27 gennaio 2021: manifesti che ricordano Vakhtang Enukidze

Il 27 gennaio 2021, Giorno della memoria, sono apparsi in giro per Trieste molti manifesti che ricordavano l’uccisione di Vakhtang Enukidze, avvenuta poco più di un anno fa nel campo di internamento di Gradisca d’Isonzo.

Vakhtang Enukidze fu ammazzato, secondo i testimoni, dalle botte ricevute dalle guardie armate della struttura. A seguito della sua morte tutti i testimoni furono deportati, i loro cellulari sequestrati, la famiglia di Vakhtang Enukidze in Georgia subì forti pressioni per non prendere parte a un processo penale e, ad oggi, non è stato comunicato alcun esito ufficiale dell’autopsia sul corpo.

Grazie al coraggio, alla testimonianza e ai video inviati dai reclusi del Cpr di Gradisca a gennaio 2020, sappiamo che Vakhtang è morto ammazzato dalle botte ricevute qualche giorno prima dai suoi carcerieri, mentre resisteva per rimanere fuori dalla cella a cercare il suo telefono. I giornali locali nel raccontare la vicenda hanno riportato subito la versione della rissa tra detenuti, poi i consulenti del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma dissero che la a morte sarebbe stata causata da un edema polmonare, che evidentemente “colpisce” spesso chi viene pestato a morte, come successe anche a Stefano Cucchi.

È sempre solo grazie ai racconti dei detenuti del Cpr che si sa anche che il 14 luglio Orgest Turia è morto in seguito a un’overdose e un suo compagni di stanza è scampato alla stessa sorte.

Noi non dimentichiamo Vakhtang e Orgest e tutte le persone uccise dallo Stato dentro e fuori dalle sue prigioni, dentro e fuori dai suoi confini. Senza giustizia non ci sarà mai pace.

Un anno di lager di Stato, un morto ogni sei mesi nel Cpr di Gradisca

Non siamo appassionati di anniversari e ricorrenze, ma l’anno appena trascorso ha lasciato dietro di sé una lunga scia di morti uccisi dallo Stato e, per questo, ci ha lasciato anche alcune certezze.

Oggi, 18 gennaio 2021, è un anno esatto da una tra le prime di queste morti, quella di Vakhtang Enukidze, ucciso nel Cpr di Gradisca, ammazzato, secondo i testimoni, dalle botte ricevute dalle guardie armate della struttura. A seguito della sua morte tutti i testimoni furono deportati, i loro cellulari sequestrati, la famiglia di Vakhtang Enukidze in Georgia subì forti pressioni per non prendere parte a un processo penale e, ad oggi, non è stato comunicato alcun esito ufficiale dell’autopsia sul corpo.

In soli sette mesi quindi ci sono state due morti nel Cpr di Gradisca, una a gennaio e una a luglio, e due morti nelle carceri regionali, un detenuto giovanissimo ad Udine ed un altro a Trieste, entrambi, secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), per “overdose”. A marzo nelle carceri italiane ci sono stati altri 14 morti, ufficialmente sempre per “overdose”, in seguito alle rivolte sviluppatesi in oltre 30 penitenziari – al grido di “indulto” e “libertà” – dopo la diffusione incontrollata del covid-19 al loro interno e l’annuncio della sospensione dei colloqui con i familiari.

Grazie al coraggio, alla testimonianza e ai video inviati dai reclusi del Cpr di Gradisca a gennaio 2020, sappiamo che Vakhtang è morto ammazzato dalle botte ricevute qualche giorno prima dai suoi carcerieri, mentre resisteva per rimanere fuori dalla cella a cercare il suo telefono. I giornali locali nel raccontare la vicenda hanno riportato subito la versione della rissa tra detenuti, poi i consulenti del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma dissero che la a morte sarebbe stata causata da un edema polmonare, che evidentemente “colpisce” spesso chi viene pestato a morte, come successe anche a Stefano Cucchi.

È sempre solo grazie ai racconti dei detenuti del Cpr che si sa anche che il 14 luglio Orgest Turia è morto in seguito a un’overdose e un suo compagni di stanza è scampato alla stessa sorte. Allora, mentre il prefetto di Gorizia Marchesiello diceva che tutto andava bene, dapprima la stampa locale diffondeva la voce di una nuova morte per rissa, poi la sindaca Tomasinsig e rappresenanti della polizia sfruttavano la narrazione infame dei detenuti tossici e dello spaccio di sostanze all’insaputa dei carcerieri. In realtà Turia non era tossicodipendente, era un uomo di origini albanesi, portato in Cpr una settimana prima perché era stato trovato senza passaporto.

Sedativi e psicofarmaci sono abbondantemente distribuiti all’interno del Cpr, come in ogni altra prigione, sia al fine di inibire e controllare gli individui più inclini a rivoltarsi sia perché le condizioni degradanti cui sono sottoposti i reclusi spesso li portano a chiederne essi stessi la somministrazione per sfuggire a una realtà quotidiana invivibile.

A Gradisca è incaricata di questo la cooperativa padovana Edeco, che quando non si occupa di asili nido è specializzata nell’ammassare migliaia di donne e uomini richiedenti asilo nelle strutture che “gestisce”, dove spesso si muore, come a Conetta (VE) dove nel 2017 trovò la morte una donna, Sandrine Bakayoko.

Lo scorso 20 novembre cinque detenuti presenti nel carcere Sant’Anna di Modena durante le rivolte dell’8 marzo scorso hanno presentato un esposto alla procura di Ancona per denunciare quanto hanno visto e subito in quei giorni. Hanno raccontato di centinaia di uomini in divisa che hanno puntato le armi contro i detenuti, sparando e uccidendone 9 e dei successivi pestaggi di massa sui prigionieri inermi, proseguiti anche durante i trasferimenti ad altre carceri.

Insomma, con buona pace di procure, prefetture, questure, tv e giornali, l’overdose c’entra sempre poco. Il copione è sempre lo stesso: provare ad insabbiare l’accaduto, imbastendo alla svelta false verità ufficiali che stravolgono i fatti, trovare qualcuno da incolpare (i detenuti stessi, criminali e tossici, vaghe regie esterne), terrorizzare e rimpatriare in fretta e furia i testimoni, come dopo la morte di Vakhtang e Orgest.

I parallelismi fra carceri e Cpr non finiscono certo qui: entrambi sono manifestazioni fisiche di oppressione, tortura, ricatto, isolamento, annichilimento e morte, entrambi destinati, nella grande maggioranza dei casi, a quella umanità “di scarto” che non vuole o non può piegarsi ai ricatti dello Stato e del capitale o che è nata con il documento “sbagliato”.

Che tutte quelle mura possano cadere.

Solidarietà ai/le prigionieri//e e a tutti/e i/le rivoltosi/e

A chi è o sarà in fuga dal CPR i nostri migliori auguri!

Notte di rivolta al CPR

Ieri due persone detenute al cpr di Gradisca hanno tentato di evadere dalla struttura, purtroppo il loro tentativo di fuga non è andato a buon fine. Sono stati fermati e ci raccontano che sono stati picchiati dalla polizia che li ha riportati dentro al lager. Le altre persone hanno cominciato a gridare di non picchiarli ma, ci dicono, la polizia si è subito premurata di zittire anche loro con la forza.
Da dentro ci dicono che non ce la fanno più, che sono persi in un buco nero, che hanno freddo, non hanno vestiti, quando si lavano sono costretti a rimettersi la roba sporca.
Il coraggio e la determinazione nel provare a liberarsi dalla condizione di umiliazione e prigionia quotidiane ci dimostra che tutti i tentativi di annichilimento e annientamento della persona propri di strutture come carceri e cpr per fortuna non riescono nel loro intento.
Solidali con chi ieri si è ribellato e ha tentato la fuga

FUOCO AI CPR

FUOCO ALLE GALERE

Urgente: nel CPR di Gradisca (0-3°C) niente porte né coperte

Nel CPR di Gradisca la maggior parte delle celle non ha porte e finestre. La maggior parte della struttura non ha il riscaldamento funzionante e da dentro ci raccontano che si stanno ammalando e che non riescono a dormire perché fa troppo freddo.

La cooperativa EDECO sa, il suo responsabile Simone Borile sa, i detenuti rischiano di morire di freddo e vengono lasciati come bestie a congelarsi. Né la garante dei detenuti Corbatto né la sindaca Tomasinsig hanno detto niente a riguardo.

“Non ci credo che sono in Italia” ci dice qualcuno “Non sto bene […], mi sento molto stanco, […] non hanno acceso il riscaldamento, non ci hanno dato i vestiti invernali e fa molto freddo” raccontano.

Oggi hanno deportato altre 12 persone tunisine, 2 dalla zona rossa e 10 dalla blu, per gli accordi aguzzini dell’ultimo anno.

Per fortuna l’altro ieri altre tre persone sono riuscite a fuggire. A queste auguriamo buona fortuna, nella speranza che molte altre riescano a farlo in futuro.

FUOCO AI CPR E A TUTTE LE GALERE.

La storia assurda di N.: “qui ti danno due anni come fossero caramelle”

Scriviamo con rabbia per diffondere la storia assurda di un ragazzo che ieri è stato processato per “concorso morale” agli episodi avvenuti il 14 agosto nel CPR: in breve, si tratta di un incendio, come quelli che avvenivano in quel posto ogni sera. Potrebbe sembrare uno scherzo se non avesse preso un anno e 10 mesi di reclusione. A lui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, temiamo che da un momento all’altro possano prenderselo con forza e ributtarlo nel posto da dove, due anni fa, ha scelto di partire. Che i CPR cadano e siano distrutti. Che tutti i suoi detenuti siano liberati! Che N. sia liberato! Diffondete!

N. arriva in Italia a metà 2018, a 22 anni “per costruire il mio futuro e guardare in avanti”, arriva in aereo a Venezia, pagando molti soldi per un contratto di lavoro a Potenza, che poi risulta non esistere. Parla già un po’ l’italiano, che ha iniziato a studiare da solo prima di partire.

Decide quindi di partire, passa in Francia e poi va a vivere in Belgio, dove lavora per sette mesi. Un giorno viene fermato e, non avendo un permesso di soggiorno valido per il Belgio, viene rispedito in Italia per regolarizzarsi. Il centro di rimpatrio in Belgio, dove sta in attesa del volo verso l’Italia, è interculturale, misto (uomini e donne) e ha una una palestra, assistenza medica, cibo buono e abbonamento a Netflix.

Arriva a Fiumicino e ad aspettarlo trova due donne – forse assistenti sociali forse funzionarie della Prefettura – che gli ritirano il passaporto e gli danno un permesso provvisorio, perché nel frattempo lui ha fatto richiesta asilo. Lo inviano in un CAS a Roma, talmente sporco che non si riusciva a fare la doccia: da quel CAS, N. decide di scappare. Vive e lavora un po’ a Napoli e poi torna in Veneto, va a fare la vendemmia e a lavorare in osteria a Conegliano. Fa la commissione per la richiesta asilo, intraprendendo l’unica via per regolarizzarsi in Italia, e, come per quasi tutti, la sua richiesta viene rifiutata senza grandi spiegazioni. Un giorno, mentre mangia un kebab in piazza, viene fermato e trovato senza permesso di soggiorno, spiega che sta per consegnare i documenti per la sanatoria aperta da poco. Tuttavia, pochi giorni dopo, vanno a prenderlo al suo domicilio per portarlo al CPR di Gradisca. Dopo pochi giorni, compie 25 anni. Sta male, come tutti i detenuti nel CPR.

Un giorno di luglio 2020, vede dalle inferriate il corpo di Orgest Turia che viene portato via e vede Hassan in fin di vita. In quel periodo nel CPR ci sono incendi tutte le sere. Qualche tempo dopo N. ha richiesto un colloquio per nominare un avvocato di fiducia; il colloquio inizialmente gli viene impedito, dicendo all’avvocato che il ragazzo non può essere convocato perché si trova in quarantena per il Covid, N. smentisce questa versione: lui è nel CPR da più di un mese ormai, gli hanno fatto tre tamponi, tutti e tre con esito negativo. N. si sente preso in giro e pensa stiano usando la scusa della quarantena per isolarlo e non permettergli di parlare con nessuno.

Il 14 agosto, ci sono stati degli incendi a seguito del pestaggio di alcuni altri detenuti nella zona rossa. In quei giorni, il fuoco è una presenza quotidiana; ogni sera, a seguito di una giornata di pesanti soprusi, nel CPR di Gradisca avvengono piccole rivolte. Ma il 14 agosto la repressione sembra essere stata più violenta, come avevamo raccontato in questo post.

Il 15 agosto, all’alba, viene preso e portato al carcere di Gorizia con altri due detenuti: viene messo in custodia cautelare per concorso morale ai fatti del 14 sera e viene messo sotto arresto assieme ad altre due persone. All’inizio, viene messo in quarantena, poi viene spostato con i detenuti comuni. Uno dei tre il 19 viene fatto uscire dal carcere, non si sa dove viene portato. L’altro rimane, ma viene poi trasferito due mesi dopo nel carcere di Trieste. Sugli altri due sembra pendessero accuse più gravi, come lesione, resistenza e danneggiamento. “Ci sono quelli che ammazzano e sono in giro per la strada e invece noi siamo stati messi in carcere”, ci dice.

L’8 settembre ha il riesame per le misure cautelari; il giorno prima avvisa. L’8 si prepara per andare in tribunale, ma nessuno lo porta al suo processo: dopo 23-24 giorni lo avvisano che tutte le istanze del riesame sono state rigettate e le misure cautelari in carcere vengono mantenute. Poi arriva la conclusione delle indagini e il rinvio a giudizio per il 15 dicembre, il giudice chiede il rito abbreviato o il patteggiamento. Parla con l’avvocato, fissa l’udienza per il patteggiamento per il 26 novembre e viene spostato con obbligo di dimora al CPR: più che un obbligo di dimora, si tratta di una detenzione carceraria.

Gli dicono che potrà assistere in videoconferenza dal carcere, o di persona. Il 26 mattina è pronto, ma nessuno lo fa uscire dal CPR o lo porta al suo processo. A metà udienza riceve una chiamata dall’avvocato, che chiede di interrompere momentaneamente l’udienza in modo da chiedere al suo assistito se gli va bene un patteggiamento di 1 anno e 10 mesi (aumentato di 10 mesi rispetto all’iniziale proposta). N., da quello che capisce, deve accettare poiché se andasse a processo gli verrebbero chiesti non meno di tre anni, come scritto sui primi documenti al suo arresto, prima della conclusione delle indagini. Si trova quindi ad accettare il patteggiamento al telefono, nella sua cella del CPR senza poter presenziare al suo processo o ascoltare ciò che è stato detto. È incensurato quindi può avere la pena sospesa per la condizionale.

“Qui ti danno due anni come fossero delle caramelle”, ci dice. 1 anno e 10 mesi, dopo 3 mesi di carcere cautelare, per concorso morale a una delle centinaia rivolte di coloro che nel CPR rivendicano di essere umani.

E adesso?

Solo ieri hanno deportato 13 persone tunisine dal CPR di Gradisca, lunedì 24, i giorni prima ancora di più. N. sa che forse sarà uno dei prossimi, ma non vuole tornare in Tunisia, da dove se n’è andato. È arrivato in Italia poco più di due anni fa, ha fatto 54 giorni di CPR, 3 mesi di carcere e ora si trova da 10 giorni di nuovo nel CPR.

“Sono massacrato, qua dentro al CPR mi hanno rovinato la vita, in tutti i sensi”.

CHE N. SIA LIBERATO E POSSA VIVERE DOVE VUOLE, COME TUTTI GLI ALTRI DETENUTI. SOLIDARIETÀ A N. E A TUTTI I DETENUTI!

MINACCE DI MORTE E ESPULSIONI

Dentro il CPR c’è Hassen, un uomo che parla bene italiano ed ha vissuto a Padova per anni, un uomo originario dalla Tunisia che ha aiutato spesso, facendo da traduttore, i suoi compagni di detenzione trasportati nel lager di Gradisca da Lampedusa.

Hassen è scappato dalla Tunisia perchè minacciato di morte, se fosse rimasto gli sarebbe costata la vita. Hassen ha un’infezione tubercolare latente ed un nodulo (benigno) alla tiroide.

Quando la polizia lo ha fermato a Padova, lui si è sentito male, ha avuto nausea e giramenti di testa, e ha chiesto di andare all’ospedale, ci racconta che i poliziotti lo hanno picchiato e minacciato di rimandarlo subito in Tunisia. Successivamente è stato portato al Cpr di Gradisca, da quando è entrato ci raccontano che non gli hanno fatto alcuna visita medica. Martedì della scorsa settimana lo hanno portato presso il consolato tunisino, ma ci racconta che l’hanno lasciato chiuso dentro al “furgone” impedendogli di parlare con il console, dopo avergli preso i documenti.

Ieri gli hanno fatto un tampone, che lui ha preso come indizio della sua imminente deportazione, e Hassen ha scritto una lettera di addio alla madre e ha iniziato a prepararsi per il suicidio: o morto o libero, in Tunisia a farsi ammazzare non ci vuole tornare. I compagni di cella ed i contatti all’esterno hanno cercato di farlo desistere ed hanno vegliato la notte per scongiurare la sua deportazione. Al momento si trova ancora nel CPR, sembra i giorni dei rimpatri ora siano diventati martedì, giovedì e venerdì.

Si trova nel CPR da 3 mesi, tempo massimo secondo le nuove modifiche dei decreti “sicurezza”. La sua permanenza forzata è dovuta alle convalide mensili comminate dall’unico Giudice di Pace della provincia di Gorizia, noto a detenuti ed avvocati per le sue sentenze quasi sempre a favore della detenzione. La sua vita misera e annichilita degli ultimi mesi è dovuta alla cooperativa EDECO che gestisce il centro. L’impossibilità di “allontanarsi volontariamente” dal centro è dovuto ai dispositivi di controllo e alle guardie armate usati per controllare il centro, come fosse un carcere di massima sicurezza. La sua deportazione (e la sua eventuale morte) è dovuta alle leggi razziste approvate da tutti i governi e le giunte che si sono susseguiti.

Che i gradiscani e le gradiscane, le uniche persone che possono muoversi nel comune vadano di fronte a quel centro a farsi raccontare cosa succede, ad opporsi a che lo deportino. Che gli operatori degli aeroporti, che gli autisti degli autobus, che i normali passeggeri si rifiutino di essere mandanti di morte.

Che chiunque abbia qualche idea, la metta in pratica.

Aggiornamenti da Gradisca: contagi e deportazioni

Il 10 novembre, alle 5 di mattina, come da prassi, da dentro il CPR di Gradisca un gruppo di detenuti, tutti di nazionalità tunisina, sono stati deportati: non sappiamo quanti fossero esattamente né dove li abbiano portati, ma ipotizziamo che qualsiasi tappa intermedia fosse comunque destinata al rimpatrio forzato.

La macchina dei CPR sta quindi continuando a operare a pieno regime. Se nemmeno durante il primo lockdown la prefettura di Gorizia o la giunta comunale di Gradisca ha ipotizzato di chiudere queste strutture, contrariamente a quanto avvenuto in altri Paesi europei, ora che lo stato di eccezione sta continuando a colpire tutt*, dalle scuole alla piccole attività commerciali, di luoghi detentivi, carceri e, ultimi fra tutti, Cpr non si occupa nessuno.

Dentro al CPR di Gradisca, da quel che sappiamo, continuano ad avvenire settimanalmente nuovi ingressi e trasferimenti di persone da un CPR all’altro: solo tre giorni fa, sono entrate altre 25 persone, provenienti da Sud, probabilmente direttamente da Lampedusa. Non viene rispettata alcuna misura sanitaria di tutela minima: da quello che ci viene raccontato, la mascherina, per esempio, viene fatta indossare ai detenuti del campo solo se e quando viene consentito loro di parlare con un legale. Le persone recluse all’interno del campo continuano nella maggior parte a vivere in stanze comuni.

I giornali locali hanno parlato di casi di Covid all’interno del CARA adiacente e di una trentina di contagi nel carcere di Tolmezzo (UD). Non è dato sapere invece cosa avvenga all’interno del CPR: anche qui, come è noto dalla scorsa primavera, sono stati rilevati alcuni casi di persone positive al Covid-19. Per il momento sembra che le misure di prevenzione si siano limitate all’isolamento delle persone positive, individuando una camerata comune per tutte loro. In ogni caso, ai reclusi non viene comunicato nulla sulla presenza o meno di casi di Covid.

Sappiamo che una delle persone positive faceva parte del gruppo di tunisini trasferiti la scorsa settimana. Ci viene confermato da più parti che, a differenza di quanto accadeva in passato, anche dentro al CPR di Gradisca le comunicazioni di molti dei detenuti con l’esterno e con i propri familiari vengono impedite. Il metodo pare essere questo: quando uno entra in CPR, gli si toglie la sim dal cellulare.

La garante comunale Giovanna Corbatto poco più di un mese fa si è espressa pubblicamente dicendo che le condizioni interne al CPR sono peggiori di quelle delle carceri; tuttavia, sappiamo bene che il suo ruolo è poco più di uno specchietto per allodole. Chi avrebbe il potere di fare chiudere questi lager non ha alcuna intenzione di farlo. Che muoiano di botte o di Covid là dentro evidentemente poco importa.

Finché avremo fiato e finché potremo, continueremo a raccontare quello che succede nella galera di Gradisca, perché tutte e tutti sappiano che dietro a questo inferno ci sono responsabilità precise.

Volantinaggio contro la coop Edeco a Battaglia Terme (PD)

Mentre la Cooperativa Edeco si macchia le mani del sangue delle persone senza documenti gestendo” il CPR di Gradisca d’Isonzo, poco lontano, in provincia di Padova, si aggiudica innocentemente appalti per la conduzione di nidi e scuole per l’infanzia.

C’è chi ha deciso di rendere noto il ruolo di Edeco nella gestione di uno di quelli che sono i moderni campi di concentramento italiani, attraverso un volantinaggio massivo nella città sede della cooperativa stessa, Battaglia Terme (PD).

Il CPR esiste per le ragioni sistemiche che non smettiamo mai di ricordare, ma esiste anche perché c’è chi lo mantiene in vita lavorandoci e traendo profitto sulla pelle di chi vi è rinchiuso.

È  per questo che non è affatto marginale il ruolo di Edeco, come di qualsiasi altro ente che grazie ai suoi servizi permette il suo funzionamento.

È  per questo che bisogna sempre ricordare chi è complice dell’esistenza di questi lager.

Pubblichiamo qui il volantino che è stato distribuito a Battaglia Terme.

La sicurezza è la solidarietà!

Da più di due anni, l’assemblea No Cpr-no frontiere si muove sul territorio per combattere concretamente il razzismo e solidarizzare attivamente con chi ne è colpito, nella tensione verso un mondo senza discriminazioni in cui tutte e tutti siano libere di muoversi. La nostra relazione con Linea d’Ombra e l’attività di aiuto in stazione, ancor prima che si creasse formalmente l’associazione di volontariato, è sempre stata stretta, di sinergico supporto e scambio. Dare una mano fraternamente attraverso la cura e l’ascolto a chi arriva stremato da settimane di fughe, molto spesso per ripartire verso altri Paesi, solidarizzare con le persone assicurandosi che le città ed i sentieri che attraversiamo non siano ostili a chi si trova in uno stato di vulnerabilità, lottare concretamente contro i campi di internamento per persone senza documenti (CPR) e diffondere le voci invisibili dei reclusi e dei sopravvissuti alle violenze delle polizie d’Europa sono tutte pratiche di sorellanza strettamente legate tra loro.

Sabato 24 ottobre, Linea d’Ombra e il gruppo di mediche/infermiere/attiviste La strada Si.Cura, che da mesi scendono regolarmente in piazza, saranno sotto attacco. La pagina facebook fascista Son Giusto ha chiamato una manifestazione alla stessa ora e nello stesso luogo dove ogni sera scendiamo in piazza, in solidarietà con chi è appena arrivato dalla Rotta balcanica, cioè persone debilitate e spesso giovanissime. Alla manifestazione hanno garantito la loro presenza i militanti di Veneto Fronte Skinhead, Avanguardia Nazionale e il gruppo Unione e Difesa. Come scrivono Linea d’Ombra e La strada si.cura, “La volontà di “Son Giusto Trieste” di appropriarsi della Piazza apre a possibili scenari violenti dei quali saranno ritenuti responsabili coloro che dovessero permettere che tale palese provocazione si realizzi.

Di fronte a questa minaccia fascista concreta, che si somma al controllo poliziesco costante, ci dichiariamo solidali con le persone che attraversano le frontiere balcaniche, fino a Trieste e oltre, e con chiunque combatta la violenza delle frontiere, delle polizie e degli Stati, attraverso la cura, come fanno le attiviste e gli attivisti di piazza Libertà, e con ogni altro mezzo.

Qui il comunicato di LDO e LaStradaSi.Cura https://www.lineadombra.org/2020/10/22/comunicato-inaccettabile-son-giusto/

CONTINUANO ANGHERIE E DEPORTAZIONI

Dal CPR di Gradisca si continua a deportare: sappiamo per esempio che è stata deportata una persona tunisina, arrivata dal Mediterraneo a inizio giugno e che da allora non ha fatto altro che richiedere asilo, non sappiamo se gli è mai stata data la possibilità di farlo anche in modo ufficiale. Qualche giorno fa abbiamo raccontato che lo Stato italiano sta rimpatriando persone arrivate da poco attraverso la Rotta del Mediterraneo centrale, facendole passare coattamente dal CPR di Gradisca.

Tra inizio agosto e metà settembre la ministra dell’Interno Lamorgese si è recata personalmente in Tunisia e Algeria per intensificare, tramite accordi, i rimpatri di coloro che quei posti decidono di lasciarli assumendosi il rischio di un viaggio spesso letale. Dal dieci agosto, sono stati riattivati i voli di rimpatrio verso la Tunisia: dall’Italia alla Tunisia partono due voli charter di rimpatrio a settimana.

I rimpatri verso la Tunisia e l’Algeria sono effettivamente intensi dal CPR di Gradisca. Nel 2018, l’ex governatrice del Friuli-Venezia Giulia Serracchiani (PD) chiedeva all’allora ministro dell’Interno Salvini dove fossero i rimpatri di massa. Secondo quella logica, il Partito Democratico di Marco Minniti aveva una maggiore capacità di gestire i flussi migratori: cioè di rinchiudere e respingere le persone senza documenti regolari. La politica estera di Lamorgese, allo stesso modo, vanta un certo successo nel sottoscrivere accordi per i rimpatri di massa, una delle azioni più razziste e disumane promosse dallo Stato Italiano.

Nel frattempo, la cooperativa EDECO, che gestisce il CPR, sembra abbia iniziato a fare nuove angherie. Ora, ci raccontano da dentro, le persone che entrano non possono più avere una sim card con la quale comunicare con l’esterno. La settimana scorsa, ci dicono, almeno un coordinatore degli operatori della cooperativa ha intralciato la consegna dei pacchi ai reclusi. In generale, pacchi che contengono cibo, vestiti o altro possono essere inviati ai reclusi da famiglie, persone amiche o solidali; tuttavia, a quanto pare, la cooperativa EDECO si è rifiutata di consegnare dei pacchi, adducendo come scusa la necessità di un controllo preventivo da parte della Prefettura di Gorizia. In realtà, pare che questa norma non esista: non è chiaro se la cooperativa abbia ostacolato deliberatamente una delle pochissime possibilità di contatto con l’esterno per i reclusi. A quanto ci raccontano, da quando ha iniziato a gestire il CPR, EDECO si è contraddistinta per le sue prassi degradanti e violente: per esempio, nel CPR di Gradisca non è mai stata aperta la mensa, privando le persone di uno spazio di comunità e costringendole chiuse in gabbia tutto il giorno.

Un dispositivo come il CPR e una macchina organizzativa come quella delle deportazioni possono essere gestiti bene o gestiti male, in termini di efficienza: spesso, chi sa gestirli “meglio” è chi causa il maggior numero di reclusioni e deportazioni. Contro la retorica della gestione efficiente dei flussi migratori e contro l’umanizzazione dei campi di internamento, continuiamo a volere la distruzione dei lager e dei confini.