Voci dal Cpr: siamo in sciopero della fame!

Ieri, 19 dicembre 2021, ci siamo ritrovate assieme a compagni e compagne da tutta la regione sotto il lager di Gradisca. La morte di B.H.R. pochi giorni fa, la terza da quando il CPR ha riaperto il 17 dicembre di due anni fa, non poteva rimanere sotto silenzio.

Come sempre uno degli obiettivi dell’iniziativa era farsi sentire dai reclusi per comunicare loro la nostra solidarietà e vicinanza. Nonostante la questura avesse come sempre relegato il presidio al lato opposto della strada, un cospicuo gruppo di partecipanti al presidio si è spontaneamente spostato davanti al lager urlando slogan e ricevendo una risposta da dentro. Le voci gridavano: libertà!

Mentre cercavano di comunicare con l’esterno, alcune persone recluse sono state minacciate di venir denunciate se avessero continuato a comunicare con i solidali.

Oggi abbiamo scoperto che dentro al CPR, ci sono diverse persone in sciopero della fame, almeno tre in zona verde e qualcuno in zona rossa. Uno non mangia da tre giorni, altri hanno iniziato tra ieri e oggi. Da dentro, chiedono di condividere fuori la notizia del loro sciopero; la rivendicazione è la libertà, tutti vogliono uscire da lì.

Nel frattempo, la rete No Cpr di Milano ha riportato nuove notizie sul suicidio avvenuto nel Cpr di Gradisca, che riportiamo qui sotto anche se non abbiamo ancora avuto modo di confermarle:

La notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2021 avevamo diffuso la notizia di un giovane suicidatosi nel CPR di Gradisca di Isonzo. Si pensava inizialmente si trattasse di un marocchino. Si tratta invece di un cittadino tunisino di 44 anni. Il suo nome è Anani Ezzeddine. La famiglia è stata informata prontamente dalle autorità competenti; anche loro chiedono di comprendere le ragioni del suicidio. In questi giorni sempre nel CPR di Gradisca diverse sono state le segnalazioni di persone che hanno tentato il suicidio, che sono state salvate e sostenute dai compagni di cella. Nel caso di Anani non c’è stato nulla da fare.

Ieri, mentre noi eravamo a Gradisca, altre persone si sono mobilitate sia contro il CPR di Milano sia contro il CPR di Ponte Galeria, vicino a Roma.

Contro tutti i lager, contro tutti i confini.

[L’immagine rappresenta una scritta sull’asfalto, che dice: “Vakhtang, Orgest, BHR, morti di Stato”. La scritta è apparsa ieri al termine del presidio, davanti al CPR.]

 

Testimonianze dal CPR di Gradisca, a due giorni dalla morte di R.

Ieri, 8 dicembre 2021, alcune decine di solidali hanno deciso di ritrovarsi sotto le mura del CPR di Gradisca d’Isonzo da dove il giorno prima era uscita la notizia del suicidio di un uomo marocchino rinchiuso in isolamento, per gridare la propria solidarietà e vicinanza ai reclusi.

Del ragazzo morto sappiamo, per ora, poco: pare che il suo nome iniziasse per R. e che portasse i dread lunghi. Era marocchino ed era arrivato da poco; era stato rinchiuso in isolamento per quarantena.

Alcune notizie sulla morte di R. ci arrivano da un video pubblicato su facebook da Campagne in lotta, che trascriviamo in parte qui sotto:

«Due sere fa, un ragazzo tunisino o marocchino è stato con noi in camera, però dopo l’hanno spostato da solo. Quella notte lì lui si è suicidato, hai capito? La mattina ci siamo svegliati e abbiamo chiesto di lui e ci hanno detto che lui stava male e l’avevano portato all’ospedale. Però ci sono altri ragazzi della stanza di fronte a lui che mi hanno detto che lui era morto, l’hanno portato morto già. Loro hanno detto che stava male e per quello l’hanno portato in ospedale, ma non hanno raccontato la verità, hai capito?»

Piano piano, stiamo riallacciando i rapporti con le persone che sono chiuse dentro il CPR. Ci hanno raccontato che dentro nessuno racconta loro nulla di ciò che succede. Alcuni operatori sono africani, come molte delle persone rinchiuse, ma questo non permette di creare rapporti di solidarietà («sono africani ma sono peggio della polizia!»).

Le persone hanno varie origini: Alcuni vengono direttamente dalle navi quarantena e vengono subito rimpatriati: si tratta soprattutto di tunisini e marocchini. Ci sono anche africani neri, arabi, serbi, kosovari, «tutti quelli che non vengono nell’unione europea».

I reclusi hanno a che fare con medici, alcuni «bravi, altri razzisti», «alcuni che non ti cagano e altri che ti cagano ma quando ti cagano se ne fregano».

Nelle celle ci stanno dodici persone; nella zona di isolamento in ogni cella ci stanno otto persone. Nelle celle c’è molto freddo, non c’è riscaldamento e ci sono delle finestre rotte, quindi di solito passano le giornate nella parte esterna delle stesse e accendono fuochi per scaldarsi con quello che trovano a disposizione. Ieri erano tutti dentro a causa della pioggia, le finestre, se non sono rotte, sono blindate.

Altre notizie sulla vita nel CPR ci arrivano dal video pubblicato da Campagne in lotta, del quale trascriviamo una seconda parte qui sotto:

«Vedi qua io ho sistemato questa porta mettendo lo scotch e la plastica per il freddo. La finestra era rotta. Abbiamo un amico che lavora qua e lui ci ha aiutato a sistemare; dall’altra parte purtroppo loro non hanno avuto questa fortuna… Solo che qua fa molto freddo. Questi sono i bagni che non puliscono neanche, vedi? Oggi non puoi fare la doccia perché l’acqua è fredda. Qua siamo in mezzo alla campagna, fa troppo freddo.»

Il video si conclude con un’inquadratura su un uomo accasciato a terra attorniato da personale sanitario (?) e sulla richiesta di un poliziotto (?) di «portare via il telefono e andare di là». 

Gli ultimi minuti del video mostrano la retata con la quale vengono prelevati dal CPR coloro che sono destinati al rimpatrio forzato: «portano gli africani in Africa perché sono senza documenti».  

Una voce commenta:

«Cosa hanno passato questi ragazzi per arrivare fino a qua… e quanti soldi hanno speso… per un pezzo di documenti… spero che oggi dormirete bene.»

Un’altra morte di Stato nel CPR di Gradisca

Due settimane fa, Abdel Latif, ventiseienne tunisino, è stato trovato morto, legato al letto, all’Ospedale san Camillo di Roma, dopo essere stato relegato su una nave quarantena e rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria, a Roma. Ieri, il sistema delle prigioni su base etnica ha fatto un altro morto: non sappiamo come si chiami, sappiamo solo che era rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo e che ieri mattina era già morto.

Dopo Majid el Khodra, Vakhtang Enukidze e Orgest Turia, aggiungiamo un ennesimo nome ai morti di Stato del lager della nostra regione. Non dobbiamo smettere di far arrivare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e non dobbiamo smettere di dire che i CPR vanno distrutti.

Per la LIBERTA’ e la DIGNITA’ di TUTTE/I LOTTIAMO CONTRO I CPR, LAGER per MIGRANTI

Riceviamo notizia di questa iniziativa dell’ Assemblea permanente contro il carcere e la repressione, avvenuta a Udine il 13/07 e inoltriamo:

Come assemblea permanente contro il carcere e la repressione, martedì 13 luglio, abbiamo volantinato un testo contro i CPR all’ingresso di uno spettacolo teatrale al quale partecipava il musicista Liubomyr Bogoslavets, che ha subito qualche settimana fa la cattura da parte della polizia e la deportazione nel CPR di Gradisca d’Isonzo con la minaccia di un rimpatrio in Ucraina e che poi è stato liberato.

Di fronte all’interessamento ipocrita alla vicenda di politicanti locali del PD ma anche ad un’opinione pubblica che va avanti a colpi di flash mob e petizioni on line, con questo volantinaggio, abbiamo voluto rimarcare la prospettiva della lotta contro i CPR, una lotta che implica quella contro lo Stato, i suoi confini e le sue leggi, il potere della polizia, lo sfruttamento e la schiavitù che derivano dalla criminalizzazione delle persone migranti.

Tutta la nostra solidarietà va a Liubomyr Bogoslavets che è stato privato della sua libertà e rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo con la minaccia di un rimpatrio forzato nella sua terra di provenienza, l’Ucraina ed a tutti i/le prigionieri/e rinchiusi nei lager di Stato italiani.

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) sono l’ultimo nome dato alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e nate come Centri di Permanenza Temporanea (CPT), poi Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), infine nel 2017 con la legge Minniti-Orlando, CPR.
I CPR sono delle prigioni amministrative senza regolamento penitenziario, impermeabili alla società civile che non può avervi accesso, affidate alla gestione di cooperative ed aziende, il famigerato privato-sociale. Ad esempio a Gradisca la gestione del lager è passata dal consorzio Connecting People alle cooperative Minerva, Edeco, infine Tucso.
A Gradisca, come in tutti i CPR, le condizioni sono degradanti e disumanizzanti: gabbie in acciaio, coperture di plexiglass, lucchetti, filo spinato e offendicula direttamente importati dallo stato genocida israeliano, letti imbullonati al pavimento senza materassi e lenzuola, bagni putridi e senza porte divisorie, sporcizia ovunque, cibo insufficiente, scadente e drogato da psicofarmaci.
Dalla loro creazione ad oggi vengono rinchiuse nei CPR migliaia di persone come Liubomyr, persone non comunitarie trovate senza permesso di soggiorno “regolare”, perché perso, non rinnovato oppure mai avuto, o alle quali è stata rifiutata la richiesta di asilo politico, o che avevano in sospeso decreti di espulsione dall’Italia, senza comunque essere state condannate per alcun reato (per quel che vale).
Il CPR di Gradisca d’Isonzo riapre nel dicembre 2019, dopo essere stato chiuso nel 2013 grazie ad una importante rivolta dei prigionieri in seguito alla quale morì Majid El Kodra che, assediato dalle forze dell’ordine, cadde dal tetto della struttura.
A fine maggio 2021, pochi giorni prima di Liubomyr, la polizia ha provato a deportare un altro uomo ucraino che aveva già vinto un ricorso contro l’espulsione, il quale è stato deportato a Gradisca da Milano, anche lui in seguito liberato.
Queste persone vengono imprigionate tutti i giorni sulla base di un dispositivo che lo Stato italiano ha introdotto come strumento di controllo sui propri confini e di repressione su chi li oltrepassa senza “carte in regola” oppure non è più ritenuto utilizzabile a fini produttivi, quindi “eliminabile”. La privazione della libertà viene disposta di regola dalle forze di polizia che effettuano i controlli sui documenti, mentre il giudice di pace interviene solo in seguito in sede di controllo sulla legittimità della detenzione.
Quante volte vediamo per le strade della città volanti della polizia “a caccia” di migranti: fermano senza alcuna ragione persone che stanno semplicemente camminando per i fatti loro, solo perché non bianche o identificate come non italiane.
Dal dicembre 2019 sono morti nel CPR di Gradisca d’Isonzo due prigionieri, nel gennaio 2020 Vakhtang Enukidze, ammazzato di botte dalle guardie perché per cercare il suo telefono rifiutava di entrare nella cella e Orgest Turia, morto di overdose a causa di psicofarmaci che gli sono stati somministrati in modo coatto. Queste, come quella di Majid sono morti di Stato! Non dimentichiamocelo.
Le forze politiche, PD in testa, che si sono esibite in dimostrazioni di solidarietà con Liubomyr sono le dirette eredi di quelle che crearono i CPT e la detenzione amministrativa e quelle che hanno riaperto nuovi e vecchi centri col nome di CPR mentre facevano accordi (Memorandum Gentiloni del 2017) coi miliziani libici per il controllo delle loro frontiere a sud, per tenere internati circa 1 milione di uomini e donne in campi concentramento dove vengono torturati, stuprate e uccisi e fare buona guardia ai pozzi petroliferi dell’ENI.

La lotta contro i CPR non è un’azione di carità e non può esaurirsi nell’azione legale che riesce a evitare detenzione ed espulsione per qualcuno/a.

La lotta contro i CPR è una lotta politica contro gli Stati e i loro confini, contro il potere della polizia e delle altre forze dell’ordine, per l’autodeterminazione degli individui e dei popoli, contro lo sfruttamento e la schiavitù alla quale sono sottoposte le persone cosiddette “irregolari”.

Assemblea permanente contro carcere e repressione fvg

 

La “nuova” coop sociale Tucso, ovvero nome nuovo e stesso schifo

È dei primi mesi di quest’anno la notizia, riportata da alcune testate locali, che la vecchia coop Edeco è stata sostituita con un’operazione di scissione d’impresa dalla “nuova” coop Tucso, a sua volta un ramo della coop Tuendelee. L’idea è la solita: rimescolare ogni tanto qualche carta per continuare indisturbati con le propre usuali attività, mantenendo ovviamente invariati i propri sporchi traffici, appalti pregressi compresi.

A inizio 2020, la ex-Edeco chiude l’attività, entra in liquidazione e viene cancellata dall’elenco regionale veneto delle cooperative sociali. Cambia nome, domicilio – Tucso si trova ora in via Pescheria 17, sempre a Battaglia Terme (Pd), per chi si trovasse a passare di là – e direttivo, con un bel giro di giostra che sembrerebbe vedere alla guida di Tucso non più Sara Felpati, moglie di Simone Borile, diventata consigliera, ma Gabriele Milani, prima amministratore delegato di Edeco.

Il sistema è comunque ben collaudato: ai tempi della morte di Sandrine Bakayoko e delle rivolte al campo di Cona (Ve), la coop si chiamava Ecofficina; poi, come noto, prende il nome di Edeco, collezionando due morti nel Cpr di Gradisca e due processi carico a Venezia e Padova per intrallazzi con alti funzionari delle locali Prefetture sull’affidamento e gestione dei sevizi di reclusione e sfruttamento di persone migranti; ora, appunto, è diventata Tucso.

Il Comune di Padova, dove Tucso oggi continua a gestire in tutta tranquillità lo Sprar locale, pare non essersi accorto di niente e la sua assessora al sociale Marta Nalin afferma: «Se la cooperativa Edeco, che è poi diventata Tuendelee–Tucso, ha continuato a gestire fino ad oggi lo Sprar vuol dire che ha potuto farlo perché non sono subentrate condizioni che lo impedivano. Dal punto di vista legale deve essere tutto a posto». Anche l’ex-prefetto di Padova (ora a Genova) Renato Franceschelli, come d’altronde a suo tempo i suoi ex-colleghi presi con le mani nel sacco, non trovava nulla di strano: «Fino a oggi con la nuova coop non c’è stato alcun problema».

Tutto a posto, nessun problema. Quando ci sono di mezzo affari per centinaia di migiaia di euro sulla vita e la morte degli/le ultimi/e degli/le sfruttati/e, non c’è processo che tenga.

Dietro le abituali facciate di “scuole dell’infanzia” – almeno 3 nel padovano, a Lozzo Atestino, Megliadino San Vitale e Villa Estense – “servizi a persone svantaggiate” e “turismo sociale” e le stesse baggianate di prima sui “valori fondamentali del benessere dell’individuo, della carità e della crescita individuale” e sui “legami sociali in contesti accoglienti”, i veri profitti derivano dalla gestione di campi di concentramento dove la gente viene imprigionata, annichilita, picchiata, lasciata morire e uccisa.

Insomma, diverso nome ma stesse facce e ancor più luridi affari.

Per Moussa Balde, Vakhtang Enukidze, Orgest Turia e tutti/e i/le morti/e per la complicità di Tucso, dei suoi affini e di ogni responsabile.

Che i CPR possano bruciare.

Che i profitti di chi si arricchisce su qualsiasi prigione possano andare in fumo.

Solidarietà ai rivoltosi.

Liubomyr libero, liberi tutti

Per chi suona la fisarmonica?

Liubomyr Bogoslavets è un musicista di origine ucraina che è solito suonare la fisarmonica in piazza Matteotti a Udine. Dall’11 giugno è rinchiuso nel Cpr di Gradisca d’Isonzo dove, dal dicembre 2019, sono passate centinaia di persone come lui: cioè persone senza documenti regolari.

Questa storia, a differenza delle storie delle centinaia di persone rinchiuse, è riuscita a bucare il muro della vera fortezza di Gradisca, il Cpr, e a far emergere la violenza della detenzione delle persone senza documenti. Per esempio, oggi (sabato 19 giugno 2021) a Udine si terrà un flashmob musicale in solidarietà a Liubomyr: musicisti e musiciste suoneranno insieme This land is your land di Woody Guthrie, ognuno con il proprio strumento. «Ma come? Liubomyr era un volto noto, uno che non faceva male a nessuno, come è possibile che rischi la deportazione?», ci si chiede.

Lo stiamo ripetendo da anni. Nessuno viene rinchiuso a Gradisca perché «ha fatto male a qualcuno»: si viene rinchiusi a Gradisca perché non si hanno documenti regolari. Sono state rinchiuse a Gradisca persone che erano in Italia da quasi tutta la vita, ci sono state persone che stavano per diventare padri, persone che hanno studiato in Italia, insieme a persone che erano appena sbarcate a Lampedusa
o che erano uscite dall’accoglienza con un negativo in commissione o che avevano finito di scontare una pena. Ci sono state persone di tutti i tipi e di tutte le provenienze: dalla Georgia all’Albania, dalla Russia al Pakistan, dall’Egitto al Venezuela. Ognuna di loro era il volto noto di qualcuno e aveva una propria storia, come Liubomyr. Solo che le loro storie non hanno avuto la forza di bucare quel muro, anche se in questi anni l’Assemblea ha provato a raccontarne alcune, che si trovano sul blog, a mo’ di archivio.

Liubomyr deve uscire dal Cpr non perché sa suonare la fisarmonica né perché è conosciuto alle cittadine e ai cittadine udinesi e nemmeno perché non è un soggetto socialmente pericoloso, come è stato scritto: Liubomyr Bogoslavets e con lui tutti gli altri devono uscire dal Cpr di Gradisca perché sono ingiustamente rinchiusi in un posto che non deve esistere.

Che Liubomyr sia libero, che lo siamo tutte e tutti.

Un testo di Divine sulla sua espulsione dall’Italia

Riceviamo e volentieri diffondiamo una testimonianza di Divine, compagno di origini nigeriane, sulla sua espulsione dall’Italia e sulla sua esperienza nel Cpr di Bari.

Un saluto a tutt*

La mattina del giorno 15/07/2019, mi ritrovai gli sbirri in casa che mi chiesero di seguirli per la firma di una notifica.

Arrivati in questura scoprii che la notifica riguardava la mia espulsione per il giorno seguente, così mi portarono e trattennero all’aereoporto di Malpensa.
Naturalmente lo stesso giorno del trattenimento ci fu un processo in stile medievale con tutto già deciso in partenza.

Il giorno seguente, a Malpensa, mi fu detto da uno sbirro che l’espusione era stata bloccata dalla CEDU (corte europea dei diritti umani), così che invece di liberarmi e basta, non soddisfatti degli esiti della corte europea, decisero di rinchiudermi nel CPR di Bari.

Se fino allora gli sbirri erano stati legalisti, nel CPR di Bari gli sbirri sono tutt’altro che sbirri “legalisti”. Vorrei soffermarmi su alcune precisazioni riguardanti il CPR;

1) All’interno del CPR è vietato introdurre telecamere o cose simili.

2) I telefoni vengono forniti dalla struttura stessa (a me personalmente non è mai stato dato…)

3) All’entrata del CPR vieni perquisito come all’entrata di un carcere (il carcere è decisamente meglio) i tuoi effetti personali vengono custoditi da loro, e nel caso tu abbia soldi verranno contati ed anche essi “custoditi” (o meglio incustoditi in tasca altrui dato che all’uscita mi sono quasi fatto menare per averli indietro).

4) La struttura è formata da bracci (spesso nei bracci vieni messo con i tuoi connazionali) ed io ero all’interno di un braccio con una prevalenza di Albanesi.

All’interno del braccio l’aria è nauseante (un mischio di urina e feci), i bagni sono di fronte alle camere, inoltre c’è un soggiorno con una tv dove si mangia
ed un campetto dove stare all’aperto.

-Le camere sono formate da semplici file di letti nei quali non ci sono nemmeno lenzuola.

-I bagni sono senza water e l’aria è irrespirabile, con pezzi di escrementi e urina decennali attaccati sulle pareti del bagno e delle docce (le docce sono di fianco al water) i lavandini anche essi di fianco ai water (ugualmente sporchi di escrementi).

5) Il cibo viene drogato di psicofarmaci  tranquillizzanti.

Ora, a distanza di quasi due anni, si è tenuta l’udienza definitiva della corte europea, la quale ha delegato la decisione sulla mia espulsione al governo italiano, che ovviamente mi ha espulso.

L’elenco è lungo  ma le cose principali sono queste. Io non sono sorpreso dal trattamento riservato ai senza documenti. Non sono sorpreso dal fatto che mi vogliano espellere; del resto lo stato è lo stato, e come tale vuole salvaguardare i suoi interessi!  Sappiamo tutti come si comporta lo stato con i suoi nemici. E nulla ci deve più sorprendere, ma al contrario prepararci a sferrare un pugno più potente cercando di schivare i colpi. Siamo noi che dobbiamo sorprendere loro e non viceversa.

Divine.

TUNISIA-GRADISCA E RITORNO, PASSANDO PER LAMPEDUSA: il “business dell’immigrazione” dello Stato italiano

Dal CPR di Gradisca ci arrivano notizie di continui soprusi. Ferite non curate o curate male, minacce e intimidazioni. Durante una visita di una donna al proprio compagno recluso, sono stati sequestrati i documenti di lui e lei è stata minacciata di non poter fare altre visite.

Non sappiamo chi abbia preso quei documenti, se si sia trattato della polizia o di qualche operatore della cooperativa gestrice, la ex-EDECO ora TUCSO, sempre con sede a Battaglia Terme (PD), che nella sua storia di gestione dell’immigrazione vanta tre morti ed è finita a processo accusata da un lato di maltrattamenti e abusi verso gli “ospiti”, dall’altro di accordarsi con le Prefetture per vincere i bandi di gestione ed evitare i controlli.

Il CPR di Gradisca continua a essere l’hub informale per i respingimenti a caldo dalle navi quarantena. Grazie agli accordi Italia-Tunisia presi dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a Tunisi nell’agosto 2020, atti a «contrastare il traffico di migranti», l’Italia deporta, senza permettere la richiesta di asilo, centinaia di giovani e giovanissimi scampati al naufragio e arrivati sulle coste italiane. In breve, le persone che sopravvivono alla rotta del Mediterraneo centrale vengono immediatamente rimpatriate, perché intraprendano il viaggio un’altra volta.

La procedura della deportazione, secondo le informazioni raccolte finora, funziona così:

1. sbarcate a Lampedusa o Pantelleria, le persone vengono portate sulle navi quarantena;

2. né qui, né in alcun momento successivo viene loro permesso di perfezionare una richiesta di asilo;

3. dopo il periodo di quarantena, vengono trasportate in modo coatto al CPR di Gradisca, in zona blu, isolate dal resto dei detenuti;

4. qui, in generale, non hanno la possibilità di usare il telefono per avvisare le famiglie, non viene fornita loro una sim card e spesso non hanno la possibilità di comunicare con alcun avvocato;

5. il martedì e il giovedì mattina all’alba, gruppi di dieci o venti persone vengono caricati su degli autobus della polizia e trasportati solitamente fino a Milano; né loro né eventuali avvocati vengono informati con anticipo;

6. da qui prendono un volo, secondo alcune voci si tratta di aerei della compagnia spagnola Vueling, che le porta a Palermo;

7. a Palermo un console dà l’autorizzazione per la deportazione, dopo averli sommariamente identificati come cittadini del proprio Paese;

8. nel caso avvengano errori di identificazione, per esempio se vengono trasferite a Palermo persone tunisine con una richiesta d’asilo in corso, cioè giunte prima che questo meccanismo venisse messo in moto o arrivate in altro modo, allora questa procedura si interrompe: ci sono casi di persone che, una volta arrivate a Palermo, sono state infatti rispedite a Gradisca.

L’Italia sta attuando deportazioni seriali che, oltre a favorire chi specula sui traffici di persone, mettono a rischio la vita di persone obbligandole a intraprendere una seconda volta il viaggio. Sembra un meccanismo ad hoc perfezionato per effettuare respingimenti illegali, come quelli che avvenivano a Trieste verso la Bosnia, respingimenti immediati che non garantiscono alle persone la possibilità di chiedere asilo.

A Gradisca, come in tutti i CPR e come abbiamo scritto spesso, le condizioni sono degradanti, disumanizzanti, umilianti: nei video che seguono ci sono recenti testimonianze. Invitiamo vivamente a guardarle, anche se ci stiamo assuefacendo alla miseria, nessuno/a dovrà poter dire di non sapere. Si vedono i letti senza materassi, i bagni putridi, i pavimenti insanguinati e (non l’avevamo mai visto prima) un cappio, lasciato legato alle inferriate sopra a una porta:
una rappresaglia,
le condizioni putride,

una testimonianza.

Che le voci che si stanno levando per Moussa Balde non sfumino con alcuni articoli di giornale. È già avvenuto per Vakhtang e non può risuccedere.

Il CPR uccide strutturalmente, il CPR crea un mondo terribile per tutte e tutti, il CPR serve a far guadagnare cooperative con le mani sporche di sangue e a ricattare persone fragili sul lavoro. Il CPR va distrutto. Per Musa Balde, per Orgest Turia, per Vakhtang Enukidze, per Faisal, per Majid el Khodra e per tutti coloro che con il CPR sono stati ammazzati.

Contro tutti i Cpr: presidio a Gradisca

Il Cpr di Gradisca – precedentemente noto come Cpt e Cie – ha riaperto il 17 dicembre 2019. Un mese dopo, colpito dalle botte di otto membri delle forze dell’ordine, lì dentro è morto Vakhtang Enukidze, che era nato in Georgia e aveva 38 anni. Tra le varie versioni di quello che è successo nelle ore che hanno preceduto la morte di Vakhtang, noi abbiamo subito creduto e diffuso quella dei suoi compagni di prigionia, che, in cambio della loro testimonianza, hanno ricevuto dallo Stato italiano un decreto di espulsione e sono stati immediatamente deportati nei Paesi di provenienza.

Dopo altri due mesi, a Gradisca e nei territori circostanti cominciava un confinamento sociale per ragioni sociosanitarie, che – tra le altre cose – ha trasformato de facto il centro di accoglienza (Cara) a fianco del Cpr in un altro Cpr, o campo d’internamento.

Nella primavera del 2020, il lockdown ha ridotto brutalmente la presenza solidale sotto le mura del Cpr di Gradisca: le voci delle persone rinchiuse, che per la prima volta avevano valicato il muro di cinta raccontando all’esterno la violenza dell’istituzione, per mesi non hanno avuto, lì sotto, nessun orecchio che le ascoltasse. Nel frattempo, le deportazioni si erano fermate, ma i Cpr non hanno mai chiuso: nemmeno il rischio di un collasso sanitario e di una strage di esseri umani intrappolati hanno potuto incrinarne l’esistenza.

Durante l’estate, il Cpr di Gradisca ha ammazzato un’altra persona. Il suo nome era Orgest Turia ed è morto dopo un’overdose di farmaci: la verità sulla sua morte, come su quelle di Vakhtang e dei morti delle carceri di marzo, sta subendo un processo di insabbiamento con molti responsabili.

Come si è detto più volte in questo ultimo anno, la pandemia ha esacerbato le differenze sociali, pur non avendo innescato il conflitto. Tra i gruppi subalterni che hanno subito più forte la crisi sociosanitaria e la costrizione al lavoro in condizioni più pericolose del solito, ci sono le persone senza cittadinanza italiana, senza documenti regolari oppure appese al ricatto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Le migrazioni sono un fenomeno antropologico connaturato all’essere umano, ma nella storia sono avvenute in varie forme e per varie ragioni. Il sistema globale neoliberista prevede lo sfruttamento di molte aree della terra e di popolazioni per il benessere di alcune specifiche aree, popolazioni e classi sociali. A causa di questo sistema, molte persone sono costrette a spostarsi contro la loro volontà; altre sono costrette a fuggire dalle bombe e dalla repressione; altre scelgono di muoversi per altre ragioni. L’esistenza delle frontiere, la gestione razzista e classista dei passaporti e dei visti e la militarizzazione dei confini europei di terra e di mare rendono i viaggi migratori una scommessa di vita o di morte per migliaia di persone. Per chi approda in Europa, si apre un altro viaggio tra minaccia dell’irregolarità, lavoro nero e razzismo sistemico.

Come scrive la rete Mai più lager, che il 24 aprile si mobiliterà contro i Cpr in varie città italiane, «I CPR, di tale percorso, sono l’epilogo, la fase terminale espulsiva di un sistema respingente e repressivo, lì dove alla negazione del diritto e dell’accoglienza si aggiungono la privazione della libertà e l’offesa della dignità personale, prima della rispedizione al mittente».

Sabato 24 aprile saremo a Gradisca per ricordare a quella città che sta ospitando un lager e per far sapere a chi è dentro che qualcuno è loro solidale e crede che quel posto non vada reso migliore ma raso al suolo.

Nel frattempo, a Trieste, chi agisce in solidarietà alle persone in arrivo dalla Rotta balcanica subisce sta subendo viene accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Da Gradisca a Trieste, siamo solidali con l’associazione Linea d’ombra: per noi, gli unici che favoriscono l’immigrazione clandestina sono gli Stati e i governi che impediscono l’immigrazione cosiddetta legale.