FINE DI UNA TRAGEDIA, CON UN ARRESTO E CON UN ESTINTORE APERTO SUL VOLTO DI UNA PERSONA

Scriviamo quest’articolo per spiegare la tragedia che sta dietro all’arresto di un recluso nel CPR di Gradisca, apparso ieri su un quotidiano sotto l’ignobile sottotitolo «Lì dentro delinquenti ex carcerati». Invitiamo a leggere fino in fondo e diffondere. Ci troviamo ormai senza parole per descrivere quanto la realtà dentro i CPR venga storpiata dai media, che, descrivendola attraverso la voce di poliziotti o altre persone di parte, assumono un ruolo essenziale nella costruzione di un immaginario falso attorno al lager e alle persone recluse, legittimando quindi la sua esistenza e concimando il razzismo più becero.

Cos’è successo?

I reclusi ci raccontano che da alcune settimane sono entrate molte persone nel CPR “appena arrivate in Italia” e che non parlano italiano. Da alcuni quotidiani locali leggiamo che si potrebbe trattare di persone in arrivo dalla rotta balcanica, da dentro invece ci dicono che vengono da Lampedusa.

Tra questi c’era R. un ragazzo egiziano, ora in arresto. Molti detenuti ci parlano di lui da giorni, preoccupati per la sua sorte. Finora non siamo riuscite a riportare le loro voci riguardo a questa storia, perché nel frattempo nel CPR è morto Orgest Turia e il suo compagno di cella, H., è stato salvato in extremis. H. ora si trova in ospedale, ma vogliono rinchiuderlo di nuovo dentro il CPR, contro la sua volontà e quella di tutti i familiari, che sono certi che non mangerebbe niente se entrasse, per lo shock e la paura che gli succeda un’altra volta la stessa cosa.

Torniamo a R. Da quello che ci raccontano, R. è uscito dalla zona di quarantena verso l’11 luglio, non parlava italiano, era appena riuscito ad arrivare in Italia ed era molto stressato per due ragioni: gli era stato tolto il cellulare e aveva un forte dolore ai denti ma, a quanto ci dicono, le sue richieste non venivano ascoltate.

Ci dicono che il 15 luglio R. inizia a protestare vivacemente e che per questo gli viene finalmente data attenzione, ci riferiscono che gli viene detto che verrà avvisato il capo e quindi lui aspetta questo colloquio.

Il colloquio però non sembra arrivare. Tra il 16 e il 18 luglio, ci raccontano che nella sua cella scoppiano dei piccoli incendi, in cui lui si brucia un braccio. Ci dicono che viene denunciato per danneggiamento e gli altri detenuti continuano a dire che lui non deve stare lì, che non ha senso perché è appena arrivato in Italia e che ha bisogno del suo cellulare.

Il 19, durante il giorno, la rabbia di R. esplode, ci raccontano che si trova nella cella con gli altri reclusi, mentre gli operatori e i militari si trovano protetti dall’altra parte delle sbarre. Nei video di quei momenti si sente chiaramente qualcuno tra questi ultimi che gli dice “Adesso ti arriva il telefono, va bene? […] se io ti prometto qualcosa la mantengo va bene?”; i reclusi vicini a R. invece cercano di tranquillizzarlo: “Non ti preoccupare, va bene”, sanno che R. è psicologicamente instabile per la situazione in cui si trova. Ripetono che R. sta impazzendo e che ha iniziato anche a dormire fuori, per terra.

Ci raccontano che nelle prime ore del 20 luglio nella stanza di R. scoppia un nuovo incendio. Altri reclusi si svegliano e qualcuno esce dalla cella per il fumo. A quel punto, da quello che ci raccontano, un operatore aziona l’estintore sul volto di M., un altro recluso, che perde i sensi e viene trasportato in Pronto soccorso assieme ad altri. Ora sono tutti arrabbiati: pensano che M. ha rischiato la vita e che R. non doveva stare lì, ormai non stava più psicologicamente bene. R. non deve stare nemmeno in galera, dove si trova ora.

Con la rabbia in corpo, perché abbiamo sentito un’altra storia ingiusta, perché vogliono riportare H. in CPR oggi, perché il CPR esiste, ma anche per la complicità più squallida dei media, ripetiamo: che i muri di quel lager possano crollare!

Qui ci sono i responsabili! Presidio sotto la prefettura di Gorizia

QUI CI SONO I RESPONSABILI DEL CPR! NON VOGLIAMO IL CPR, GIÙ LE MURA DEL CPR SUBITO!

Lunedì 20 luglio, ore 19: presidio sotto la Prefettura in Piazza Vittoria a Gorizia.

17 dicembre 2019: apre il CPR, l’appalto è affidato a EDECO di Padova, la cooperativa plurindagata che gestiva la struttura dove era morta Sandrine Bakayoko nel 2017.

17 gennaio 2020: nel CPR muore Vakhtang Enukidze, un uomo georgiano di trentotto anni. I testimoni sostengono sia stato ammazzato di botte dalla polizia nel CPR e che le violenze siano una costante nel centro, la sorella sostiene che non avesse problemi di salute e che la sera prima della morte stava molto male e chiedeva aiuto. Vengono sequestrati i cellulari ai testimoni che poi vengono rapidamente rimpatriati. L’avvocato del Garante dei diritti delle persone detenute fa una dichiarazione strategica ai media: a ridosso dell’autopsia, sostiene che sia morto per edema polmonare acuto e non per le percosse subite. Nonostante si tratti della stessa ragione clinica della morte di Cucchi, la dichiarazione permette di far calare il silenzio sulla morte di Vakhtang e sulla chiusura del CPR. L’esito degli esami istologici e tossicologici non è mai stato comunicato.

Lockdown, marzo-maggio 2020: Il CPR rimane aperto nonostante i voli di rimpatrio siano bloccati. Nel CPR ci sono dei casi di Covid-19, i detenuti positivi al virus vengono tenuti in cella con i compagni negativi, ci rivelano i reclusi. Ci dicono: “è come se Hitler fosse tornato alla terra”. Viene aperta l’ala ancora inagibile (!) del CPR, dove viene creata una struttura di quarantena, non sappiamo quante persone siano state portate via, quante si siano ammalate e quante siano morte.

14 luglio 2020: muore un ragazzo albanese, del quale ancora non si sa il nome. I testimoni raccontano di averlo trovato la mattina alle 6 morto, dicono che gli sono stati somministrati troppi psicofarmaci ed è morto nel sonno. Sembra che anche in questo caso, dalle prime ore della mattina, siano stati tolti i cellulari ai reclusi per le indagini. La reazione è agghiacciante: vari media parlano inizialmente di rissa tra detenuti e la Garante comunale, una delle poche figure che può entrare a sorpresa, “prenota” una visita con largo anticipo e garantisce che si sta informando.

14 luglio 2020: Un ragazzo viene trovato in fin di vita nel CPR, vari media, senza ritegno, sostengono sia colui che ha ucciso il ragazzo albanese e che poi ha tentato di suicidarsi (!). In realtà, si tratta di un giovane dal Marocco, finito nel CPR, come la maggior parte delle persone, per errore e cattiveria, e come il compagno di stanza albanese, non si è risvegliato la mattina ed è finito in terapia intensiva per overdose di psicofarmaci ricevuti e assunti la sera prima. Le sorelle passano la giornata a chiamare la struttura, gli avvocati e qualsiasi numero trovino, non hanno notizie del fratello dalla sera prima. La struttura non le informerà mai, solo attraverso altre vie scoprono la notte del fratello in terapia intensiva e si catapultano a Gorizia.

15 luglio 2020: Si sviluppa un nauseante dibattito mediatico che coinvolge sia le figure istituzionali, dalla sindaca alla garante, sia le forze dell’ordine (ma non i detenuti, sia chiaro) sull’abuso e traffico di psicofarmaci nel centro. Nessuno parla di chiusura a seguito del secondo morto. Con la complicità dei media, il dibattito cerca di creare l’immaginario dei detenuti-tossici (a priori), dello smercio di sostanze (che, se esistesse, vorrebbe dire che è alimentato da qualcuno che dentro il CPR può accedere) e delle difficoltà di chi lavora nella struttura. Il tutto lascia intravedere la volontà di far scivolare le responsabilità della morte sugli altri detenuti.

Noi sappiamo invece che il CPR è una struttura che produce morte di per sé, sappiamo che può chiudere e sappiamo che alcuni dei responsabili della sua apertura stanno nella prefettura di Gorizia, la stessa che ha confermato il foglio di via a persone dell’Assemblea per essere state incrociate da una pattuglia a Gradisca prima dell’apertura del centro.

Invitiamo chiunque vuole che crollino le mura del CPR a venire a dirlo nel luogo dove ci sono i responsabili. I reclusi saranno avvisati di quest’iniziativa.

Per Vakhtang, per il ragazzo albanese, perché non ci sia nessun altro morto da ricordare!

Quello che sappiamo del ragazzo morto a Gradisca – video

Ieri, nel CPR di Gradisca, un ragazzo di 28 anni è morto.

Ieri pomeriggio, siamo stati sotto quelle mura, eravamo circa sessanta. Volevamo parlare con chi sta chiuso dentro, per fargli sentire che sapevamo che uno di loro era morto e gli eravamo solidali, e per sapere com’era andata, secondo loro.

Gridando da una parte all’altra del muro, ci hanno detto che il ragazzo che è morto era stato imbottito di medicinali; tra gli altri, aveva assunto sicuramente il Rivotril – una benzodiazepina ad alta potenza con ansiolitiche, sedative, antiepilettiche – che viene spesso somministrato ai reclusi. L’abuso di psicofarmaci è una costante nei centri di internamento: le persone li assumono per evadere da quel quotidiano senza speranza e/o come sostitutivi legali di altre sostanze. Tuttavia, chi prescrive gli psicofarmaci ha una responsabilità clinica precisa: se veramente il ragazzo – del quale ancora non conosciamo il nome – fosse morto per overdose di psicofarmaci, i responsabili diretti della sua morte sono nel CPR. 

Da dentro, ci hanno gridato che non si trattava della prima morte lì dentro: che un’altra persona era già morta, all’apertura. Quella persona è Vakhtang Enukidze, e la sua memoria è viva dentro come è viva fuori.

“Avete qualche idea di quale sia la ragione della sua morte?” – “La ragione può essere solo una” – “Quale?” – “Che loro hanno buttato dentro senza motivo poi hanno dato un kilo di medicamenti per calmarlo.”

“La gente qua deve uscire se no finisce con la stessa maniera per tutti, fate girare a tutti social media, al giornale, a tutti.”

Alcuni detenuti, ieri 14 luglio alle 6 di mattina, hanno trovato il compagno di cella morto nel letto e un ragazzo marocchino in condizioni gravi. Poi lo hanno visto venir trasportato via, come nel video che ci hanno inviato, e che pubblichiamo.

I primi a parlarne sono stati i giornali, anche ieri, come dopo la morte di Vakhtang Enukidze che attribuivano a una rissa tra detenuti, la stampa ha alterato la realtà senza ritegno.

Fino a ieri i cellulari nella zona blu erano stati sequestrati, come dopo la morte di Vakhtang “per favorire le indagini”. In quel caso, i detenuti testimoni erano stati rimpatriati immediatamente.

Ieri, un compagno di cella del ragazzo morto era stato ricoverato, inizialmente in gravi condizioni. Si è risvegliato oggi, il suo ultimo ricordo è di lunedì notte, quando gli venivano somministrati i medicinali. Sembra che le cartelle cliniche non siano accessibili a causa delle indagini in corso, ma sembra certo che la causa del suo ricovero d’urgenza fosse un’overdose.

Durante tutta la giornata di ieri, i familiari del secondo recluso trasportato all’ospedale hanno chiamato costantemente la struttura per sapere cosa stesse succedendo. Non riuscivano a contattare il fratello, con cui si sentivano frequentemente, dalla sera prima. Nessuno li ha avvisati che il fratello si trovava in ospedale e neppure gli avvocati erano stati informati. Solo la sera hanno scoperto, con fatica, che il ricoverato in terapia intensiva era proprio lui, e non lo hanno scoperto dal CPR.

Seguiranno aggiornamenti. 

Violenza nel CPR: manganellate, autolesionismo e censura – video

Mi hanno picchiato, poi sono caduto giù e sono uscito fuori di testa, ho preso la lametta e mi sono tagliato. […] siamo la stessa carne, siamo lo stesso sangue, non va bene che mi trattano come un topo.”

A parlare è una persona rinchiusa nel CPR di Gradisca. Ci dicono che per quattro giorni è stato portato avanti e indietro dall’ospedale, dove non è stato ricoverato, perché “forse hanno paura che scappa”, dice qualcuno da dentro. Ci raccontano che ha avuto mancamenti per quattro giorni di fila, ci hanno parlato delle sue condizioni con preoccupazione per giorni poi sembrava stesse meglio “fisicamente ma non mentalmente”, ma ci riferiscono che venerdì 10 luglio gli usciva sangue dalla bocca e che sia svenuto un’altra volta.

Cos’è successo?

Ci raccontano che sabato 4 luglio, verso le 9 di mattina, le forze dell’ordine sono entrate nella cella di alcuni reclusi per sequestrare gli accendini. “Come facciamo a fumare se ci tolgono gli accendini?”, chiede qualcuno. Ci dicono che molti stavano ancora dormendo, perché i pensieri impediscono di prendere sonno se non quando è già mattina.

Ci raccontano che qualcuno ha chiesto “perché?”, ma che che sono stati comunque buttati fuori in malo modo, tanto che una persona è caduta sul pavimento bagnato, e ha avuto bisogno dell’assistenza medica della struttura. Ci raccontano che altri reclusi hanno protestato per questo comportamento gridando alle persone in divisa di spiegargli il perché dell’intervento e chiedendo di non essere trattati come animali, tirati fuori dal letto e buttati fuori dalle stanze in malo modo.

Ci raccontano che in questo momento un ragazzo che protestava in difesa degli altri è stato preso di mira venendo manganellato da due poliziotti, colpito alla schiena e sulla testa, mentre altri detenuti gli dicevano di uscire nel cortile, dove sarebbe stato protetto dal fatto che ci sono le telecamere.

Ma, una volta uscito, ci raccontano che preso dallo sconforto per quell’ingiustizia subita, ha preso una lametta e si è tagliato tutto il corpo. Il video che alleghiamo riguarda un momento appena successivo a questo avvenimento.

Ci raccontano che questa persona è svenuta diverse volte ogni giorno nei quattro giorni seguenti, in una di queste occasioni all’interno del CPR gli è stata fatta una rianimazione cardiopolmonare, ed è stata portata al Pronto soccorso di Gorizia. Gli svenimenti avvenivano secondo alcuni per il sangue perso, secondo altri per le botte prese in testa, secondo altri ancora perché nei giorni successivi non mangiava più.

Ci raccontano che questa persona, una volta tornata nel CPR, è stata privata di alcune delle sue lettere di dimissione dal Pronto soccorso e ci dicono che nonostante continui a richiederle non gli vengono consegnate, e quindi non conosce i risultati delle analisi che gli sono state fatte. “L’ha presa quello mafioso che comanda noi tutti in CPR [..] stiamo morendo noi qua”, ci dicono. L’ultimo video è di ieri, a terra c’è sangue.

Immaginiamo che non verrà mai fatta chiarezza legale su questa storia, come non lo è stata fatta per la morte di Vakhtang Enukidze, pestato dalle guardie del CPR, secondo quanto raccontano i testimoni. Ma sappiamo, perché lo vediamo in questi video, che ancora una volta una persona, sotto la pressione insostenibile di un’atroce ingiustizia, si è tagliata il corpo per esprimere il proprio dolore. Sappiamo che questa persona come tutte le altre persone detenute vuole uscire, e che ha tutta la legittimità di volerlo, che si sente in gabbia “come un topo”, che crede che lì dentro a nessuno freghi se è vivo o morto, che il CPR di Gradisca “è come una Guantanamo, non un centro come gli altri”.

I CPR: una macchina fatta per poter ricattare e creare ricattabili, sulla pelle e di tante persone, che hanno avuto l’unica sfortuna di non avere il documento adatto.

L’unica soluzione è che non esistano più: che crollino le mura dei CPR! Che tutti i reclusi siano liberati!

Abbiamo coperto i volti e cambiato le voci per tutelare le persone coinvolte.

SCIOPERO DELLA FAME, AUTOLESIONISMO E TENTATE RIVOLTE NEL CPR DI GRADISCA

Loro mi hanno cambiato la vita e la testa. Ti fanno andare fuori di testa. Rovinano la gente, ti fanno cose brutte […]. Vedo alla telecamera mia madre e piange, la mia compagna e piange, tutti stanno male per me. […] Vedo solo brutto ormai, faccio una cosa brutta, sono stufo, non ce l’ho più la forza”.

A parlare è un giovane ragazzo, chiuso nel CPR di Gradisca; ci racconta di essere papà di una figlia di 4 mesi che non è mai riuscito a vedere e che non è nemmeno mai riuscito ad avere colloqui di persona con la compagna. Ci dice che da 3 giorni è in sciopero della fame con altre persone nel CPR di Gradisca, chiedono la loro liberazione immediata, perché non c’è nessuna ragione per cui siano tenuti lì dentro. “Non voglio più mangiare, voglio morire, mi hanno fatto male per niente“, dice un altro. Le voci dei reclusi ripetono di stare male, di non avere indumenti per cambiarsi di essere trattati come ratti e raccontano dei continui autolesionismi e accessi in pronto soccorso. Raccontano di stare chiusi in gabbia, al caldo, ci dicono che alcune volte ci sono dei piccoli incendi, come l’altro ieri sera, e che questi vengono presto bloccati.

Dopo mesi di Covid i rimpatri sono fortunatamente ancora bloccati, ma posti atroci come il CPR di Gradisca continuano esistere. Dentro ci finisce chiunque capiti sotto tiro nel momento sbagliato, purché migrante e con problemi con i documenti. Tra le persone con cui abbiamo parlato c’è chi ci ha detto di esserci capitato dopo essere andato in questura a sollecitare la residenza, chi perché ha ricevuto un controllo per strada, chi perché uscendo dopo un mese in prigione si trova una camionetta ad aspettarlo per prolungare la sua detenzione.

Storie il cui senso può essere visto solo nella macchina del ricatto usata per lo sfruttamento della mano d’opera migrante e di cui il CPR è un ingranaggio punta. Perché nel piccolo e nel personale di ognuna di queste storie un senso logico non c’è. Benché si cerchi di dipingere i reclusi come criminali si tratta di persone che per puro caso o sfortuna vengono inviate a impazzire nel CPR, un posto inaccettabile, inattaccabile, ignifugo, senza socialità, dove le persone vengono chiuse in gabbie e dove spesso non gli rimane che tagliarsi letteralmente il corpo dal dolore. Se poi vengono anche davvero deportate nel Paese d’origine, allora per molte, che ormai hanno una vita in Italia, nel migliore dei casi è come se un mondo intero gli crollasse addosso.

Che crollino le mura del CPR di Gradisca!

La foto è recente e ci è stata inviata dall’interno dicendoci che è il braccio di uno dei detenuti nel CPR di Gradisca, una delle tante braccia tagliate lì dentro.

A facili domande, facili risposte. Le (non) fughe di chi (non) fugge dal CARA di Gradisca

Apprendiamo dai media locali di una serie di fughe/non fughe da parte dei richiedenti asilo “ospitati” nel CARA avvenute dal retro del campo. In un articolo dettagliato, oltre a tutte le sfumature di preoccupazione della sindaca di Gradisca, viene posta la domanda sul perché questo succeda visto che a questo punto dell’emergenza sanitaria “gli ospiti” possono regolarmente uscire come “gli autoctoni”.

Posta la domanda ai diretti interessati incontrati per strada, la risposta appare piuttosto semplice: «Andiamo al supermercato!», ci dicono. In posti come il CARA, che il vitto sia scarso (un bicchierino di latte con due biscotti a colazione, riso in bianco con un pezzo di pane a pranzo etc.) e che in passato arrivasse anche avariato, inadatto e insufficiente non è una novità, come non lo è che i richiedenti asilo cerchino da sempre di autorganizzarsi i pasti, attività spesso ostacolata durante tutte le gestioni fuori e dentro alla struttura.

Le uscite contingentate poi, una persona circa ogni 10 minuti, imposte in maniera del tutto arbitraria dall’ente gestore, determinano lunghe attese davanti al cancello per guadagnarsi l’uscita che per qualcuno spesso neppure avviene, visto che sono circa 200 le persone ad oggi ad abitare al CARA. Questo avrà sicuramente influito sulla ricerca di strade alternative.

Forse le procedure potrebbero essere più agili, ma probabilmente al governo regionale e nazionale e a chi gestisce il centro importa principalmente che le uscite siano contenute, affinché di queste persone “se ne vedano di meno in giro”, secondo quella logica perversa e quella
retorica rassicurante per cui a guadagnarci da queste misure di reclusione sarebbe la sicurezza pubblica.

Ci dispiace constatare infine che una certa propaganda politica, fatta anche attraverso i media locali, continui ad avere presa sui cittadini di Gradisca e ne fomenti le paure. Di certo questo non avviene per caso: ci sono precise responsabilità delle istituzioni e della stampa che hanno contribuito a costruire l’immaginario dell'”immigrato untore”, attraverso una narrazione più vicina al gossip che alla cronaca.

C’è chi poco tempo fa ha dichiarato a proposito dell’installazione del centro quarantena che Gradisca non si merita altri migranti, noi siamo dell’avviso che siano i migranti a non meritarsi posti come il CPR e il CARA di Gradisca, luoghi disumani di speculazione economica e politica!

Assemblea NO CPR NO FRONTIERE FVG

PRESIDIO DAVANTI AL CPR-CARA

Domenica 14 giugno dalle 17:00 andremo in presidio davanti al CARA e al CPR di Gradisca, per:

  • esprimere solidarietà e vicinanza a tutti i reclusi del cpr che hanno dovuto passare gli ultimi mesi, oltre che reclusi, anche con l’angoscia di ammalarsi e di essere lasciati morire;

  • essere testimoni di quello che, ancora una volta e nonostante le minacce di ripercussioni, chi è costretto nel CPR vorrà raccontarci;

  • esprimere solidarietà a chi è stato segregato nel CARA e nel vicino centro di quarantena. Persone che hanno visto la propria libertà ulteriormente limitata in questo periodo e che vengono trattate dai media e dalla politica istituzionale come oggetti;

  • tornare fisicamente a continuare la lotta. Farlo ci sembra il modo migliore per esprimere solidarietà anche alle compagne e i compagni che, come noi, si oppongono a frontiere e CPR e che lo scorso 13 maggio sono state colpite dalla repressione a Bologna;

  • Ribadire che tutti i muri dei CPR devono cadere

In questi mesi il CPR ha dimostrato tutta la sua funzione: uno degli ingranaggi fondamentali di quella macchina del ricatto che pemette ci siano interessi da tutelare e vite sacrificabili per la causa. Lo dimostra il fatto i CPR sono stati aperti,nonostante l’emergenza sanitaria in corso e nonostante i rimpatri fossero bloccati. I CPR erano lì, solo a dimostrare che il ricatto di essere deportati era sempre reale. Un ricatto di cui Confindustria e Coldiretti hanno bisogno, come avevano bisogno che le industrie non chiudessero durante l’emergenza, assumendo che le persone potevano ammalarsi, ma i loro profitti non potevano calare. Lottare per la chiusura di tutti i CPR e la libertà di tutti i rinchiusi è un passo per la libertà di tutte e tutti noi. Nella tregua di quest’emergenza sanitaria, ri-torniamo in piazza, con la consapevolezza che non è come se nulla fosse successo in questi mesi.

Al fine di costruire uno spazio che garantisca la tutela di tutte e tutti, chiediamo di arrivare munite di mascherina e di mantenere adeguate distanze.

POTREBBE COLPIRE CHIUNQUE: AGIRE DIVENTA AUTODIFESA

Solidarietà e cassa resistenza

Mercoledì 13 maggio l’operazione “Ritrovo”, coordinata dalla procura di Bologna, ha incriminato diverse persone tra Bologna, Firenze e Milano: 7 di loro sono state arrestate in custodia cautelare e senza processo, altre 4 hanno ricevuto misure cautelari alternative. Si tratta di compagne e compagni che, come noi, si oppongono a frontiere e CPR e credono che attraverso l’azione si possa creare un mondo solidale, senza più persone oppresse e sfruttate.

Al Tribolo, spazio bolognese preso di mira dall’operazione, ci siamo state anche noi e lì, come in tanti altri luoghi, abbiamo potuto conoscere compagne attive nella lotta ai CPR di altre città.

L’operazione repressiva che ha portato alle misure cautelari, condotta dal Ros (!) e dalla procura antiterrorismo di Bologna (!!) è atroce, di una franchezza inaudita e pericolosa per la libertà di tutte e tutti.

È atroce perché utilizza le leggi antiterrorismo per terrorizzare la società, criminalizzando chiunque tenti di reagire alle ingiustizie. Rappresenta il quinto tentativo in poco più di un anno di raggruppare sotto il pesantissimo 270bis CP (associazione con finalità di terrorismo o di eversione), ormai sventolato con una disinvoltura preoccupante, iniziative, manifestazioni, diffusioni di critiche e azioni. Portare solidarietà e supporto agli/le ultim* con costanza e determinazione è diventata ragione sufficiente per essere accusate di “terrorismo”: ormai viene accusat* chiunque porti avanti pratiche coerenti di pari passo con analisi di critica radicale dell’esistente.

Le compagne e i compagni, tra le altre cose, vengono accusat* “di contrastare anche mediante ricorso alla violenza le politiche in materia di immigrazione”, di mettere in atto azioni volte a “contrastare e impedire l’apertura dei Centri Permanenti [?] di Rimpatrio”: ma noi sappiamo bene che chi pratica davvero violenza e terrorismo è chi rinchiude le persone in strutture come i CPR, imprigionate per mesi in attesa della deportazione, ammassate in condizioni intollerabili, spesso picchiate, talvolta lasciate morire o ammazzate.

L’operazione è inoltre spudoratamente franca, tanto che nelle stesse carte compare la ragione dell’operazione: “l’intervento [..] assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato […]”. In breve, lo Stato rinchiude coloro che potrebbero partecipare attivamente ad atti di ribellione contro di esso.

E perciò diventa estremamente pericolosa per la libertà di tutte: se basta questo, ci chiediamo, chi saranno le prossime e i prossimi?

Approfittando del totalitarismo di fatto creato “per la nostra salute”, lo Stato di diritto si è tolto la mascherina democratica per attaccare apertamente i suoi oppositori politici; la famigerata libertà di espressione e di opposizione con la quale, fino a ieri, si è riempito la bocca, viene messa da parte senza fatica. Se non reagiamo, ciò che è successo ieri potrebbe rappresentare uno spaccato dei prossimi tempi; potrebbe risuccedere a chi deciderà di scendere in strada per opporsi alle ingiustizie, per non far pagare la crisi che verrà alle fasce più povere o per creare legami solidali.

Esprimiamo solidarietà e calore alle compagne e ai compagni, repress* per aver lottato senza delega e mediazioni contro le istituzioni e le strutture dello sfruttamento e dell’oppressione.

Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi liber* subito!!!

Stiamo raccogliendo in una cassa comune contributi da inviare per le spese legali cui dovranno far fronte le persone coinvolte in quest’ultima operazione: chiunque voglia e possa contribuire ci contatti sulla pagina facebook “no cpr e no frontiere – fvg”!

CHIAMATA ALL’INVIO DI E-MAIL PER CHIEDERE LA CHIUSURA DEL CPR DE GRADISCA

I detenuti del CPR di Gradisca d’Isonzo ci hanno chiesto espressamente di fare pressione attraverso lettere ed e-mail su chi tiene in pugno la loro libertà e la loro salute per un’immediata liberazione e per poter tornare a casa, come per altro avvenuto in altri CPR in Europa.

Abbiamo scritto questa mail da inviare al giudice di pace di Gorizia (Giuseppe La Licata), al prefetto di Gorizia (Massimo Marchesiello), al questore di Gorizia (Paolo Gropuzzo) e alla sindaca di Gradisca (Linda Tomasinsig). Vi invitiamo ad inviare queste mail da oggi, 27 marzo, fino alla chiusura del CPR.

Prendetevi un minuto del vostro tempo: copiate e incollate il testo qui sotto ed inviate una mail per la chiusura dei CPR agli indirizzi qui sotto.

Indirizzi:

prefettura.gorizia@interno.it,                                  massimo.marchesiello@interno.it,                     gab.quest.go@pecps.poliziadistato.it,                               gdp.gorizia@giustizia.it,                           sindaco@comune.gradiscadisonzo.go.it

TESTO:

All’attenzione di Giuseppe La Licata, Massimo Marchesiello, Paolo Gropuzzo e Linda Tomasinsig.

Ad oggi, 27 marzo 2020, nel pieno delle misure restrittive contro la diffusione del Coronavirus, circa una cinquantina di persone si trova rinchiusa nel centro permanente per il rimpatrio (CPR) di Gradisca d’Isonzo (GO), costretta a vivere in spazi ridotti e senza la possibilità di autotutelare la propria salute.

Sappiamo dell’esistenza di almeno due casi di Coronavirus all’interno della struttura e ne sono a conoscenza anche i reclusi, che stanno mettendo in atto uno sciopero della fame, perché hanno paura per la propria vita.

Sappiamo che i rimpatri sono fortunatamente sospesi e che quindi quasi tutte le persone rinchiuse in un CPR usciranno per decorrenza dei termini. Il rilascio può essere anticipato, può avvenire ora.

Se da un lato i CPR sono strutture di internamento su base etnica che non dovrebbero esistere in alcun momento, dall’altro l’attuale situazione di emergenza sanitaria può trasformare il mantenimento delle persone in un CPR in pluriomicidio volontario, oltre che in un grande focolaio del CoVid 19.

Chiediamo quindi, dato l’altissimo rischio sanitario in cui si è costretti a vivere nel CPR di Gradisca, l’immediato rilascio di tutte le persone rinchiuse nel CPR così che possano tornare alle proprie case, come è già stato fatto altrove in Europa.

ATTENZIONE: VIDEO-TESTIMONIANZA CON CONTENUTI ESPLICITI

ATTENZIONE: VIDEO-TESTIMONIANZA CON CONTENUTI ESPLICITI. ECCO COSA SUCCEDE NEL CPR DI GRADISCA.

CHIUDERE TUTTI I CPR SUBITO!

Ieri, giovedì 26 marzo 2020, proseguiva lo sciopero della fame all’interno del CPR di Gradisca. I detenuti sono venuti a sapere del caso di coronavirus all’interno; molti sostengono di aver sentito dal personale che le persone infette sono due, e che uno di loro è rimasto assieme alle altre persone fino a ieri. Ci dicono di non aver ricevuto alcun tipo di protezione, che sono spaventati e hanno paura che li stiano lasciando morire lì dentro; si dicono preoccupati per le loro compagne e famiglie lì fuori. Ci hanno espresso anche la loro rabbia, perchè sanno che dovrebbero essere liberati ma che nessuno sta facendo niente, lasciandoli morire.

Ci hanno poi inviato i video che vi alleghiamo chiedendo di diffonderli per far sapere a tutte le persone cosa sono i CPR, e per chiedere di essere liberati da quel lager. I video, dalle immagini molto forti, riportano un detenuto in probabile crisi respiratoria o epilettica portato via da personale dotato di protezioni contro il virus , mentre tutt’attorno le persone detenute ne sono prive. Il video risale a ieri mattina. Ci dicono essere un ragazzo arrivato il giorno anteriore e rinchiuso in una cella da solo.

I detenuti ci chiedono di far circolare queste immagini e queste voci consci dei rischi che si assumono, confidando che la la diffusione di informazioni con l’esterno possa contribuire alla loro liberazione.

Alla fine di un video vi è la dichiarazione di un detenuto, che riportiamo qui:

Ecco, ora sta arrivando il guardiano che viene perchè stanno muorendo persone. Ecco questo è CPR, questo è CPR, fa morire le persone. Ha lasciato chiuso come cane quasi più di 10 giorni, sempre lucchetto chiuso. Com’ è possibile? Com’è possibile? Vuole ammazzare le persone?

Questo CPR è diventato una prigione per ammazzare le persone. Come se è ritornato Hitler al mondo.

Riportiamo qui alcune altre frasi ascoltate durante la giornata di ieri:

The people that want the CPR are hartless people, we are human beings, why they do this? Why they keep us inside here?” [Le persone che vogliono i CPR sono senza cuore, siamo esseri umani, perchè ci fanno questo? Perchè ci tengono qui dentro?]

This is a crime of documents not a crime of criminals, how can people stay inside here [..] we need protesta” [Il nostro è un crimine documenti, non un crimine da criminali, come possono farci stare qui dentro [..] abbiamo bisogno di una protesta]

“Some has contracted sickness here in Gradisca centro. I don’t know why they still keep us here, it is not possible to deport us because the airports are closed” [Qualcuno ha preso il virus qui nel centro di Gradisca. Non so perchè ci continuano a tenere qui, non è possibile deportarci perchè gli aereoporti sono chiusi]

please this judge is very wicked he want people to die inside” [Perfavore, questo giudice (ndt: il giudice di pace di Gorizia) è molto malvagio, vuole che le persone muoiano qui dentro]