Solidarietà ai reclusi di Gradisca: di nuovo sotto quelle mura!

Siamo tornate/i domenica 13 aprile sotto il Cpr di Gradisca come sempre per cercare di  portare la nostra solidarietà e vicinanza a chi è rinchiuso lì dentro, cercando di rompere la barriera d’omertà che circonda questo Cpr, come tutti gli altri. “Scriveteci, condividete video e testimonianze di quello che succede, fateci sapere come state e come vi trattano, noi faremo uscire di lì la vostra voce” la frase ripetuta al microfono innumerevoli volte, alternandosi al grido di “Libertà”, musica ed interventi di denuncia di cosa sta succedendo negli altri Cpr italiani e in quello di Gradisca.

Negli ultimi mesi dal Cpr goriziano sono uscite numerose testimonianze di rivolte, di fughe riuscite e di tentativi purtroppo non andati a buon fine, e immancabili ogni volta resoconti della violenza repressiva delle guardie e dell’ente gestore – la cooperativa Ekene – incluse le ultime di lancio di gas lacrimogeni direttamente dentro le celle, pestaggi, mancato soccorso per ore e ore di prigioneri feriti e neanche 40 minuti prima dell’inizio del presidio di domenica, l’ennesimo ingresso della celere nelle gabbie.

Domenica il presidio è riuscito ad avvicinarsi molto più del solito al muro e si sono sentite più chiare le urla dei prigionieri in risposta alle nostre parole. Il grido “libertà” è stato spesso lanciato insieme e da dentro molte parole in risposta, purtroppo solo in parte comprensibili: “…mettono le medicine nel cibo…” “… abbattere i muri…” “…siamo persone…”.

Sembra un fatto oramai dato per scontato, ma per chi si trova là dentro, lottare in ogni forma vuol dire subire ancora più abusi fisici e psicologici, per loro è rischioso anche solo urlare di rabbia e chiedere libertà, il tentativo di costruire una lotta comune tra dentro e fuori è quindi un gesto potenzialmente denso di significato e forza.

L’intento della controparte è sempre quello di spezzare i legami di solidarietà tra dentro e fuori, adattando i suoi strumenti a seconda che siano diretti verso chi è rinchiuso o verso chi soldarizza, supporta e sostiene da fuori la lotta dei prigionieri. Questo intento non sta riuscendo ma, per quel che ci riguarda, ci teniamo a sottolineare l’importanza di essere presenti sotto quelle mura, più spesso e più in forze. 

A conclusione del presidio non ci sentivamo più, probabilmente i prigionieri erano stati spostati in celle più lontane dal muro. Ce ne siamo andate/i come sempre con quel po’ di angoscia che gli sbirri stessero aspettando la nostra partenza per essere violenti dentro. Gioia e amarezza quindi quando in serata e ancora questa mattina, arrivano da dentro video e notizie di fuochi, piccoli e grandi, accesi negli ultimi giorni, soprattutto nelle ore notturne e anche nella giornata di ieri, in risposta al presidio. Amarezza perchè sono sempre accompagnati dalla celere che entra nelle gabbie con violenza, per piegare le proteste dei detenuti. Pare sia successo anche negli ultimi giorni, con un intervento muscolare, scudi e manganelli per sedare le proteste di una persona. 

L’ex-ddl “sicurezza” è ora legge e si può quindi prevedere cosa questo comporterà all’interno di tutte le galere ma, è lecito pensare, ancor di più nei campi per le deportazioni dove, come per le carceri del circuito penale, è stato introdotto ex-novo il “reato di rivolta” specificamente volto a reprimere ogni episodio di protesta interna o tentativo di evasione e punire con anni di carcere anche le forme di resistenza passiva agli ordini impartiti. Se la “sospensione dell’applicazione delle normali regole di trattamento delle persone detenute” è, per il momento, ancora l’ultima spiaggia a disposizione delle guardie all’interno delle carceri, essa è invece la normalità quotidiana dei prigionieri nei Cpr. 

Essi ci mostrano invece come gli inasprimenti penali non riescano a fiaccare la loro lotta per abbattere le gabbie in cui sono rinchiusi, incrinando il sistema detentivo ed espulsivo e l’immagine che li vorrebbe solo passive esistenze “in eccesso”, corpi-merce di scambio, fantasmi buoni solo alla propaganda securitar-razzista di ogni schieramento, anche di quello che il Cpr li ha pensati e aperti e ora vorrebbe far credere di volerli chiudere, o magari solo qualcuno, o solo quello sotto casa.

La macchina del dominio invisibilizza e abusa, insabbiando persino le morti. Sta a noi non lasciarli liberi di fare, smascherandoli per quello che sono: torturatori e assassini.

Ci rivediamo presto a Gradisca, nelle piazze e nelle strade per ripetere che i CPR vanno chiusi, col fuoco, con le rivolte da dentro e da fuori.

Presidio in solidarietà ai prigionieri e ai rivoltosi del CPR di Gradisca d’Isonzo – 13 Aprile

Domenica 13 aprile – Ore 18Di fronte al Cpr di Gradisca d’Isonzo

Torniamo sotto le mura del CPR di Gradisca dove le rivolte, le fughe e i fuochi di chi vi è imprigionato continuano ogni giorno a minarne pezzo per pezzo l’esistenza e ad ostacolare la presunta inesorabilità del meccanismo deportativo. Nonostante le deportazioni, i trasferimenti in carcere, i manganelli e i lacrimogeni. 

Torniamo per rompere l’isolamento intrinseco a questi campi, apici fisici del razzismo di Stato che segrega, reprime, reclude ed espelle, affinchè violenze e torture non rimangano nel silenzio.

Continuiamo a portare la nostra solidarietà a chi si ribella

Contro tutte le galere

Tutti liberi, tutte libere

Assemblea No CPR FVG

Nessun giustizia per Vakhtang finché le mura del CPR non crolleranno [Iniziative]

Presentazione dell’iniziativa e discussione

Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione

Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30


L’allora Cpt di Gradisca apre nel 2006 in conseguenza della legge “Turco-Napolitano” voluta dal centrosinistra. La morte di Majid El-Khodra, caduto dal tetto durante una rivolta, porta alla sua chiusura nel 2013. Anni dopo, nel 2019, il campo di deportazione per persone senza documenti riapre come CPR, sotto la gestione della coop Ekene di Battaglia Terme (PD). Cambia il nome, ma non la sostanza: apice fisico del razzismo di Stato e delle sue imprese coloniali, come tutte le carceri è luogo di tortura e annientamento al suo interno, dispositivo di controllo e minaccia tramite il ricatto che esercita sui “liberi”, all’esterno.

Dal 2019 a Gradisca si susseguono le vittime della macchina espulsiva: quella di Vakhtang Enukidze dopo un pestaggio da parte delle guardie (gennaio 2020), quella per overdose di Orgest Turia (luglio 2020) e quelle per suicidio di Anani Ezzedine e Arshad Jahangir, ma il lager democratico non ha mai smesso di essere operativo.

Per la morte di Vakhtang Enukidze è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo della cooperativa Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Spacciati dai media come “mele marce”, si tratta in realtà dei piccoli ingranaggi della macchina di oppressione e sfruttamento che sulla vita degli ultimi e dei marginali genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali.

Il tribunale da un lato finge di elargire la “giusta” giustizia di Stato a due suoi complici, dall’altro è il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti rastrellate in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

Il processo contro due aguzzini di Ekene, a prescindere del suo esito, non servirà se non a ripulire e oliare la macchina: le coop continueranno a fare affari, il CPR a torturare.

I Cpr, quando sono stati chiusi, lo sono stati sotto il fuoco e i colpi delle rivolte dei prigionieri al loro interno. A loro va tutta la nostra solidarietà e supporto. Finchè di quelle mura non resteranno che macerie.

Per tutto questo vi invitiamo a un doppio appuntamento:

·  Presentazione e discussione – Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

·  Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione – Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30

Assemblea No CPR FVG

Assemblea permanente contro carcere e repressione del Friuli e di Trieste


VERSIONE ESTESA

Storia del CPR di gradisca: oppressione razziale, morti di stato

Il Cpr di Gradisca d’Isonzo apre nel 2006, sotto la gestione della cooperativa goriziana Minerva, nel sito dell’ex-caserma “Polonio”. Assieme ad altre prigioni per senza-documenti volute dall’allora governo di centrosinistra con la legge 40/1998 “Turco-Napolitano”, rappresenta l’apice del razzismo di stato, il complesso sistema costruito sulla detenzione amministrativa, la deportazione, il perenne stato di oppressione razziale a cui sono sottoposte le persone lungo le linee della razza, del colore, della classe.

Nel 2013 scoppia una grande rivolta repressa brutalmente dalle guardie, durante la quale Majid El-Khodra cade dal tetto, morendo dopo otto mesi di coma. L’allora CIE viene dunque chiuso. Nel dicembre del 2019 riapre con la denominazione di CPR – altro decreto del centrosinistra, il “Minniti – Orlando” del 2017 – questa volta sotto la gestione della cooperativa Ekene di Battaglia Terme (PD).

Poche settimane dopo la riapertura, tre detenuti riescono a scappare dal centro. In quei giorni sono numerosi i casi di autolesionismo (incluso un tentato suicidio), dovuti alle dure condizioni di detenzione al suo interno. Il 18 gennaio 2020, Vakhtang Enukidze muore pochi giorni dopo aver subito un pestaggio all’interno del CPR da parte delle guardie in assetto antisommossa. Nel luglio dello stesso anno, Orgest Turia muore per overdose di psicofarmaci. Nel dicembre 2021 si toglie la vita nel campo Anani Ezzedine, come farà anche Arshad Jahangir nell’agosto 2022.

Giustizia per Vakhtang

Lo stato normalmente non si autoprocessa, e anche quando finge di farlo, lo fa col fine di autoassolversi, preferendo semmai mettere in piedi delle farse tribunalizie al termine delle quali arrivare a condannare alcune “mele marce”, che poi tanto marce non sono, visto che esso continua a beneficiare volentieri dei loro servigi.

Non ci riferiamo in questo caso solamente alle ormai quasi quotidiane esecuzioni a sangue freddo da parte dei servitori dello stato in divisa, ma anche ai ricchi affari che le Prefetture – quella goriziana in prima linea – continuano a fare con gli aguzzini senza divisa che gestiscono i Cpr, le cosiddette coop “dell’accoglienza” e tante piccole e medie imprese del territorio coinvolte nelle sua esistenza. La prefettura goriziana foraggia infatti la coop Ekene di Battaglia Terme (Padova) perchè continui a “gestire” il Cpr di Gradisca d’Isonzo, sebbene responsabile della morte di almeno cinque persone, quattro nel campo gradiscano dal 2020 ad oggi ed una nel campo di Conetta (Venezia), dove nel 2017 morì Sandrine Bakayoko.

Per la morte di Vakhtang Enukidze, ucciso nel Cpr di Gradisca da un pestaggio di un gruppo di anonime guardie nel gennaio 2020, è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo di Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Questi che si vorrebbero additare come unici responsabili non sono “mele marce” di un sistema riformabile perchè ancora “inefficiente e costoso”, sono invece due piccoli ingranaggi della vasta macchina di ricatto e sfruttamento su base razziale, che sulla vita dei più marginali e ricattabili genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali. Il processo in corso, a prescindere da quale sarà il suo esito, serve proprio a far sì che la macchina continui a girare a pieno regime una volta “ripulita” e nuovamente oliata: le coop continuano a fare affari, le guardie e il CPR a torturare. Il CPR continua ad esercitare la propria funzione di ricatto e di terrore nei confronti di tutte le persone straniere.

Non solo, questa vasta macchina che è il dominio non tollera che qualcuna o qualcuno esca dall’automatismo psicologico che porta alla “normale” sopportazione dell’esistenza della tortura, non tollera che qualcuno sia ancora in grado di sentire il dato intuitivo che accanirsi su persone inermi è disturbante. Quindi colpisce nel silenzio generalizzato con procedimenti giudiziari anche quei solidali che con determinazione si sono mobilitati negli ultimi mesi.

Il sistema della detenzione amministrativa

Il tribunale non è solo il luogo in cui nessuna vera “giustizia” potrà essere stabilita – banalmente, il sistema Cpr in cui è morto Vakhtang continuerà ad esistere a prescindere dalla sentenza – ma è anche il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti, fungendo da cinghia di trasmissione per gli ingressi nel Cpr di tutte le persone che la polizia rastrella in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

La detenzione amministrativa, come nei regimi coloniali (su tutti l’entità sionista israeliana), è la forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione che corona il sistema di sfruttamento e divisione razziale: uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e più in generale nel controllo della popolazione straniera. Basti guardare all’estensione del trattenimento amministrativo: dal nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania. Agli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti ai nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri. Ma anche per i cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente come nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Le rivolte e la voce dei prigionieri

Le rivolte e le ribellioni, grandi e piccole, scandiscono da sempre l’esistenza del Cpr di Gradisca. Di queste sappiamo, più che dai giornali (sempre a fianco della narrazione securitaria del potere), per le voci – e le immagini – che riescono ad uscire e a diffondersi all’esterno del campo. Per questo è fondamentale mantenere i contatti con l’interno, per una comunicazione solidale che dia voce a chi viene schiacciato dalla violenza di stato.

L’ultima ondata di rivolte è iniziata lo scorso capodanno, quando alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Qualche settimana dopo sono scoppiati degli scontri tra detenuti e guardie che si sono protratti per due giorni, raggiungendo un apice quando diversi fuochi sono stati accesi durante la notte nelle aree delle celle. La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si era ribellato e 35 detenuti sono stati poi trasferiti in carcere o deportati in Tunisia e Marocco. Ma le rivolte non hanno portato soltanto repressione: un’intera sezione del CPR, l’area rossa, è stata resa “inagibile” e perciò chiusa temporaneamente. Così, come già successe al Cpr di Torino nel 2023, il fuoco dei ribelli è riuscito a sottrare, ancora una volta, preziosi spazi alla macchina razzista e classista delle deportazioni.

Sotto le mura del lager CPR di Gradisca d’Isonzo

Era da un po’ che non si vedeva una presenza così di fronte al CPR di Gradisca d’Isonzo. Sabato 8 febbraio, decine di persone solidali si sono riunite di fronte ad uno dei tanti lager di Stato. Chi ancora crede si tratti di un’iperbole, vada a cercare informazioni sulle condizioni in cui vivono — e muoiono — al suo interno le persone rinchiuse. Prigionieri che sono ostaggi di una guerra contro marginali, devianti, irrecuperabili all’ordine imposto, individui considerati non integrabili nella catene della produzione. Persone razzializzate secondo i criteri coloniali dell’Occidente, destinate alla deportazione dalle questure del territorio della regione e da tutto il nord Italia, dopo fermi, retate, controlli di documenti, carceri.
Questa spinta solidale ha senza dubbio avuto a che fare con le recenti rivolte [link]: risulta infatti difficile non supportare anche in modo minimo, come abbiamo fatto sabato — chi prova a ribellarsi a una situazione di violenta oppressione, organizzandosi con i propri compagni di prigionia, battendosi con i pochi mezzi a disposizione, con il proprio corpo e le affinità e alleanze che si creano sul momento.
Di fronte a quelle mura, e al massiccio schieramento di polizia, abbiamo tentato di farci sentire da dentro, attraverso interventi e musica. E abbiamo ottenuto delle risposte: grida di libertà attraverso una comunicazione minima, ma che crediamo fondamentale per dare forza a chi resiste.
«I CPR si chiudono col fuoco» non è uno slogan, non è retorica, ma una realtà palpabile. Così è successo a Torino nel 2023 e a Gradisca nel 2013, e così in queste settimane è stato reso inagibile — parzialmente — quello di Gradisca. Non possiamo che continuare a supportare e dare voce a chi è dentro, a chi tenta la fuga, a chi viene deportato.
Segnaliamo infine – come annotazione certamente marginale rispetto alla condizione dei prigionieri, ma significativa dei tentativi di isolamento a cui è sottoposto il campo gradiscano, le identificazioni di massa e le perquisizioni avvenute verso le tante persone accorse al presidio, prima ancora di poterlo raggiungere. La solidarietà è un arma che qualcuno vorrebbe disarmare, non ci riuscirà: la lotta e la mobilitazione continueranno fino a quando le mura del CPR non crolleranno!

Solidarietà ai rivoltosi di Gradisca: presidio pubblico, 8 febbraio 2025

Il 21 gennaio, nel CPR di Gradisca d’Isonzo, la paura e l’isolamento hanno cambiato campo. Dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti.

La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si è ribellato alle torture e violenze. Le rivolte hanno portato alla chiusura dell’area rossa e 35 detenuti sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.

Torniamo ancora una volta sotto a quel muro che nasconde un lager etnico legalizzato, torniamo per portare solidarietà e rompere silenzio e isolamento verso chi continua a lottare per la libertà e non piega la testa verso uno Stato razzista che vuole l’omogeneità e la pacificazione sociale.

Perché i CPR si chiudono con il fuoco non sia solo uno slogan.
SABATO 8 FEBBRAIO ORE 15:30 DAVANTI AL CARA

FREDOOM-HURRIYA-LIBERTÀ
Assemblea no cpr

Contro il razzismo di stato: uno sguardo sulla detenzione amministrativa

Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca

17 gennaio 2024 – ore 18

Via Tarabocchia 3, Trieste

La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.

In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).

La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.

Voci dal Cpr: siamo in sciopero della fame!

Ieri, 19 dicembre 2021, ci siamo ritrovate assieme a compagni e compagne da tutta la regione sotto il lager di Gradisca. La morte di B.H.R. pochi giorni fa, la terza da quando il CPR ha riaperto il 17 dicembre di due anni fa, non poteva rimanere sotto silenzio.

Come sempre uno degli obiettivi dell’iniziativa era farsi sentire dai reclusi per comunicare loro la nostra solidarietà e vicinanza. Nonostante la questura avesse come sempre relegato il presidio al lato opposto della strada, un cospicuo gruppo di partecipanti al presidio si è spontaneamente spostato davanti al lager urlando slogan e ricevendo una risposta da dentro. Le voci gridavano: libertà!

Mentre cercavano di comunicare con l’esterno, alcune persone recluse sono state minacciate di venir denunciate se avessero continuato a comunicare con i solidali.

Oggi abbiamo scoperto che dentro al CPR, ci sono diverse persone in sciopero della fame, almeno tre in zona verde e qualcuno in zona rossa. Uno non mangia da tre giorni, altri hanno iniziato tra ieri e oggi. Da dentro, chiedono di condividere fuori la notizia del loro sciopero; la rivendicazione è la libertà, tutti vogliono uscire da lì.

Nel frattempo, la rete No Cpr di Milano ha riportato nuove notizie sul suicidio avvenuto nel Cpr di Gradisca, che riportiamo qui sotto anche se non abbiamo ancora avuto modo di confermarle:

La notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2021 avevamo diffuso la notizia di un giovane suicidatosi nel CPR di Gradisca di Isonzo. Si pensava inizialmente si trattasse di un marocchino. Si tratta invece di un cittadino tunisino di 44 anni. Il suo nome è Anani Ezzeddine. La famiglia è stata informata prontamente dalle autorità competenti; anche loro chiedono di comprendere le ragioni del suicidio. In questi giorni sempre nel CPR di Gradisca diverse sono state le segnalazioni di persone che hanno tentato il suicidio, che sono state salvate e sostenute dai compagni di cella. Nel caso di Anani non c’è stato nulla da fare.

Ieri, mentre noi eravamo a Gradisca, altre persone si sono mobilitate sia contro il CPR di Milano sia contro il CPR di Ponte Galeria, vicino a Roma.

Contro tutti i lager, contro tutti i confini.

[L’immagine rappresenta una scritta sull’asfalto, che dice: “Vakhtang, Orgest, BHR, morti di Stato”. La scritta è apparsa ieri al termine del presidio, davanti al CPR.]

 

Un’altra morte di Stato nel CPR di Gradisca

Due settimane fa, Abdel Latif, ventiseienne tunisino, è stato trovato morto, legato al letto, all’Ospedale san Camillo di Roma, dopo essere stato relegato su una nave quarantena e rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria, a Roma. Ieri, il sistema delle prigioni su base etnica ha fatto un altro morto: non sappiamo come si chiami, sappiamo solo che era rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo e che ieri mattina era già morto.

Dopo Majid el Khodra, Vakhtang Enukidze e Orgest Turia, aggiungiamo un ennesimo nome ai morti di Stato del lager della nostra regione. Non dobbiamo smettere di far arrivare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e non dobbiamo smettere di dire che i CPR vanno distrutti.

Contro tutti i Cpr: presidio a Gradisca

Il Cpr di Gradisca – precedentemente noto come Cpt e Cie – ha riaperto il 17 dicembre 2019. Un mese dopo, colpito dalle botte di otto membri delle forze dell’ordine, lì dentro è morto Vakhtang Enukidze, che era nato in Georgia e aveva 38 anni. Tra le varie versioni di quello che è successo nelle ore che hanno preceduto la morte di Vakhtang, noi abbiamo subito creduto e diffuso quella dei suoi compagni di prigionia, che, in cambio della loro testimonianza, hanno ricevuto dallo Stato italiano un decreto di espulsione e sono stati immediatamente deportati nei Paesi di provenienza.

Dopo altri due mesi, a Gradisca e nei territori circostanti cominciava un confinamento sociale per ragioni sociosanitarie, che – tra le altre cose – ha trasformato de facto il centro di accoglienza (Cara) a fianco del Cpr in un altro Cpr, o campo d’internamento.

Nella primavera del 2020, il lockdown ha ridotto brutalmente la presenza solidale sotto le mura del Cpr di Gradisca: le voci delle persone rinchiuse, che per la prima volta avevano valicato il muro di cinta raccontando all’esterno la violenza dell’istituzione, per mesi non hanno avuto, lì sotto, nessun orecchio che le ascoltasse. Nel frattempo, le deportazioni si erano fermate, ma i Cpr non hanno mai chiuso: nemmeno il rischio di un collasso sanitario e di una strage di esseri umani intrappolati hanno potuto incrinarne l’esistenza.

Durante l’estate, il Cpr di Gradisca ha ammazzato un’altra persona. Il suo nome era Orgest Turia ed è morto dopo un’overdose di farmaci: la verità sulla sua morte, come su quelle di Vakhtang e dei morti delle carceri di marzo, sta subendo un processo di insabbiamento con molti responsabili.

Come si è detto più volte in questo ultimo anno, la pandemia ha esacerbato le differenze sociali, pur non avendo innescato il conflitto. Tra i gruppi subalterni che hanno subito più forte la crisi sociosanitaria e la costrizione al lavoro in condizioni più pericolose del solito, ci sono le persone senza cittadinanza italiana, senza documenti regolari oppure appese al ricatto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Le migrazioni sono un fenomeno antropologico connaturato all’essere umano, ma nella storia sono avvenute in varie forme e per varie ragioni. Il sistema globale neoliberista prevede lo sfruttamento di molte aree della terra e di popolazioni per il benessere di alcune specifiche aree, popolazioni e classi sociali. A causa di questo sistema, molte persone sono costrette a spostarsi contro la loro volontà; altre sono costrette a fuggire dalle bombe e dalla repressione; altre scelgono di muoversi per altre ragioni. L’esistenza delle frontiere, la gestione razzista e classista dei passaporti e dei visti e la militarizzazione dei confini europei di terra e di mare rendono i viaggi migratori una scommessa di vita o di morte per migliaia di persone. Per chi approda in Europa, si apre un altro viaggio tra minaccia dell’irregolarità, lavoro nero e razzismo sistemico.

Come scrive la rete Mai più lager, che il 24 aprile si mobiliterà contro i Cpr in varie città italiane, «I CPR, di tale percorso, sono l’epilogo, la fase terminale espulsiva di un sistema respingente e repressivo, lì dove alla negazione del diritto e dell’accoglienza si aggiungono la privazione della libertà e l’offesa della dignità personale, prima della rispedizione al mittente».

Sabato 24 aprile saremo a Gradisca per ricordare a quella città che sta ospitando un lager e per far sapere a chi è dentro che qualcuno è loro solidale e crede che quel posto non vada reso migliore ma raso al suolo.

Nel frattempo, a Trieste, chi agisce in solidarietà alle persone in arrivo dalla Rotta balcanica subisce sta subendo viene accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Da Gradisca a Trieste, siamo solidali con l’associazione Linea d’ombra: per noi, gli unici che favoriscono l’immigrazione clandestina sono gli Stati e i governi che impediscono l’immigrazione cosiddetta legale.

Volantinaggio contro la coop Edeco a Battaglia Terme (PD)

Mentre la Cooperativa Edeco si macchia le mani del sangue delle persone senza documenti gestendo” il CPR di Gradisca d’Isonzo, poco lontano, in provincia di Padova, si aggiudica innocentemente appalti per la conduzione di nidi e scuole per l’infanzia.

C’è chi ha deciso di rendere noto il ruolo di Edeco nella gestione di uno di quelli che sono i moderni campi di concentramento italiani, attraverso un volantinaggio massivo nella città sede della cooperativa stessa, Battaglia Terme (PD).

Il CPR esiste per le ragioni sistemiche che non smettiamo mai di ricordare, ma esiste anche perché c’è chi lo mantiene in vita lavorandoci e traendo profitto sulla pelle di chi vi è rinchiuso.

È  per questo che non è affatto marginale il ruolo di Edeco, come di qualsiasi altro ente che grazie ai suoi servizi permette il suo funzionamento.

È  per questo che bisogna sempre ricordare chi è complice dell’esistenza di questi lager.

Pubblichiamo qui il volantino che è stato distribuito a Battaglia Terme.