno successivo, domenica 19, siamo tornate in tante davanti al CPR, mentre i detenuti ci chiamavano, sottraendosi ai pestaggi che – ci dicevano – venivano riservati a chiunque parlasse con chi era fuori. Le direttive sembravano chiare: nessuno doveva più riuscire a comunicare con l’esterno. La notte hanno cercato di sequestrare tutti i cellulari, una “bonifica” che la procura ha giustificato “ai fini dell’indagine”. Quella stessa notte, a sorpresa, un deputato ed un avvocato si sono presentati in visita al CPR, trovando le forze dell’ordine in assetto antisommossa che parlavano del sangue presente nella struttura.

La stampa ha iniziato a riportare la versione dei compagni di Vakhtang: per un giorno è uscito che qualcuno diceva fosse stato ammazzato di botte, un “Cucchi” straniero e non in carcere. Prontamente il procuratore ha dichiarato che erano “tutte illazioni” e il 21 alle 4 di mattina sono stati deportati in Egitto, senza che nessuno lo sapesse, i tre compagni di cella di Vakhtang, che erano tra coloro che si erano detti disponibili a testimoniare. Questo è il modo in cui la “procura sta indagando”, come ci dicono i giornali.

Quando la verità di chi aveva assistito è iniziata a filtrare, la stampa ha iniziato a etichettare l’assemblea che sta diffondendo le voci dei reclusi come gruppo di ultras e incitatori di rivolte -come se le rivolte necessitassero d’incitazione dall’esterno-, cercando di delegittimarla. In contemporanea, si sono seguiti molteplici tentativi di minare la credibilità dei reclusi. Vakhtang è stato descritto come violento, tossico e autolesionista, forse sperando che in questo modo l’empatia verso la sua morte si esaurisse. I reclusi in generale sono stati definiti stupratori, spacciatori, criminali.

Vakhtang era una persona, viva, con i propri sogni, rinchiusa in un girone infernale creato da leggi razziste. I reclusi e le recluse in tutti i CPR d’Italia sono persone, rinchiuse dentro lager esclusivamente per non avere i documenti in regola.

Nei CPR in Italia ci sono alcune centinaia di persone e non sempre la reclusione si conclude con la deportazione, spesso le persone vengono liberate con un “foglio di via” che le costringe a vivere in stato di clandestinità.

Le persone deportate, invece, si ritrovano costrette nel loro Paese d’origine senza la possibilità di tornare in Italia, dove hanno vita e affetti, ricondotte al punto di partenza di un viaggio terrificante già affrontato. La minaccia della deportazione è la più grande che una persona non comunitaria possa ricevere: i CPR, teatri di abusi e peggiori delle carceri, servono a rendere reale quella minaccia. Tutto ciò è utile affinché le persone debbano accettare condizioni di lavoro disumane, pur di mantenere un contratto, vincolato al permesso di soggiorno.

La legalità farà il suo corso, perché delle persone vi si dedicheranno, e forse un giorno qualcuno sarà giudicato colpevole. Adesso, però, spetta a noi non permettere che l’omicidio di Vakhtang passi sotto silenzio e fare il possibile perché tutti i CPR chiudano per sempre.

Incoraggiate dalla risposta solidale ricevuta da tutta Italia, lanciamo una chiamata per una settimana di azioni e mobilitazioni per la chiusura di tutti i Cpr, per la liberazione immediata delle persone rinchiuse in essi e per Vakhtang.

Invitiamo quindi tutti i singoli, le assemblee, i gruppi, le associazioni, le organizzazioni, i comitati a fare il possibile verso lo stesso obbiettivo. Convinti che ognuno possa esprimere la sua rabbia e il suo dissenso nel modo che ritiene opportuno, pensiamo ora sia il momento di farlo.

Che chiunque si organizzi nel luogo dove vive. Facciamo in modo che questi luoghi infernali chiudano.

-se volete inviarci le iniziative o azioni per ricapitolarle in un futuro potete scrivere a : nocprnofrontieretrieste@riseup.net –

21.1.2019

????????AGGIORNAMENTI!!???????? Ci è stato riferito dall’interno e poi è stata confermata la notizia da fonti ufficiali che IERI ALLE 4 DI MATTINA sono stati prelevati dalle celle e ????RIMPATRIATI???? tre ragazzi egiziani che avevano parlato agli avvocati riguardo all’omicidio di Vakhtang. ERANO I SUOI COMPAGNI DI CELLA. Sembra vogliano far sparire tutti i ????TESTIMONI???? e intimorire chiunque si era reso disponibile a testimoniare sull’omicidio. Da dentro alcune persone ci dicono di aver paura di essere deportate. Hanno anche sequestrato i telefoni.
CHE CHIUNQUE FACCIA QUALCOSA PERCHÈ TUTTI I CPR CHIUDANO E PERCHÈ LA MORTE DI VAKHTANG NON VENGA INSABBIATA.

Nuove testimonianze: LA POLIZIA CONTINUA A PICCHIARE

Domenica 19 gennaio, durante il presidio, mentre comunicavamo da una parte all’altra delle mura, le persone ci chiamavano per dirci che la polizia li stava picchiando. A seguito, come anche riportato dai giornali, la polizia ha cercato di prendere tutti i cellulari, così che non potesse uscire più alcuna informazione.

“Stanno fuori stanno dando il manganello, […]. Stanno picchiando la gente con i manganelli. [..] Non dicono niente sono entrati così a picchiare la gente.” Ci diceva una persona detenuta.

Ci raccontavano che chi veniva visto comunicare con noi, gridando o telefonandoci, veniva prelevato dalla cella, portato fuori, picchiato e ributtato in cella. “Loro ti portano lì e ti fanno quello che vogliono” ci raccontava un altro.

Lasciamo qui la testimonianza di due reclusi su ciò che stava avvenendo ieri dentro il CPR. Si tratta di chiamate avvenute in diretta durante il presidio.

Nonostante il rischio per loro nel comunicare con noi, lo hanno fatto, con il coraggio di chi sa che altrimenti nessuno farà passare la verità su quello che stanno vivendo e su quello che è successo a Vakhtang. Che ognuno faccia qualcosa!

Nei CPR sono rinchiuse persone strappate dalla libertà e dagli affetti per non avere un documento valido.

La famiglia di Vakhtang è venuta a sapere della sua morte, sono sotto shock, lo aspettavano a casa. Ora chiedono la salma.

Le voci sono state modificate per tutelare le persone coinvolte.

SBOBINA:

Polizia è arrivata dentro adesso. Per piacere aiuta!

Pronto?

Pronto siamo qua. Adesso la polizia è lì dentro?

Per piacere aiuta per favore. Per piacere!

Sì. Dove sei? Dicci il tuo nome.

Eh? come?

Se vuoi dicci il tuo nome. Così se la polizia ti fa qualcosa sappiamo che è stato a te.

Xxxxxxxxxxx è il mio nome

Dove sei adesso?

Xxxxxxxxxxx

C’è la polizia dentro la tua cella?

Si ma la polizia perché la gente. È brutto per piacere aiuta per favore

E adesso la polizia è dentro con te?

Per piacere per favore!

In quanti siete adesso in cella?

È in tanti tante persone qua per piacere aiuta per favore

Noi non possiamo entrare. Però possiamo..

Per piacere la polizia fuori. La polizia fuori ci menano. Questo è inumano. Comincia picchia. per piacere!

Sì noi diremo a tutti quello che ci stai raccontando. Se riuscite a mandarci delle fotografie mandatecele.

SBOBINA:

Ci senti?

Si si si

ok

sì. Entrato preso a me mi han massacrato!

Adesso sono ancora li?

dimmi

E la polizia è ancora li?

Ma la polizia è uscita fuori io..perché io stava parlando con voi come faccio adesso e hanno entrato e han preso me. M’hanno messo fuori e picchiato a me, ho visto sangue. T’ho mandato su whatsapp le foto. Sangue tutti sangue

tutti sangue

Secondo io sto morendo qua. Tutto sangue sta arrivando nella mano, nella faccia, di tutto. Qua siamo con polizia assassini. Perché voi parlate con noi e a loro non piace che voi parlate con noi

Adesso ti passo al mio amico

Testimonianze – SAPPIAMO CHI È STATO –

Al seguente link c’è un audio con la testimonianza di alcuni detenuti sull’assassinio di V.E., ammazzato di botte nel CPR di Gradisca, e morto in ospedale ieri. Le voci sono state modificate per tutelarci tutti.

È inizio settimana, V. non trova il telefono, non vuole tornare in cella, resiste, viene picchiato finché non ne può più. Viene buttato in cella, nella rabbia prende un ferro in mano e si fa male allo stomaco. Dopo viene portato in infermeria, non più di una ventina di minuti, torna e si mette a dormire, forse per i farmaci. Raccontano che il suo corpo era rosso dai lividi.

Il giorno dopo si sveglia, aveva accettato di essere estradato e riportato in Georgia, i compagni di prigionia dicono che gli fosse stato detto di fare le valigie per partire. Alle 20 però torna.

Sta presumibilmente due giorni nel CPR, sta male, per le manganellate e per il colpo nello stomaco, chiede aiuto senza essere soccorso.

Allora comincia a gridare, arriva la polizia che chiede a un suo compagno di cella di collaborare passandogli fuori un ferro. Quando V. lo vede aiutarli si arrabbia e i due iniziano a litigare, allora la polizia entra e in otto accerchiano V., iniziano a picchiarlo a sangue, si buttano su di lui con forza finché non sbatte la testa contro il muro.

Lo bloccano con i piedi, sul collo e sulla schiena, lo ammanettano e lo portano via. “Lo stavano tirando con le manette come un cane, non puoi neanche capire, questo davanti a noi tutti” ci ha spiegato un altro suo compagno recluso.

Non dicono più niente a nessuno, raccontano agli altri detenuti che lo stanno processando. Poi ieri qualcuno origlia una conversazione e scopre che è morto. I compagni avvisano la moglie a casa, lei chiama il CPR e nessuno le risponde.

V. è stato ammazzato di botte dalle guardie del CPR

CI VEDIAMO IL 19 GENNAIO ALLE ORE 14:30 PUNTUALI PER ANDARE DAVANTI AL CPR. Il luogo di incontro è davanti al centro commerciale “La fortezza” di Gradisca, dal lato del Cpr, sulla SR305, in direzione Udine.

CPR DEVONO CHIUDERE. I CPR SONO LAGER.

 

SBOBINA

Cosa hai detto?

Suo telefono si è perso, lui non ricordava dove ha lasciato. Da lì hanno cominciato a picchiarlo, loro volevano mandare tutta gente dentro le camere, lui insisteva nella ricerca del suo telefono, da lì hanno cominciato a picchiare con il manganello, aveva tutto il corpo rosso proprio di lividi.

Ok.

Ecco da lì lo hanno portato nel corridoio, quando arriva vicino al suo modulo per rientrare lui non voleva perché era un ragazzo basso e robusto: aveva la forza. Da lì lui ha chiamato uno della Guardia di finanza e non voleva e hanno cominciato a picchiarlo di nuovo, lo hanno buttato dentro e lui con la rabbia ha preso un pezzo di ferro ha tagliato un po’ allo stomaco. Loro l’hanno lasciato, non lo hanno portato all’ospedale. Domani mattina quando lui sveglia ha cominciato a fare di nuovo casino perché sentiva male al corpo per quel manganello che ha preso tutto quella sera li.

Poi mattina le ferite le faceva male, da lì sono entrati e hanno picchiato di nuovo.

Di nuovo?

Di nuovo. Dopo è venuto direttore e l’hanno portato in infermeria. Dopo neanche venti minuti è tornato ed è rimasto con noi un attimo e poi è andato a dormire poi quando ha svegliato, il giorno dopo mattina sono venuti e hanno detto “oggi deve partire in bus per andare via”, lui ha preso tutte le sue cose ed è andato via con lui tutta la giornata. La sera verso 8 lo hanno portato hanno detto che non ha voluto andare perché aveva tanti brividi e hanno avuto paura di mandarlo in quel modo lì al Paese suo: sarebbe un casino lì, nessuno avrebbe accettato. avrebbe voluto capire cosa era successo: lo hanno portato indietro.

Rimasto per due giorni e lui sentiva male e chiavava “aiuto aiuto!” perché usciva sangue. Può darsi qualche vetri rimasto dentro lo stomaco non sappiamo. Da lì lui ha cominciato di nuovo a spaccare degli specchi davanti a loro, e lì ci stava un altro ragazzo da dietro, e la polizia hanno detto a quel ragazzo dietro di buttare un pezzo di ferro fuori, e quando lui si è girato ha visto che l’altro ragazzo stava buttando fuori i vetri che lui usava a spaccare e lì ha cominciato a litigare con lui. Da lì che la polizia hanno aperto la porta e sono entrati dentro. Quando sono entrati dentro hanno aperto la porta, lo hanno messo in mezzo, quanti erano.. 8. Lui in mezzo circondato da 8 poliziotti. D’improvviso quando lo hanno attaccato al muro uno di loro gli è saltato addosso di forza e lui da lì la testa gli è caduta e ha sbattuto al muro

La testa è caduta ed ha battuto il muro?

Un muretto, quello che ci sediamo sì… tipo una scaletta. Noi posso testimoniare ovunque dovunque, perché era uno di noi. Da li uno dei poliziotti ha messo i piedi sul collo.

Piedi sul collo?

Un altro alla schiena da li lo hanno ammanettato e lo hanno portato via, circondato da loro. Noi non riuscivo a vedere bene da che parte il sangue usciva da lì lo hanno portato via e fino a oggi non lo hanno portato più indietro, abbiamo cercato di chiedere delle botte, lui ci ha denuncia, “lui è stato denunciato” , “domani lo mandiamo al tribunale”, non lo so “andrà in galera”: sono queste delle cose che loro dicevano a noi. Oggi, all’improvviso, uno di noi è andato in infermeria. Da lì stavano parlando e non lo hanno accorto di quello che lì stava dietro e hanno detto che il ragazzo è morto. Questo qua è venuto da noi e ha detto che “il ragazzo è morto”. Noi abbiamo cominciato a chiamare loro per avere più informazioni, nessuno è venuto da noi fino ad adesso a dire niente noi abbiamo chiamato poi al Paese suo, a sua moglie.

Ahh avete parlato con sua moglie!

Eh sì, sì perché ci abbiamo email e numero di sua moglie, perché lui l’aveva lasciato. Sua moglie lo sa. Se volete possiamo parlare con il ragazzo vi dà numero di sua moglie e parlate con famiglia sua. Avete più… la famiglia sua sta chiamando qua e nessuno risponde. Hanno chiamato il 118 di Gorizia e nessuno risponde.

Volete mandarci il numero della sua famiglia?

Se volete certo qua non c’è una cosa da nascondere… qua c’è una cosa da salvare.

Eh sì.

Perché c’è un corpo umano che è dentro un frigorifero adesso eh. Oggi è toccato a lui, domani non sappiamo chi sarà.

Siete riusciti a sentire un avvocato voi? Avete parlato con un avvocato?

Qui dici avvocato? Sono tutti cadaveri qui! L’avvocato qui…[…] Qui loro ci hanno dato l’elenco degli avvocati. Noi quando quando chiamiamo questi avvocati, appena gli dici che sei in questo centro, dice “un attimo sto guidando dopo ti chiamo” e non ti chiama più. Tu chiami e non rispondono.

Ok.

Siamo abbandonati a noi stessi.

Ma aspetta, ma la sua famiglia lo sa già adesso? La sua moglie?

Adesso abbiamo li abbiamo avvisati, li abbiamo chiamati. Adesso la sua moglie sa già. Sta aspettando da tre anni la dentro… e anche se parli di… è un dolore comunque.

E adesso stanno qua le le..

Le polizie stanno qui davanti a noi.

Davanti a noi.

davanti a noi.

….

Adesso stanno aspettando per chiudere fuori perché hanno saputo che stiamo parlando con voi. Qui davanti a noi.

Ehi, mandateci il numero. […]

E ci menano anche a noi!

Poi… su di noi, che cosa dobbiamo fare o voi cosa potete fare per noi?

Siamo dimenticati da dio!

Qui dentro per sapere di lui, loro non ci hanno detto niente a noi, siamo riusciti a saperlo così, grazie a dio. Ma perché?

Sono degli assassini

Veramente. È disumano, è disumano. Veramente. Se c’è qualcosa da fare son delle domande, un esempio è questo, vedi un uomo andarsene dalla vita per niente.

Per niente.

Aveva già accettato di essere estradato al Paese suo. Non sono riusciti a mandarlo, lo hanno ammazzato e lo mandano morto adesso. E se lo manderanno perché non vogliono manco rispondere alla famiglia di là. Che voglio dire.

Noi vi siamo vicini, non siete soli!

Ok… speriamo.

Resistete!

Così noi vogliamo sapere di più da voi su cosa possiamo fare, anche con gli altri ragazzi.

Noi non lo sappiamo.. però noi possiamo cercare di fare di tutto perché la storia che ci avete raccontato venga detta fuori. Perché fuori raccontano che voi vi siete picchiati tra di voi. Sui giornali c’è scritto che vi siete picchiati tra di voi detenuti e che lui è morto per questo.

No, non è vero. Non è vero. Non è vero perché loro invece ci fanno uscire per esempio ci fanno uscire da soli e ci picchiano in cortile e ci portano dove vogliono loro, finché guarisci. E, siccome lui era grave, molto grave è morto e loro stanno cercando qualche scusa per farla franca.

 

SOLIDARIETÀ CONTRO TUTTI I CPR

SOLIDARIETÀ CONTRO TUTTI I CPR

V.E., di trentasette anni, georgiano, è stato ammazzato di botte delle forze dell’ordine nel Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO) gestito dalla cooperativa EDECO di Padova.

Le voci dei suoi compagni reclusi ci dicono che ieri otto poliziotti in tenuta antisommossa l’avevano raggiunto nella sua cella e l’avevano accerchiato e picchiato. Lui era caduto, sbattendo la testa. A quel punto, dei poliziotti gli avevano messo i piedi sul collo e sulla schiena e l’avevano portato via ammanettato.

Poi è morto. La sua morte non è stata comunicata ai compagni reclusi, che ne sono comunque venuti a conoscenza e che ora ripetono che V.M. ha subito violenze da parte delle forze dell’ordine. NON È MORTO PER UNA RISSA CON GLI ALTRI RECLUSI.

Il Cpr, aperto da un mese, ha già ucciso.

Domani ci troviamo, alle 14.30 puntuali, a Gradisca, sulla SR305, all’altezza del centro commerciale La Fortezza, perché è terribile quello che hanno fatto. Per mostrare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso nel lager di Gradisca e sta subendo la violenza della repressione mista al dolore della morte di un compagno.

Prima di quanto ci aspettassimo, una persona è morta in quel luogo di morte.
Come sempre, e più che mai: libere tutte, liberi tutti!

[diffondete il più possibile!]

 

A GRADISCA SI MUORE: SAPPIAMO CHI È STATO

Ieri, durante una protesta delle persone recluse, la polizia – in antisommossa – ha picchiato violentemente chi resisteva.

Secondo le voci dall’interno, uno di loro è stato picchiato violentemente. Oggi è morto, come conferma anche l’ospedale, dove era stato portato.

Da dentro, chiedono di diffondere questo video. Lo diffondiamo in piena solidarietà con tutti i reclusi e con un grande dolore per la morte di una persona, la prima persona a morire nel ri-aperto Cpr di Gradisca.

In memoria di quest’uomo, ancora senza nome, di Majid, morto nel 2013 a seguito delle proteste che portarono alla distruzione del Cie.

Seguiranno aggiornamenti, per capire le dinamiche e le responsabilità. Per ora sappiamo solo quello che già sapevamo: nei lager si muore.

*** aggiornamenti delle 20.30 (18.01.2020) ***

Un gruppo di solidali si è trovato stasera sotto il Cpr di Gradisca ed è riuscito a comunicare con i reclusi. Le persone rinchiuse hanno negato che ci sia stata una rissa tra di loro, come invece riportano i giornali. Secondo i reclusi, sono stati picchiati dalla polizia.

Il ragazzo che è morto voleva rientrare in Georgia. Secondo una prima ricostruzione pare che sia stato portato fuori dal Cpr, poi di nuovo al Cpr, dove è stato picchiato, da lì in ospedale, da dove è tornato morto. Pare che la moglie, che si trova in Georgia, sia già stata informata della morte, da altri reclusi o amici.

Che tutti i Cpr vengano distrutti.

17.1.2020 Aggiornamenti dal CPR di Gradisca

17/01/2020 – Alcuni aggiornamenti dal CPR:

Il Tg di mercoledì riporta di 22 accessi al pronto soccorso dal CPR di Gradisca. Le voci dal CPR dicono che gli accessi sono stati di più, raccontano che tutti i giorni in tanti si tagliano, in altri sbattono la testa contro il muro. Dicono che le persone sono esaurite dalla situazione e dal terrore di essere rimpatriate. Alcuni sono preoccupati per le famiglie, a cui non stanno inviando più soldi perché sono rinchiusi lì dentro.

Raccontano che la maggior parte delle persone che si autolesionano non vengono portate in ospedale ma ricevono una pomata e un tranquillante dentro il CPR.

Ci raccontano di stare sempre in gabbia, 6 persone in una gabbia che ha 6-7 passi d’aria. Ogni gabbia è connessa a una parte coperta dove ci sono 4 letti, c’è un bagno con una turca e una doccia. I vetri sono molto resistenti e nelle reti sopra la gabbia passa la corrente elettrica. Dicono che quelle gabbie fanno venire male agli occhi perchè si vede solo rete.

Le gabbie vengono aperte raramente, solo il capo degli operatori ed il direttore della struttura sembrano usare le chiavi. Ci raccontano che i contatti con gli operatori e il personale sanitario avvengono solitamente oltre le sbarre. Ci raccontano che il cibo continua ad essere consegnato sotto le sbarre, “come fossero cagnolini”.

Ci raccontano che la guardia di finanza è sempre presente dentro al centro in questi giorni, credono che stia lì per controllare le finestre rotte durante il weekend.

I giornale mercoledì diceva che tre delle cinque persone riuscite a scappare domenica sono state riprese e portate “in altre strutture non meglio precisate”. Le voci dal CPR, fino a ieri, sostenevano fossero in realtà ancora tutti liberi!

13.1.2020

????????????Dopo il presidio di sabato 11, la notte, i militari sono entrati nelle celle del CPR di Gradisca, hanno picchiato ed hanno preso le sim card di alcune delle persone con cui abbiamo parlato al presidio.
Ieri, domenica 12 gennaio dalle 14:00 alle 16 ci sono state rivolte nel CPR, nell’ala più vicina alla strada dove ci sono 5 celle da 6 persone ciascuna. Le persone recluse sono riuscite a rompere i vetri, a staccare i letti a raggiungere il muro e 8 sono riusciti a saltare oltre il muro. 3 sono stati riportati dentro il centro e picchiati, 5 sono riusciti a scappare, tra di loro alcuni ragazzi molto giovani. Un ragazzo dei 3 che sono stati riportati al CPR è stato portato in ospedale, un altro sta male. Un ragazzo marocchino oggi ha tentato di suicidarsi ed è stato fermato dagli altri.
In questo momento ci sono materassi in fiamme per riscaldarsi e vengono sparati gli estintori dentro le celle.
Che tutti i muri dei CPR cadano ! Tutti liberi e tutte libere!

VERSO L’11 GENNAIO

Il Cpr di Gradisca ha aperto il 16 dicembre, dopo un anno e mezzo dai primi annunci. Subito, ci hanno portato alcune persone già rinchiuse nei Cpr di Torino e di Bari-Palese, dove da mesi chi sta dentro sta resistendo con forza alla propria reclusione e alle deportazioni.

Il 17 dicembre, l’assemblea No Cpr è stata in presidio lì sotto, per provare a comunicare con chi stava venendo internato. Lo stesso giorno, la giunta comunale di Gradisca ha votato a favore dell’istituzione di un garante comunale per i dititti delle persone private della libertà.

Mercoledì 18 dicembre Atif, che viveva nel Cara di Gradisca, proprio a fianco del Cpr, è morto annegato nell’Isonzo. Prima di lui, nell’Isonzo erano morti Taimur nel 2015, Zarzai nel 2016 e Sajid, qualche mese fa.

Domenica 28 dicembre, la sindaca Linda Tomasinsig (Pd) ha scritto su facebook: “Tutti sanno quale sia la mia posizione sul CPR: lo vorrei chiuso e basta. […] Ma i mezzi con i quali manifestare questo forte, assoluto dissenso non possono contemplare il danneggiamento e la violenza. Perciò condanno in modo altrettanto forte il gesto di chi, presumo la notte tra giovedì e venerdì, ha lordato con lo spray i muri di un palazzo storico e di una attività commerciale a Gradisca.” Il Partito democratico è da sempre favorevole ai Cpt e Cie, e i Cpr sono infatti un prodotto della legge Minniti-Orlando.

Domenica 30 dicembre, alcune delle persone recluse a Gradisca hanno ingoiato lamette, palline da ping pong e sapone per riuscire a essere portate in ospedale, fuori dal Cpr. Questi atti di autolesionismo sono forme di resistenza che le persone recluse hanno sempre praticato.

La notte di Capodanno, un ventinovenne algerino è morto sul Carso triestino davanti alla moglie e a un amico, al termine del suo viaggio lungo la rotta balcanica. Chi, come loro, arriva in Italia attraverso quella o altre rotte rischia poi, se non può regolarizzare la sua condizione, di finire in un Cpr.

Due sezioni del Cpr di Gradisca sono al momento piene. La terza non è agibile per un problema al riscaldamento. A pieno regime, il Cpr di Gradisca conta 150 posti.

In Italia, stanno aprendo nuovi Cpr. Dopo quello di Gradisca, è stata annunciata l’apertura di quello di Macomer in Sardegna e di quello di Milano. Sabato 11, ci saranno tre presidi contemporanei davanti a tre Cpr italiani:

–> A Gradisca:

https://www.facebook.com/events/3402904889751245/

–> A Torino:

https://www.facebook.com/events/457425381600044/

–> A Ponte Galeria (Roma):

https://roundrobin.info/wp-conte…/uploads/…/01/11gennaio.png

Ci vediamo lì.

8.1.2020

Verso l’11 gennaio.

Ogni Cpr è gestito da qualcuno: una cooperativa, un’azienda, una misericordia. Il Cpr di Gradisca è gestito dalla cooperativa Edeco di Padova.

In questo comunicato di qualche tempo fa abbiamo ricostruito la storia di Edeco: oggi lo ricondividiamo, avvicinandoci Ha aperto un lager a Gradisca – manifestazione. Ci vediamo là tra qualche giorno.

“Il 21 agosto 2019, la Prefettura di Gorizia ha aggiudicato la gestione del CPR di Gradisca (GO) alla cooperativa EDECO di Padova. La base di gara era di 28,80 euro giornalieri per ogni recluso, più 150 euro per ogni kit d’ingresso: la cooperativa EDECO ha vinto con un ribasso dell’11% su entrambi. Si avvicinerebbe dunque la data di (ri)apertura del centro di “detenzione amministrativa” per stranieri privi di titolo di soggiorno, chiusa nel 2013 grazie alle rivolte degli stessi rinchiusi, durante una delle quali Majid, un uomo marocchino di 35 anni, cadde dal tetto mentre cercava di scappare dal lager in cui era stato rinchiuso, morendo dopo nove mesi di coma farmacologico.

CHI È EDECO?

EDECO viene fondata da Paolo Borile, ex Dc, ex consigliere provinciale di Forza Italia, ex membro del CdA dell’Ater, ex presidente del Parco Colli Euganei. Si tratta di una cooperativa nata dalla scissione della coop Ecofficina Educational, a sua volta emersa dall’azienda per la gestione dei rifiuti Padova Tre Srl, all’interno del Consorzio Padova Sud. Oggi, è una cooperativa sociale (A+B) che gestisce 6 asili nido e 3 scuole dell’infanzia e alcuni doposcuola e centri ricreativi in provincia di Padova e coordina molti progetti nell’ambito del cosiddetto turismo sociale. Gestisce un progetto SPRAR del Comune di Padova e 17 immobili destinati alla “accoglienza diffusa”, in affidamento da parte delle Prefetture di Padova, Venezia e Rovigo, per le quali coordina il lavoro gratuito delle persone “accolte”, così come di quelle carcerate. Gestisce poi delle strutture per minori non accompagnate/i (MSNA).

EDECO dice di basarsi “sui valori fondamentali dell’accoglienza, della carità e della crescita individuale” ma è nota perché coinvolta in vari processi e perché aveva in gestione il campo di Cona (VE), un campo-lager. Se sul sito di EDECO si dichiara la preferenza per la cosiddetta accoglienza diffusa e le strutture di piccole dimensioni, nondimeno EDECO gestisce, in proroga di gara d’appalto, due dei cinque Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) di grandi dimensioni del Veneto: si tratta delle ex basi militari di Conetta (VE) e Bagnoli (PD). Nel complesso, nel 2017, EDECO ha distribuito più di 540mila pasti; dal 2010 ha ricevuto denaro per la gestione di più di 10mila richiedenti asilo.

Tra novembre 2015 e giugno 2016, i centri “di accoglienza” gestiti da EDECO – che dovrebbero “ospitare” 99 persone per 749 mila euro (novembre 2015-giugno 2016) secondo il contratto con la Prefettura – arrivano a riempirsi di 300 persone, per un guadagno di 2 milioni di euro. Testimonianze di chi è stato all’interno delle strutture EDECO parlano di cibo scadente, cure scadenti o assenti, letti orribili, riscaldamento malfunzionante e caldo soffocante d’estate, nessun armadietto personale, ammassamento di persone senza tenere conto delle provenienze, rumore continuo che impedisce il sonno, vestiti recuperati chissà dove, corsi di italiano finti (classi di 70 persone composte indifferenziatamente da analfabeti e laureati, anglofoni e francofoni e asiatici), nessuna forma di integrazione, nessuna assistenza legale, assistenza psicologica penosa, nessuna assistenza alla ricerca di una occupazione.

Il centro di prima accoglienza di Cona consisteva in una serie di tende all’interno di una base missilistica NATO dismessa. Le brandine erano ammassate a causa del sovraffollamento e la mensa non prevedeva neanche la possibiltà di sedersi per consumare i pasti. In questa struttura – che secondo l’Asl aveva 450 posti – si arrivano ad ammassare 1700 persone, con 17 operatori (dei 43 previsti dal bando). Il 2 gennaio 2017, Sandrine Bakayoko, una donna ivoriana di 25 anni, muore nei bagni del centro: i richiedenti asilo accusano i gestori del campo di aver chiamato i soccorsi in ritardo e danno il via a una rivolta che dura molte ore. Nell’autunno 2017, da Cona parte la Marcia per la dignità, una grande manifestazione collettiva con la quale le persone costrette a vivere nell’hub denuncianno le condizioni di vita a Cona e riescono a ottenere una riduzione del sovraffollamento.

A maggio 2015, la pm Federica Baccaglini apre un fascicolo sul bando Sprar a Due Carrare (PD): Ecofficina si sarebbe aggiudicata l’appalto nonostante non avesse i due anni di esperienza in gestione dell’immigrazione richiesti dal bando. In seguito, ci sono state indagini della Guardia di Finanza sui conti delle due cooperative e dei Carabinieri sugli addetti alle pulizie e sui maltrattamenti nelle strutture di Montagnana. A gennaio 2020, dovrebbe partire il processo per corruzione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta e falso, frode nelle pubbliche forniture, che vede imputati i gestori EDECO, i due ex vice prefetti Pasquale Aversa e Alessandro Sallusto e Tiziana Quintario, ex funzionaria della Prefettura di Padova.

Ad oggi, due filoni di inchiesta sono in atto per Padova Tre srl: il primo vede imputati vari dirigenti della cooperativa Ecofficina o della multiutility Padova Tre srl: sono accusati a vario titolo di falso materiale, frode in pubbliche forniture, peculato, emissione di fatture per operazioni inesistenti; il 30 luglio 2019, la procura di Rovigo ha comunicato a dodici ex dirigenti di Padova Tre srl (fallita con un buco di 40 milioni) la conclusione delle indagini del secondo filone: rischiano il processo con accuse quali bancarotta fraudolenta o documentale, false comunicazioni soiali e bancarotta preferenziale.

Nonostante le indagini in corso, EDECO si continua ad aggiudicare appalti per la gestione dell’immigrazione.

La nostra lotta contro il CPR prescinde da chi se ne aggiudica la gestione: il CPR è un lager e non esiste una maniera etica di amministrarlo. Tuttavia, questa assegnazione a EDECO rende ancora più palese cosa rappresentano le persone senza documenti per chi gestisce questi lager: nient’altro che numeri da cui trarre profitti.

Poco importa che la gestione del CPR sia affidata a EDECO, o a un’altra impresa che sceglierà di fare ricorso. Il CPR di Gradisca non deve aprire: chiunque abbia partecipato al bando e chiunque abbia votato a favore dell’esistenza dei CPT/CIE/CPR è responsabile dell’esistenza dei campi di concentramento italiani del XXI secolo.

Assemblea contro il CPR e le frontiere / proti CPR in proti mejam”

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