CORTEO CONTRO I CPR, LE FRONTIERE E LA VIOLENZA LUNGO LA ROTTA BALCANICA!

Una terra segnata dal confine, ma da sempre meticcia e multiculturale, rischia nuovamente di ospitare una galera etnica.

La prefettura di Gorizia, in ottemperanza al decreto Minniti-Orlando varato dal Governo Renzi, ha pubblicato il bando per aggiudicare la gestione di un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, ex CIE e ancora prima CPT) presso all’ex caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo (GO). La prima data di apertura possibile è il 1° giugno 2019.

A partire dall’apertura del CPT nel 2006, l’ex caserma Polonio è stata al centro di polemiche, inchieste giudiziarie, presidi e manifestazioni organizzate dalle reti antirazziste e solidali. Le persone detenute hanno messo in atto negli anni varie pratiche di resistenza, anche sottoforma di autolesionismo, e hanno dato vita a molte rivolte, determinando così la chiusura del centro nel 2013, dopo la morte di Majid El Kodra.

Il CPR è di fatto una prigione dalla quale i ‘trattenuti’ (non detenuti, perché l’internamento nei CPR è determinato da un provvedimento amministrativo, non da una sentenza penale) non possono uscire. La struttura di Gradisca è nota in particolare per la sua somiglianza ai carceri di massima sicurezza, evidente nella parcellizzazione di tutti gli spazi, nella presenza di grate a coprire anche i cortili interni, nel fissaggio dei suppellettili alle pareti e ai pavimenti. Il Gip presso il Tribunale di Gorizia definì nel 2014 «alienanti» le condizioni di vita del CPR e «disumano» il contesto quotidiano al suo interno.

Il CPR è un’istituzione totale e un dispositivo di controllo che instaura una gerarchia tra cittadine/i e non cittadine/i basata su razzializzazione, classe, passaporto. È un luogo di segregazione dove si può essere rinchiusi fino 180 giorni (secondo il nuovo limite fissato nel Decreto Sicurezza) anche semplicemente a causa del possesso di un permesso di soggiorno scaduto. Si tratta di un abominio giuridico che non garantisce alla persona trattenuta nemmeno le tutele che l’ordinamento italiano riconosce alle carcerate e ai carcerati.

Il CPR è solo l’ultimo anello di una catena che inizia con lo sfruttamento economico neocoloniale dei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, anche attraverso gli interventi militari, diretti o per procura, che generano eterne zone ‘destabilizzate’, facili da saccheggiare. Questo sistema costringe milioni di persone a migrare, cercando di raggiungere l’Europa. Nell’impossibilità di ottenere i visti necessari per attraversare le frontiere legalmente, esse si vedono costrette a muoversi illegalmente, pagando i trafficanti di esseri umani e affrontando viaggi massacranti e pericolosissimi.

I Paesi europei delegano il contrasto alle migrazioni a diversi agenti senza scrupoli: ai signori della guerra libici (attraverso, ad esempio, gli accordi firmati dall’ex ministro Minniti e rinnovati dal governo Lega-M5S); a Erdoğan, cui l’UE ha per questo versato 3 miliardi di euro; alle polizie di Croazia, Serbia e Ungheria, che sono da tempo sotto accusa per le violenze perpetrate contro i e le migranti lungo la rotta balcanica.

A dispetto della propaganda, questo contrasto non ha lo scopo di bloccare un fenomeno per sua natura inarrestabile, bensì di rendere quelle frontiere dei tritacarne, dei dispositivi idonei a trasformare chi riesce a superarli in soggetti deboli, disposti a ogni ricatto per conservare il premio di un viaggio difficile. Proprio per questa ragione la legge Bossi-Fini lega dal 2002 contratto di lavoro e rinnovo del permesso di soggiorno, costringendo chi arriva senza visto ad accettare condizioni lavorative spesso inimmaginabili per i cittadini comunitari, pur di non rischiare di essere rimpatriata/o.

I CPR sono l’ultimo deterrente da brandire contro chi pensa di ribellarsi a questo meccanismo infernale.

Si tratta di un sistema che cerca di rendere la manodopera straniera più sfruttabile dalle imprese italiane, che crea divisioni e concorrenza al ribasso tra gli stessi lavoratori, che permette alle forze reazionarie e razziste di costruire le proprie fortune politiche speculando sulla guerra tra poveri scatenata da questi stessi potenti.

Rompere questa catena è di fondamentale importanza per iniziare a costruire una società inclusiva aperta, accogliente e solidale.

Iniziamo da una anello: iniziamo dal CPR di Gradisca!

DOMENICA 9 GIUGNO

h 15:00 Piazza di Gradisca d’Isonzo (GO)

Siamo un’assemblea larga e plurale che non si riunisce sotto nessuna bandiera. Chiediamo perciò che nei primi spezzoni non ci siano simboli di nessuna organizzazione, per evitare che chiunque metta il proprio cappello sul corteo. Informiamo inoltre che non tollereremo simboli di forze politiche responsabili delle leggi razziste presenti in Italia.

Qui una chiamata più corta da stampare

Comunicato di solidarietà

SOLIDARIETÀ ALLE ARRESTATE E AGLI ARRESTATI A TORINO e TRENTO/ROVERETO

Ogni persona che lotta contro i CPR, la guerra, il militarismo e le frontiere è senza dubbio una nostra compagna.

Tutta la nostra solidarietà va a chi è stata/o repressa/o, nelle due ultime settimane, dalle operazioni “antiterroristiche” Scintilla e Renata, svoltesi a Torino e Trento/Rovereto. In totale le operazioni hanno portato all’arresto di 13 compagne/i e ad indagarne molte/i altre/i; le accuse sono di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (articoli 270bis e 280 solo per Trento). Questi reati prevedono pene decennali e reclusione preventiva in attesa di processo – attesa che può durare molto tempo e che ora molti stanno scontando, lontani dalle loro città, in isolamento, nelle spietate carceri ad alta sicurezza italiane. Con l’operazione Scintilla viene messa sotto accusa, in particolare, la lotta contro i CPR; con l’operazione Renata, la lotta contro l’industria delle guerre e delle frontiere. Ciò che permette la reclusione preventiva è il pretestuoso reato associativo, usato già più volte in Italia e poi caduto in sede di giudizio. Queste compagne e questi compagni sono prigionieri politici.

Ciò che colpisce dell’intera vicenda non è solo la morsa repressiva sempre più stringente, ma la manipolazione mediatica orchestrata da tutti i giornali, anche quelli con facciata più alternativa. Nessuno racconta che le persone incarcerate erano conosciute sui propri territori per la sensibilità all’ingiustizia e che proprio per questa sensibilità erano attive nella solidarietà ai migranti, alle popolazioni colpite da progetti di devastazione ambientale, ai lavoratori sfruttati: si dice che erano terroristi. Se qualcuno prova a dichiarare pubblicamente che li conosceva come persone sensibili (come il prete che affittava la casa agli arrestati di Trento, o come i colleghi di lavoro), allora la stampa dice che avevano una doppia vita, che mentivano. Non si parla mai delle rivendicazioni politiche, pubbliche, alle azioni concrete incriminate, ma di atti folli che avrebbero potuto colpire chiunque o addirittura persone innocenti; le case occupate o in affitto diventano covi e i media si riempiono di foto di poliziotti in passamontagna. Non si parla di fatti ma di deduzioni e interpretazioni: “la cellula era pronta ad ammazzare” scrivono i giornali riguardo agli arrestati di Trento. “Sono delinquenti, animali da covo sovversivo, mostri, anarchici folli, non sono come gli altri, vogliono abbattere l’ordine democratico” dichiara il vicesindaco di Torino. Che poi, chi non lo vorrebbe abbattere l’ordine democratico di Salvini! Infine, mettono sotto scorta la sindaca di Torino a causa di una scritta su un muro e lo esaltano mediaticamente, cercando di fomentare un sentimento di paura e incomprensione. Ma i terroristi a noi sembrano proprio loro, che inducono terrore nella società per nascondere i loro crimini e giustificare la repressione.

La manipolazione mediatica è fondamentale: perché se venissero raccontati i fatti e le rivendicazioni, se venisse raccontato che l’unica possibile conseguenza delle azioni incriminate erano danni economici a obiettivi specifici, gli stessi danni economici che causano gli scioperi e i picchetti, se si spiegassero le ragioni, diffuse nei comunicati rivendicativi, per cui quegli obiettivi erano stati colpiti, allora tutte/i coloro che oggi siamo unite/i dallo schifo, dalla paura, dalla rabbia e talvolta dall’impotenza davanti alle politiche assassine che stanno venendo fatte, ci solleveremmo per distruggere le carceri dove hanno rinchiuso le/i nostre/i compagne/i. La lotta è la stessa, i nemici pure, ma cercano di dimostrarci che siamo diverse/i e divise/i, perché abbiamo usato l’uno o l’altro strumento a seconda del caso.

La manipolazione mediatica, che non è nuova, ha come fine più evidente la risignificazione di concetti chiave mantenendone però le emozioni connesse: come per esempio il concetto di violenza il quale suscita sentimenti profondi come paura, fragilità, protezione. Una volta risignificato il concetto per definire tutte quelle attività non legali volte a scardinare l’ordine costituito, allora l’opinione pubblica, impaurita, viene utilizzata per legittimare la repressione. Perché il silenzio, il non reagire, il non manifestare solidarietà con chi è stato preso, significa complicità con la scelta di arrestarli.

Oggi, più che mai, è importante invece tirarsi un secchio d’acqua fredda, svegliarsi, chiarire che sono loro le nostre/i compagne/i, che le vogliamo libere; che chi lotta contro il razzismo di stato, il militarismo, lo sfruttamento, il patriarcato e le frontiere è nostra compagna. È importante dire che non abbiamo dubbi su chi siamo: siamo chi ci mette testa e cuore per cambiare questo mondo bellico, basato sullo sfruttamento umano ed ambientale, siamo chi cerca strade e spacca confini per creare un mondo più bello e giusto per tutte/i. Il perbenismo interessato, legalista e moralizzatore di “sinistra”, è oggi più pericoloso che mai. Oggi che molte persone le abbiamo già perse, trascinate nel fascismo per la bocca dello stomaco con la paura dello straniero, indotta a suon di tweet, reti sociali e disinformazione mediatica.

Ricominciamo quindi riprendendoci la chiarezza mentale, parliamo senza paura delle pratiche criminalizzate, se ci sembra il caso riappropriamocene oppure no. Riflettiamo su quanti sgomberi ci sarebbero in Italia se la risposta ad ognuno fosse quella che si è manifestata a Torino poche settimane fa. Riappropriamoci dei termini, identifichiamo che la violenza, il terrore, la morte, stanno nei CPR, nelle politiche migratorie e di chiusura di porti e confini, nelle armi, nella guerra, nei decreti antiabortisti e femminicidi, nel controllo onnipresente, nelle politiche securitarie e di decoro, nelle leggi sul lavoro sempre più precario.

Manifestiamo apertamente la nostra solidarietà alle compagne ed i compagni arrestate/i. L’ultimo pezzo di campo che stanno cercando di conquistare ora è la solidarietà, criminalizzandola, cercando di intimorirci a manifestarla. Cercano di creare dei banditi per rendersi più sceriffi. Sceriffi che dichiarano ormai pubblicamente “Ci vuole un po’ di scuola Diaz” per i manifestanti di Torino [cit: Alessandro Ciro Sciretti, consigliere leghista, 10/02/2019], ossia un po’ di tortura e di teste rotte o che augurano più volte trattamenti disumani, ma possibili e già accaduti nella storia, come “marcire in galera” [cit: Salvini, ministro dell’interno, 13/01/2019].

BASTA PERSONE CHIUSE DENTRO PRIGIONI, DENTRO CPR, DENTRO CONFINI!

LIBERE/I TUTTE/I E LIBERE/I SUBITO !

SABATO 2 MARZO, ALLE h. 14 DAVANTI AL CARCERE DI ALTA SICUREZZA DI TOLMEZZO CI SARÀ UN PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ A DUE DEI RAGAZZI DETENUTI A TRENTO, RINCHIUSI LI. Invitiamo ad una partecipazione numerosa.

Le persone dell’Assemblea NoCPR-NoFrontiere e del Collettivo Tilt di Trieste

Qui la versione stampabile

NO CPR! CORTEO 20 OTTOBRE

NO CPR – CORTEO REGIONALE

SABATO 20 OTTOBRE – ORE 15:00

PIAZZALE DELL’UNITÀ (GRADISCA d’ISONZO)

 

Il 18 ottobre 1938, il governo fascista promulgava le leggi razziali. Nel 2018, i governi democratici ne hanno ereditato il mandato, segregando in centri di detenzione le persone senza documenti.

A Gradisca, vogliono iniziare i lavori per la trasformazione del CARA (ex-CIE) in CPR, Centro di Permanenza per il Rimpatrio. I CPR – come già CIE e CPT – sono dei lager. Le persone vengono imprigionate per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno. Le condizioni di vita dentro i CPR sono pessime. Il loro mantenimento (costosissimo!) arricchisce cooperative e imprese speculatrici.

Formalmente, le persone vengono rinchiuse per essere rimpatriate: opzione inaccettabile per chi ha rischiato la vita per attraversare frontiere. La finalità effettiva dei CPR è però quella di rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, di terrore, ricattabilità e sfruttabilità.

Il decreto Minniti-Orlando prevede l’attivazione di un CPR per regione e addirittura, in Friuli-Venezia Giulia, il presidente Fedriga ha dichiarato di volerne aprire uno per provincia. Con il decreto sicurezza Salvini, per perdere il permesso di soggiorno, ed essere quindi potenzialmente internate/i, basta essere dichiarate/i pericolose/i socialmente o essere condannate/i in primo grado per oltraggio a pubblico ufficiale. Inoltre, nelle zone di frontiera, come la nostra, sarà possibile internare anche solo per identificare la provenienza della persona sprovvista di documenti e/o richiedente asilo, senza la necessaria presenza di un provvedimento di espulsione attivo.

In questi mesi sono iniziati trasferimenti di persone dal CARA di Gradisca e stanno per cominciare i lavori per adibirlo a CPR; il contratto con la cooperativa Minerva – nota per i maltrattamenti delle persone costrette nel CARA – scadrà a fine 2018. Il cantiere – che vale quasi 3 milioni di euro – è stato affidato al genio militare, saltando la gara d’appalto, come si trattasse di un’emergenza.

Il silenzio sull’apertura di un CPR è inevitabilmente complicità con la sua esistenza: significa aver interiorizzato la divisione razziale, cioè razzista, imposta dall’attuale discorso dominante; significa accettare che delle persone vengano internate, perché comunque non capiterà a noi.

Noi ci opponiamo e ci opporremo totalmente alla creazione e all’apertura di un CPR e sappiamo che unendoci, organizzandoci e coordinandoci tra tutte/i le antirazziste/i e le/i solidali della regione possiamo impedirne l’apertura.

Per bloccare l’apertura di un CPR ci vogliono molte teste, molte mani e poche deleghe del lavoro a qualcun’altra/o.

Sabato 20 ottobre diamo appuntamento per un primo CORTEO DI OPPOSIZIONE ALLA COSTRUZIONE DEL CPR. Per un momento di mobilitazione, di confronto e di organizzazione fra le varie individualità e gruppi di tutta la regione.

NO CPR E NO FRONTIERE NE’ IN FVG NE’ ALTROVE!

Assemblea NO CPR e no frontiere

nofrontierefvg.noblogs.org

Corteo-A4, corteo A5, Locandina20Ottobre , CPR LAGER DI STATO

NO CPR

CHE COS’È UN CPR?

CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.

Il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) prevede l’apertura di un CPR per regione. In FVG, dovrebbe essere riaperta la struttura di Gradisca d’Isonzo, ex caserma convertita in CIE nel 2006 e chiusa nel 2013, grazie alle rivolte di chi vi era rinchiuso.

Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono costrette in stato di reclusione persone non comunitarie che vengono ritrovate prive di documenti regolari di soggiorno oppure già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno, perché scaduto o perso. Spesso le persone diventano irregolari perché scade il visto turistico o di studio, perché perdendo il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno o perché si sono viste rigettare la richiesta di asilo politico. Con il decreto sicurezza appena approvato, per perdere il permesso di soggiorno basta essere condannate/i in primo grado per alcuni reati penali tra cui rapina e oltraggio a pubblico ufficiale (accusa nota per essere mossa senza prove o testimoni, a libero arbitrio della polizia) o per essere valutate/i pericolosi socialmente senza essere imputabili di delitti (a seguito per esempio di partecipazione in manifestazioni o di ribellione al razzismo subito sul posto di lavoro o sull’autobus per arrivarci).

Il trattenimento, secondo la Minniti-Orlando, doveva durare fino a 90 giorni, che diventavano 120 giorni se la persona era già stata detenuta in carcere o 12 mesi nel caso la persona detenuta in CPR inoltrasse una domanda di asilo. Con il decreto sicurezza appena approvato il trattenimento diventa 180 giorni.

FUNZIONE UFFICIALE

In teoria, lo scopo dei CPR è trattenere una persona ai fini dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, cioè del rimpatrio nel Paese d’origine. I centri dovrebbero quindi garantire l’effettiva espulsione di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia. Di fatto, nel corso dei vent’anni di esistenza di queste strutture, il tasso di rimpatrio si è sempre attestato attorno al 50% dei/delle reclusi/e. Nel complesso, si parla di numeri che non hanno nessuna incidenza reale sul fenomeno del soggiorno irregolare in Italia. Tuttavia, rappresentano un considerevole business per le cooperative e aziende che speculano sulla loro esistenza.

Nonostante la loro inefficienza rispetto allo scopo che si prefiggono (il rimpatrio delle persone “irregolari”), la loro funzione rimane assolutamente inaccettabile per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. Ne sono prova i numerosi casi di scioperi della fame e autolesionismo – nei CPR ad oggi aperti – per evitare il momento del rimpatrio.

FUNZIONE EFFETTIVA

I CPR, come già i CIE e i CPT, servono per rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità, con un duplice risultato: da un lato impedire qualsiasi tipo di rivendicazione da parte di chi potrebbe potenzialmente essere rinchiusa/o; dall’altro, potenziare una segregazione razziale nelle leggi, con conseguenze sull’immaginario collettivo. I CPR si configurano infatti come un non-luogo dove alcune persone possono essere private della libertà senza che abbiano commesso alcun tipo di reato penale (contrariamente all’ordinamento costituzionale italiano) a causa principalmente del loro luogo di nascita. Sono dispositivi di controllo che instaurano una differenza tra cittadini/e dotati/e di diritti e garanzie, e non cittadini/e che di tali diritti e garanzie possono essere privati/e, potenziando e contribuendo a mantenere operativa tra gli esseri umani una gerarchia globale basata su razzializzazione, classe e passaporto, con le tragiche conseguenze a cui questo sta portando e ha già portato nella storia.

I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a fare credere ai cittadini italiani che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.

I CPR creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passato/a e da chi si è opposto/a alla loro esistenza.

LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR

In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio da parte dei migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica trasversale, che da vent’anni definisce e affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando la libertà di muoversi per cambiare le proprie condizioni di vita alle persone considerate indesiderabili.

Oggi la richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese d’origine economicamente indesiderato. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e anche i permessi per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.

Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera incessantemente i problemi che in teoria dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.

Dovremmo chiederci in caso cosa sta portando molte persone a migrare e riconoscere e le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e condizioni di vita dei Paesi sfruttati economicamente ed energeticamente.

RIBELLIAMOCI AL RAZZISMO

È necessario uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza da risolvere e abbattere l’immaginario che ammette lo/la straniero/a solo in quanto profugo/a.

L’attuale sistema ha come principale risultato la costruzione di soggetti fragili, marginali, detentori di diritti precari e di serie B. A trarne vantaggio è prima di tutto chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, che ha un’arma in più per imporre salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.

Per questi motivi ci opponiamo all’apertura del CPR a Gradisca d’Isonzo e pretendiamo l’abolizione definitiva delle strutture su tutto il territorio italiano, affermando l’urgenza di contrastare il discorso politico razzista e securitario di cui i CPR sono un esempio.

ORA!

In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia.

Inoltre, sta contemporaneamente militarizzando sempre più il confine triestino, con la possibilità che la pratica dei push-backs (respingimenti immediati illegali oltre il confine europeo senza permettere la richiesta d’asilo) – già sistematica e violenta in Slovenia e Croazia – si estenda anche in Italia.

Approvato il decreto sicurezza, in particolare le condizioni quasi arbitrarie per la revoca del permesso di soggiorno, è ancora più evidente la funzione dei CPR di lager statali.

L’apertura del CPR di Gradisca di Isonzo sembra quindi essere un primo passo di un progetto razzista più ampio a cui crediamo sia determinante porre resistenza al più presto, perchè non diventi operativo.

Per tutto ciò sentiamo la responsabilità urgente di unirci ed organizzarci in regione tra persone per mettere in atto una resistenza concreta al razzismo e a chi lo perpetua, in solidarietà con chi migra e chi ne sta già vivendo le conseguenze più aspre.

SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE!

Assemblea NO CPR – no frontiere

www.nofrontierefvg.noblogs.org

APPUNTAMENTI:

  • SABATO 6 OTTOBRE 9:30h, Gradisca d’Isonzo:

    Volantinaggio al mercato.

  • DOMENICA 7 OTTOBRE 10:30h, Draga (TS):

    Passeggiata contro le frontiere

  • SABATO 20 OTTOBRE 15:00h, Piazza di Gradisca d’Isonzo:

CORTEO REGIONALE CONTRO L’APERTURA DEL CPR

Seguite gli aggiornamenti sulla pagina web per tutti gli altri eventi ed assemblee che verranno organizzati nei vari luoghi prima e dopo il corteo del 20 (la manifestazione del 20, non sarà un punto d’arrivo ma di partenza).

NESSUN CPR APRIRÀ!

Qui la versione stampabile: NO CPR -A5

L’ANTIRAZZISMO OGGI È LOTTA AI CPR!

Il 18 ottobre 1938, il governo fascista promulgava le leggi razziste. Nel 2018, i governi democratici ne hanno ereditato il mandato, segregando in centri di detenzione le persone senza documenti.

A Gradisca, vogliono iniziare i lavori per la trasformazione del CARA (ex-CIE) in CPR, Centro Permanente per il Rimpatrio.

I CPR – come già CIE e CPT – sono dei lager. Le persone vengono imprigionate per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno. Le condizioni di vita dentro i CPR sono pessime. Il loro mantenimento (costosissimo!) arricchisce cooperative e imprese speculatrici.

Formalmente, le persone vengono rinchiuse per essere rimpatriate. In realtà, la finalità dei CPR è rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità.

Secondo il decreto Minniti-Orlando, ci deve essere un CPR in ogni regione, ma in FVG, il presidente Fedriga vuole aprire un CPR in ogni provincia.

A Gradisca, il contratto con la cooperativa Minerva – nota per maltrattare le persone nel CARA – scade a fine 2018. In queste settimane sono iniziati trasferimenti di persone dal CARA di Gradisca e stanno per cominciare i lavori per  dibirlo a CPR. Il cantiere – che vale quasi 3 milioni di euro – è stato affidato al genio militare, saltando la gara d’appalto, come se si trattasse di un’emergenza.

Ci opponiamo e ci opporremo totalmente alla creazione e all’apertura di un CPR e sappiamo che unendoci, organizzandoci e coordinandoci tra tutte/i le antirazziste/i e le/i solidali della regione possiamo bloccarne l’apertura.

Assemblea NO CPR – no frontiere

Qui il link per scaricare la versione stampabile:  CPR leggi razziste

COS’È UN CPR E PERCHÉ CI OPPONIAMO

CHE COS’È UN CPR?

CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.

Il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) prevede l’apertura di un CPR per regione. In FVG, dovrebbe essere riaperta la struttura di Gradisca d’Isonzo, ex caserma convertita in CIE nel 2006 e chiusa nel 2013, grazie alle rivolte di chi vi era rinchiuso.

Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono costrette in stato di reclusione persone non comunitarie che vengono ritrovate prive di documenti regolari di soggiorno oppure già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno, perché scaduto o perso. Spesso le persone diventano irregolari perché scade il visto turistico o di studio, perché perdendo il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno o perché si sono viste rigettare la richiesta di asilo politico.

Il trattenimento può durare fino a 90 giorni, che diventano 120 giorni se la persona è già stata detenuta in carcere o 12 mesi nel caso la persona detenuta in CPR inoltri una domanda di asilo.

FUNZIONE UFFICIALE

In teoria, lo scopo dei CPR è trattenere una persona ai fini dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, cioè del rimpatrio nel Paese d’origine. I centri dovrebbero quindi garantire l’effettiva espulsione di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia. Di fatto, nel corso dei vent’anni di esistenza di queste strutture, il tasso di rimpatrio si è sempre attestato attorno al 50% dei/delle reclusi/e. Nel complesso, si parla di numeri che non hanno nessuna incidenza reale sul fenomeno del soggiorno irregolare in Italia. Tuttavia, rappresentano un considerevole business per le cooperative e aziende che speculano sulla loro esistenza.

Nonostante la loro inefficienza rispetto allo scopo che si prefiggono (il rimpatrio delle persone “irregolari”), la loro funzione rimane assolutamente inaccettabile per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. Ne sono prova i numerosi casi di scioperi della fame e autolesionismo – nei CPR ad oggi aperti – per evitare il momento del rimpatrio.

FUNZIONE EFFETTIVA

I CPR, come già i CIE e i CPT, servono per rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità, con un duplice risultato: da un lato impedire qualsiasi tipo di rivendicazione da parte di chi potrebbe potenzialmente essere rinchiusa/o; dall’altro, potenziare una segregazione razziale nelle leggi, con conseguenze sull’immaginario collettivo. I CPR si configurano infatti come un non-luogo dove alcune persone possono essere private della libertà senza che abbiano commesso alcun tipo di reato penale (contrariamente all’ordinamento costituzionale italiano) a causa principalmente del loro luogo di nascita. Sono dispositivi di controllo che instaurano una differenza tra cittadini/e dotati/e di diritti e garanzie, e non cittadini/e che di tali diritti e garanzie possono essere privati/e, potenziando e contribuendo a mantenere operativa tra gli esseri umani una gerarchia globale basata su razzializzazione, classe e passaporto, con le tragiche conseguenze a cui questo sta portando e ha già portato nella storia.

I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a fare credere ai cittadini italiani che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.

I CPR creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passato/a e da chi si è opposto/a alla loro esistenza.

LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR

In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio da parte dei migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica trasversale, che da vent’anni definisce e affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando la libertà di muoversi per cambiare le proprie condizioni di vita alle persone considerate indesiderabili.

Oggi la richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese d’origine economicamente indesiderato. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e anche i permessi per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.

Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera incessantemente i problemi che in teoria dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.

Dovremmo chiederci in caso cosa sta portando molte persone a migrare e riconoscere e le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e condizioni di vita dei Paesi sfruttati economicamente ed energeticamente.

RIBELLIAMOCI AL RAZZISMO

È necessario uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza da risolvere e abbattere l’immaginario che ammette lo/la straniero/a solo in quanto profugo/a.

L’attuale sistema ha come principale risultato la costruzione di soggetti fragili, marginali, detentori di diritti precari e di serie B. A trarne vantaggio è prima di tutto chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, che ha un’arma in più per imporre salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.

Per questi motivi ci opponiamo all’apertura del CPR a Gradisca d’Isonzo e pretendiamo l’abolizione definitiva delle strutture su tutto il territorio italiano, affermando l’urgenza di contrastare il discorso politico razzista e securitario di cui i CPR sono un esempio.

…ORA!

In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia.

Inoltre, sta contemporaneamente militarizzando sempre più il confine triestino, con la possibilità che la pratica dei push-backs (respingimenti immediati illegali oltre il confine europeo senza permettere la richiesta d’asilo) – già sistematica e violenta in Slovenia e Croazia – si estenda anche in Italia.

Il pacchetto sicurezza statale, in procinto di essere discusso a settembre 2018, prevede l’aumento del numero di CPR, della loro capienza, della durata massima della detenzione nonché l’aumento della lista dei reati che portano alla perdita del permesso di soggiorno e quindi al potenziale internamento.

L’apertura del CPR di Gradisca di Isonzo sembra quindi essere un primo passo di un progetto razzista più ampio a cui crediamo sia determinante porre resistenza al più presto, perchè non diventi operativo.

Per tutto ciò sentiamo la responsabilità urgente di unirci ed organizzarci in regione tra persone per mettere in atto una resistenza concreta al razzismo e a chi lo perpetua, in solidarietà con chi migra e chi ne sta già vivendo le conseguenze più aspre.

SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE! NESSUN CPR APRIRÀ!

Qui il link per scaricare la versione stampabile: COS’È-il-CPR-04-09-2018

Cie/Cpt/Cpr MAI PIÙ!

Il decreto Minniti-Orlando sulla protezione internazionale e l’immigrazione (2017) prevede, tra le altre cose, l’estensione della rete dei centri di detenzione di migranti “irregolari”. I Centri permanenti per il rimpatrio (CPR) sostituiscono i CIE (Centri di identificazione ed espulsione), aumentandone il numero: l’obiettivo della legge è la creazione di 20 CPR (uno per regione), per un totale di 1.600 posti.
I CPR – come già i CIE e i CPT – sottopongono a regime di privazione della libertà per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno. Chi viene rinchiuso nei CPR si trova in uno stato di detenzione, privata/o della libertà personale e sottoposta/o ad un regime di coercizione, subendo giornalmente vari tipi di soprusi da parte dei dipendenti delle cooperative e delle imprese che gestiscono e speculano sui CPR.
La finalità della reclusione nei CPR è formalmente il rimpatrio, opzione inaccettabile per chi si è trovata/o costretta/o a giocarsi la vita per attraversare frontiere; più in generale, la finalità dei CPR è rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità.
Attualmente sono 5 i CPR aperti in Italia: Bari, Brindisi, Ponte Galeria (Roma), Palazzo San Gervasio (PZ) e Torino. In alcune città dove si intende aprire un CPR – come Montichiari (BS) e Modena – le persone migranti e native stanno creando reti di opposizione e mobilitazioni sul territorio per impedirne l’apertura.
In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia. Tuttavia la scelta di dove aprire il primo è per ora ricaduta su Gradisca d’Isonzo, dove c’è un ex CIE oggi parzialmente utilizzato come CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati). Il CPT/CIE di Gradisca, noto per essere tra i più terribili, era stato aperto nel 2006 e chiuso nel 2013 grazie alle rivolte portate avanti dai migranti rinchiusi al suo interno.
In queste ultime settimane sono iniziati trasferimenti di persone dal CARA di Gradisca di Isonzo e sono parzialmente cominciati i lavori per adibire la struttura a CPR. Il cantiere è stato direttamente affidato, per un importo pari a 2.750.000.000 euro, al 1° Reparto del Genio dell’Aeronautica Militare, saltando i tempi delle gare d’appalto ed enfatizzando la retorica emergenziale e la pratica di guerra
al migrante. La gestione dell’attuale CARA da parte della cooperativa Minerva, nota per i subdoli mal-trattamenti riservati dai suoi operatori ai richiedenti asilo, scadranno a fine 2018. Gli accordi attuali tra Comune di Gradisca e Regione sono che a quel punto verrà chiuso il CARA ed aperto il CPR ad inizio 2019.
Ci opponiamo e ci opporremo totalmente alla creazione e all’apertura di un CPR e sappiamo che unendoci, organizzandoci e coordinandoci tra tutte/i le antirazziste/i e le/i solidali della regione possiamo bloccarne l’apertura. Per questo dopo due partecipati incontri in-formativi organizzati a Trieste contro il CPR lanciamo ora due ulteriori appuntamenti in preparazione di una prima manifestazione regionale. Invitiamo inoltre tutte le realtà e le persone antirazziste in regione ad agire nelle varie città in questo senso.