Solidarietà ai reclusi di Gradisca: di nuovo sotto quelle mura!

Siamo tornate/i domenica 13 aprile sotto il Cpr di Gradisca come sempre per cercare di  portare la nostra solidarietà e vicinanza a chi è rinchiuso lì dentro, cercando di rompere la barriera d’omertà che circonda questo Cpr, come tutti gli altri. “Scriveteci, condividete video e testimonianze di quello che succede, fateci sapere come state e come vi trattano, noi faremo uscire di lì la vostra voce” la frase ripetuta al microfono innumerevoli volte, alternandosi al grido di “Libertà”, musica ed interventi di denuncia di cosa sta succedendo negli altri Cpr italiani e in quello di Gradisca.

Negli ultimi mesi dal Cpr goriziano sono uscite numerose testimonianze di rivolte, di fughe riuscite e di tentativi purtroppo non andati a buon fine, e immancabili ogni volta resoconti della violenza repressiva delle guardie e dell’ente gestore – la cooperativa Ekene – incluse le ultime di lancio di gas lacrimogeni direttamente dentro le celle, pestaggi, mancato soccorso per ore e ore di prigioneri feriti e neanche 40 minuti prima dell’inizio del presidio di domenica, l’ennesimo ingresso della celere nelle gabbie.

Domenica il presidio è riuscito ad avvicinarsi molto più del solito al muro e si sono sentite più chiare le urla dei prigionieri in risposta alle nostre parole. Il grido “libertà” è stato spesso lanciato insieme e da dentro molte parole in risposta, purtroppo solo in parte comprensibili: “…mettono le medicine nel cibo…” “… abbattere i muri…” “…siamo persone…”.

Sembra un fatto oramai dato per scontato, ma per chi si trova là dentro, lottare in ogni forma vuol dire subire ancora più abusi fisici e psicologici, per loro è rischioso anche solo urlare di rabbia e chiedere libertà, il tentativo di costruire una lotta comune tra dentro e fuori è quindi un gesto potenzialmente denso di significato e forza.

L’intento della controparte è sempre quello di spezzare i legami di solidarietà tra dentro e fuori, adattando i suoi strumenti a seconda che siano diretti verso chi è rinchiuso o verso chi soldarizza, supporta e sostiene da fuori la lotta dei prigionieri. Questo intento non sta riuscendo ma, per quel che ci riguarda, ci teniamo a sottolineare l’importanza di essere presenti sotto quelle mura, più spesso e più in forze. 

A conclusione del presidio non ci sentivamo più, probabilmente i prigionieri erano stati spostati in celle più lontane dal muro. Ce ne siamo andate/i come sempre con quel po’ di angoscia che gli sbirri stessero aspettando la nostra partenza per essere violenti dentro. Gioia e amarezza quindi quando in serata e ancora questa mattina, arrivano da dentro video e notizie di fuochi, piccoli e grandi, accesi negli ultimi giorni, soprattutto nelle ore notturne e anche nella giornata di ieri, in risposta al presidio. Amarezza perchè sono sempre accompagnati dalla celere che entra nelle gabbie con violenza, per piegare le proteste dei detenuti. Pare sia successo anche negli ultimi giorni, con un intervento muscolare, scudi e manganelli per sedare le proteste di una persona. 

L’ex-ddl “sicurezza” è ora legge e si può quindi prevedere cosa questo comporterà all’interno di tutte le galere ma, è lecito pensare, ancor di più nei campi per le deportazioni dove, come per le carceri del circuito penale, è stato introdotto ex-novo il “reato di rivolta” specificamente volto a reprimere ogni episodio di protesta interna o tentativo di evasione e punire con anni di carcere anche le forme di resistenza passiva agli ordini impartiti. Se la “sospensione dell’applicazione delle normali regole di trattamento delle persone detenute” è, per il momento, ancora l’ultima spiaggia a disposizione delle guardie all’interno delle carceri, essa è invece la normalità quotidiana dei prigionieri nei Cpr. 

Essi ci mostrano invece come gli inasprimenti penali non riescano a fiaccare la loro lotta per abbattere le gabbie in cui sono rinchiusi, incrinando il sistema detentivo ed espulsivo e l’immagine che li vorrebbe solo passive esistenze “in eccesso”, corpi-merce di scambio, fantasmi buoni solo alla propaganda securitar-razzista di ogni schieramento, anche di quello che il Cpr li ha pensati e aperti e ora vorrebbe far credere di volerli chiudere, o magari solo qualcuno, o solo quello sotto casa.

La macchina del dominio invisibilizza e abusa, insabbiando persino le morti. Sta a noi non lasciarli liberi di fare, smascherandoli per quello che sono: torturatori e assassini.

Ci rivediamo presto a Gradisca, nelle piazze e nelle strade per ripetere che i CPR vanno chiusi, col fuoco, con le rivolte da dentro e da fuori.

Presidio in solidarietà ai prigionieri e ai rivoltosi del CPR di Gradisca d’Isonzo – 13 Aprile

Domenica 13 aprile – Ore 18Di fronte al Cpr di Gradisca d’Isonzo

Torniamo sotto le mura del CPR di Gradisca dove le rivolte, le fughe e i fuochi di chi vi è imprigionato continuano ogni giorno a minarne pezzo per pezzo l’esistenza e ad ostacolare la presunta inesorabilità del meccanismo deportativo. Nonostante le deportazioni, i trasferimenti in carcere, i manganelli e i lacrimogeni. 

Torniamo per rompere l’isolamento intrinseco a questi campi, apici fisici del razzismo di Stato che segrega, reprime, reclude ed espelle, affinchè violenze e torture non rimangano nel silenzio.

Continuiamo a portare la nostra solidarietà a chi si ribella

Contro tutte le galere

Tutti liberi, tutte libere

Assemblea No CPR FVG

Aggiornamenti dal CPR di Gradisca d’Isonzo [marzo 2025]

Rivolte, evasioni, proteste scandiscono da sempre l’esistenza del CPR di Gradisca, come di tutti gli altri campi della penisola. E’ la costante – e potremmo dire naturale – reazione ai loro meccanismi di segregazione e ferrea applicazione del razzismo di stato, una violenza strutturale che è loro connaturata in quanto luoghi di tortura, deterrenza e deportazione. Ogni tanto se ne accorge anche la propaganda dei grandi media, che riporta le (false) grida di disperazione delle cricche di guardie e dei sostenitori della loro esistenza, generando così una narrazione in cui i carnefici diventano vittime.

E’ quello che è successo ancora un paio di giorni fa, dopo l’ennesima protesta che ha riguardato alcune celle della “area blu”. Da quanto veniamo a sapere, un detenuto scivolando nel bagno si è rotto un piede e la sua richiesta di aiuto è stata lasciata cadere nel vuoto per molte ore. E’ un’altra delle costanti dei lager: nessuna risposta ai bisogni più primari, solo muri e reti di ferro. Il fuoco, quindi, diventa l’unico codice di comunicazione. Nella notte tra il 29 e il 30 marzo sono stati appiccati estesi incendi, che sono stati spenti dopo qualche ora in seguito all’intervento delle guardie in antisommossa, che si sono viste restituire nuovamente una parte della violenza che esercitano quotidianamente. Il ferito, con un piede gonfissimo, è stato “curato” solo il giorno dopo.
Nel frattempo le proteste sono state sedate dalle celere e dai getti degli idranti, anche in direzione delle camerate. La violenza della repressione si somma alla violenza dell’ordinario funzionamento della macchina di morte che è il cpr: “stiamo morendo tutti qua”, non a caso, riferiscono; “fate qualcosa per chiudere questo posto”, è il messaggio che più spesso esce da dietro quelle mura.

Getto di lacrimogeni – CPR di Gradisca d’Isonzo, 16 marzo 2025

Solo qualche giorno prima, un altro intervento della celere aveva sgomberato i gabbioni esterni, per scortarci all’interno dei lavoratori che dovevano prontamente chiudere i varchi aperti nelle reti. Manodopera complice che permette materialmente il funzionamento di questa e delle altre galere, gli onesti salariati di tutte quelle aziende essenziali alla sopravvivenza e alla tenuta di questi luoghi, quanto lo sono i reggicoda politici nazionali e locali di ogni genere e colore, giornalisti, garanti, medici delle aziende sanitarie, giudici di pace, guardie in divisa e aguzzini in pettorina della cooperative. Da questi posti si esce sulle proprie gambe quasi sempre con l’evasione, i cui tentativi – alle volte con successo – che si susseguono senza soste. E’ accaduto ad esempio il 16 marzo, quando almeno due prigionieri sono riusciti a guadagnare la libertà sotto una pioggia di lacrimogeni, lanciati per impedire altre fughe, come già successo durante le rivolte di gennaio [link]. “Non riusciamo a respirare”, dicevano, talmente fitta era la nube di gas, mentre in nottata continuavano i lanci e diverse persone erano sui tetti. La punizione è spesso anche quella di tenere le gabbie dell’aria lucchettate anche oltre la notte, costringendo i prigionieri nelle proprie celle. E’ un’altra delle comuni prassi di quella che – legalmente – è chiamata detenzione amministrativa e che non significa nient’altro che licenza di torturare.

La detenzione in questi luoghi, per i più sfortunati, termina solo con la deportazione coatta. La scorsa settimana, una o più persone egiziane sono state prelevate dal cpr di Gradisca, e molte altre dal cpr di Trapani Milo – dove dalla riapertura nell’ottobre scorso si susseguono battiture, scioperi della fame, rivolte che hanno reso di nuovo inagibili diverse porzioni del campo – per andare a riempire il charter mensile Roma-Cairo. Deportazioni nel “paese sicuro” del dittatore Al-sisi, nel nome della “gestione dei flussi migratori” e degli accordi bilaterali con i paesi del nord Africa. Da un paio di giorni, invece, non si hanno più notizie di due prigionieri, molto attivi sui propri social network nel denunciare le condizioni di detenzione di Gradisca, probabilmente silenziati attraverso una deportazione punitiva verso altri CPR, ancora più isolati.

Questo è ciò che le estemporanee news tentano di nascondere, dstorcere e mistificare dell’ordinario funzionamento dei cpr. Il razzismo di stato funziona anche, e soprattutto, attraverso l’esistenza di questi luoghi e il permanere stesso dei sistemi di confine, che da Trieste vediamo dispiegarsi lungo tutta la rotta balcanica e che rende sempre più ricattabili le persone migranti e povere, le cui vite sono altrettanti “laboratori” a cui si applicano i disciplinamento, controllo e repressione richiesti dalla mobilitazione bellica in corso, da tentare poi di estendere al resto della popolazione insubordinata e refrattaria, e non

La scorsa settimana ha visto anche la riapertura del CPR di Corso Brunelleschi a Torino, che era stato chiuso nel marzo 2023 dal fuoco di ingenti rivolte. Ci auguriamo che il fuoco, la rivolta quotidiana, possa richiuderli una volta per tutte.

SOLIDALI CON I RIVOLTOSI, a Gradisca e in ogni dove!

Alcuni aggiornamenti dal lager CPR di Gradisca d’Isonzo [video] + Notizie 13/03

Riceviamo dall’interno del CPR di Gradisca la notizia che otto prigionieri sono saliti sul tetto e hanno distrutto l’attrezzatura di sorveglianza. Probabilmente si è trattato di un tentativo di evasione: da settimane ormai si moltiplicano i buchi nelle reti delle gabbie e riprendono gli incendi. La polizia, spesso in assetto antisommossa, entra nelle celle nel tentativo di riportare l’ordine, fatto – come sappiamo – di sottomissione, deportazione e annichilimento. E’ successo anche il giorno successivo a questi episodi: numerosi sono stati i pestaggi,  impressionanti al punto da sembrare “un film in diretta”, ci è stato detto. Un ragazzo ha provato il salto, si è rotto una gamba ed è stato trasportato in ospedale.

Sono tanti i tasselli di questa macchina imperfetta. Cure negate, per le vendette quotidiane nella gestione del campo. Le deportazioni, spesso con voli charter, in direzione della Nigeria e dell’Egitto, e a ritmi vertiginosi verso la Tunisia. Ma anche le angherie più sottili, l’arbitrio poliziesco: perfino i libri, ora, sono materia da negoziare. Così, alcune guardie di sorveglianza hanno deciso che con loro non sarebbe entrata nemmeno la letteratura: chi è prigioniero deve morire di noia, starsene in gabbia e sottomettersi al regime di tortura che hanno preparato per lui.

Lo stesso regime che ora vorrebbero estendere con l’apertura di altri cinque CPR sul territorio nazionale (è notizia di qualche giorno fa che il Ministero dell’Interno ne sta individuando i siti) e che, alla fine della catena, è disposto anche ad uccidere. Lo abbiamo ricordato di fronte al Tribunale di Gorizia (responsabile di un procedimento farsa per la morte di Vakhtang Enukidze a poche settimane dalla riapertura del lager di Gradisca e dove ha sede, anche, il Giudice di Pace che convalida i trattenimenti): i nomi di Vakhtang, Orgest, Anani, Arshad e prima ancora Majid, morti di stato, sono stati tra i nostri discorsi, insieme a quelli dei senza nome che si ribellano ai dispositivi del razzismo di stato.

Finché i CPR rimarranno aperti, ed anzi se ne costruiranno altri, finché ne esisterà l’idea, noi staremo dalla parte di chi non si piega allo stato razzista. Rimarremo complici e solidali dei rivoltosi e continueremo a far risuonare le loro voci, testimonianze di chi da dentro non smette di accendere fuochi, spaccare telecamere, tagliare reti e scappare.


AGGIORNAMENTI DEL 13/03/25: Per quanto ancora?

A stretto giro pubblichiamo ancora un veloce aggiornamento: il quotidiano orrore del CPR di Gradisca, tra le mille forme della tortura e la resistenza disperata dei prigionieri, prosegue senza sosta.
Un paio di giorni fa un recluso, probabilmente marocchino, avrebbe tentato il suicidio. E’ stato trascinato via a peso morto, ma dopo qualche ora è stato rimesso in cella: è stato “curato” nella lettiga dell’ambulanza intervenuta, che però non lo ha mai trasportato in pronto soccorso.
Le urla di dolore alle volte sono strazianti, ma non c’è verso che qualcuno intervenga. C’è chi chiede da giorni di vedere un medico o andare in ospedale, a causa di un problema sanitario che non gli da’ pace: gli affidano qualche crema e per il resto lo lasciano lì, a chiedere aiuto tra le sbarre, senza ricevere alcuna risposta.
Oltre alle crepe nel muro dell’isolamento, ci sono anche i varchi aperti nelle reti, nonostante le manutenzioni (delle ditte e dei lavoranti con la saldatrice), la struttura militarizzata (mentre un uomo è a terra, si affannano polizia ed esercito con i caschi in testa…), le telecamere e le reti (e luci al neon blu che avvolgono il centro nelle ore serali, distopia realizzata dal mondo della segregazione). Un nuovo tentativo di evasione è stato tentato da cinque prigionieri: non ce l’hanno fatta e rientrati sono stati picchiati, li hanno lasciati con le ossa spaccate. I fuochi, la notte, si accendono comunque, come una promessa di resistenza.
Ci chiedono a gran voce di far conoscere quelle succede dentro e noi lo facciamo: che nessuno possa dire un giorno, io non sapevo!

Libertà per i tutti i prigionieri!
FUOCO ALLE GALERE
TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE

Nessun giustizia per Vakhtang finché le mura del CPR non crolleranno [Iniziative]

Presentazione dell’iniziativa e discussione

Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione

Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30


L’allora Cpt di Gradisca apre nel 2006 in conseguenza della legge “Turco-Napolitano” voluta dal centrosinistra. La morte di Majid El-Khodra, caduto dal tetto durante una rivolta, porta alla sua chiusura nel 2013. Anni dopo, nel 2019, il campo di deportazione per persone senza documenti riapre come CPR, sotto la gestione della coop Ekene di Battaglia Terme (PD). Cambia il nome, ma non la sostanza: apice fisico del razzismo di Stato e delle sue imprese coloniali, come tutte le carceri è luogo di tortura e annientamento al suo interno, dispositivo di controllo e minaccia tramite il ricatto che esercita sui “liberi”, all’esterno.

Dal 2019 a Gradisca si susseguono le vittime della macchina espulsiva: quella di Vakhtang Enukidze dopo un pestaggio da parte delle guardie (gennaio 2020), quella per overdose di Orgest Turia (luglio 2020) e quelle per suicidio di Anani Ezzedine e Arshad Jahangir, ma il lager democratico non ha mai smesso di essere operativo.

Per la morte di Vakhtang Enukidze è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo della cooperativa Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Spacciati dai media come “mele marce”, si tratta in realtà dei piccoli ingranaggi della macchina di oppressione e sfruttamento che sulla vita degli ultimi e dei marginali genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali.

Il tribunale da un lato finge di elargire la “giusta” giustizia di Stato a due suoi complici, dall’altro è il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti rastrellate in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

Il processo contro due aguzzini di Ekene, a prescindere del suo esito, non servirà se non a ripulire e oliare la macchina: le coop continueranno a fare affari, il CPR a torturare.

I Cpr, quando sono stati chiusi, lo sono stati sotto il fuoco e i colpi delle rivolte dei prigionieri al loro interno. A loro va tutta la nostra solidarietà e supporto. Finchè di quelle mura non resteranno che macerie.

Per tutto questo vi invitiamo a un doppio appuntamento:

·  Presentazione e discussione – Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

·  Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione – Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30

Assemblea No CPR FVG

Assemblea permanente contro carcere e repressione del Friuli e di Trieste


VERSIONE ESTESA

Storia del CPR di gradisca: oppressione razziale, morti di stato

Il Cpr di Gradisca d’Isonzo apre nel 2006, sotto la gestione della cooperativa goriziana Minerva, nel sito dell’ex-caserma “Polonio”. Assieme ad altre prigioni per senza-documenti volute dall’allora governo di centrosinistra con la legge 40/1998 “Turco-Napolitano”, rappresenta l’apice del razzismo di stato, il complesso sistema costruito sulla detenzione amministrativa, la deportazione, il perenne stato di oppressione razziale a cui sono sottoposte le persone lungo le linee della razza, del colore, della classe.

Nel 2013 scoppia una grande rivolta repressa brutalmente dalle guardie, durante la quale Majid El-Khodra cade dal tetto, morendo dopo otto mesi di coma. L’allora CIE viene dunque chiuso. Nel dicembre del 2019 riapre con la denominazione di CPR – altro decreto del centrosinistra, il “Minniti – Orlando” del 2017 – questa volta sotto la gestione della cooperativa Ekene di Battaglia Terme (PD).

Poche settimane dopo la riapertura, tre detenuti riescono a scappare dal centro. In quei giorni sono numerosi i casi di autolesionismo (incluso un tentato suicidio), dovuti alle dure condizioni di detenzione al suo interno. Il 18 gennaio 2020, Vakhtang Enukidze muore pochi giorni dopo aver subito un pestaggio all’interno del CPR da parte delle guardie in assetto antisommossa. Nel luglio dello stesso anno, Orgest Turia muore per overdose di psicofarmaci. Nel dicembre 2021 si toglie la vita nel campo Anani Ezzedine, come farà anche Arshad Jahangir nell’agosto 2022.

Giustizia per Vakhtang

Lo stato normalmente non si autoprocessa, e anche quando finge di farlo, lo fa col fine di autoassolversi, preferendo semmai mettere in piedi delle farse tribunalizie al termine delle quali arrivare a condannare alcune “mele marce”, che poi tanto marce non sono, visto che esso continua a beneficiare volentieri dei loro servigi.

Non ci riferiamo in questo caso solamente alle ormai quasi quotidiane esecuzioni a sangue freddo da parte dei servitori dello stato in divisa, ma anche ai ricchi affari che le Prefetture – quella goriziana in prima linea – continuano a fare con gli aguzzini senza divisa che gestiscono i Cpr, le cosiddette coop “dell’accoglienza” e tante piccole e medie imprese del territorio coinvolte nelle sua esistenza. La prefettura goriziana foraggia infatti la coop Ekene di Battaglia Terme (Padova) perchè continui a “gestire” il Cpr di Gradisca d’Isonzo, sebbene responsabile della morte di almeno cinque persone, quattro nel campo gradiscano dal 2020 ad oggi ed una nel campo di Conetta (Venezia), dove nel 2017 morì Sandrine Bakayoko.

Per la morte di Vakhtang Enukidze, ucciso nel Cpr di Gradisca da un pestaggio di un gruppo di anonime guardie nel gennaio 2020, è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo di Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Questi che si vorrebbero additare come unici responsabili non sono “mele marce” di un sistema riformabile perchè ancora “inefficiente e costoso”, sono invece due piccoli ingranaggi della vasta macchina di ricatto e sfruttamento su base razziale, che sulla vita dei più marginali e ricattabili genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali. Il processo in corso, a prescindere da quale sarà il suo esito, serve proprio a far sì che la macchina continui a girare a pieno regime una volta “ripulita” e nuovamente oliata: le coop continuano a fare affari, le guardie e il CPR a torturare. Il CPR continua ad esercitare la propria funzione di ricatto e di terrore nei confronti di tutte le persone straniere.

Non solo, questa vasta macchina che è il dominio non tollera che qualcuna o qualcuno esca dall’automatismo psicologico che porta alla “normale” sopportazione dell’esistenza della tortura, non tollera che qualcuno sia ancora in grado di sentire il dato intuitivo che accanirsi su persone inermi è disturbante. Quindi colpisce nel silenzio generalizzato con procedimenti giudiziari anche quei solidali che con determinazione si sono mobilitati negli ultimi mesi.

Il sistema della detenzione amministrativa

Il tribunale non è solo il luogo in cui nessuna vera “giustizia” potrà essere stabilita – banalmente, il sistema Cpr in cui è morto Vakhtang continuerà ad esistere a prescindere dalla sentenza – ma è anche il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti, fungendo da cinghia di trasmissione per gli ingressi nel Cpr di tutte le persone che la polizia rastrella in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

La detenzione amministrativa, come nei regimi coloniali (su tutti l’entità sionista israeliana), è la forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione che corona il sistema di sfruttamento e divisione razziale: uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e più in generale nel controllo della popolazione straniera. Basti guardare all’estensione del trattenimento amministrativo: dal nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania. Agli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti ai nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri. Ma anche per i cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente come nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Le rivolte e la voce dei prigionieri

Le rivolte e le ribellioni, grandi e piccole, scandiscono da sempre l’esistenza del Cpr di Gradisca. Di queste sappiamo, più che dai giornali (sempre a fianco della narrazione securitaria del potere), per le voci – e le immagini – che riescono ad uscire e a diffondersi all’esterno del campo. Per questo è fondamentale mantenere i contatti con l’interno, per una comunicazione solidale che dia voce a chi viene schiacciato dalla violenza di stato.

L’ultima ondata di rivolte è iniziata lo scorso capodanno, quando alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Qualche settimana dopo sono scoppiati degli scontri tra detenuti e guardie che si sono protratti per due giorni, raggiungendo un apice quando diversi fuochi sono stati accesi durante la notte nelle aree delle celle. La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si era ribellato e 35 detenuti sono stati poi trasferiti in carcere o deportati in Tunisia e Marocco. Ma le rivolte non hanno portato soltanto repressione: un’intera sezione del CPR, l’area rossa, è stata resa “inagibile” e perciò chiusa temporaneamente. Così, come già successe al Cpr di Torino nel 2023, il fuoco dei ribelli è riuscito a sottrare, ancora una volta, preziosi spazi alla macchina razzista e classista delle deportazioni.

Sotto le mura del lager CPR di Gradisca d’Isonzo

Era da un po’ che non si vedeva una presenza così di fronte al CPR di Gradisca d’Isonzo. Sabato 8 febbraio, decine di persone solidali si sono riunite di fronte ad uno dei tanti lager di Stato. Chi ancora crede si tratti di un’iperbole, vada a cercare informazioni sulle condizioni in cui vivono — e muoiono — al suo interno le persone rinchiuse. Prigionieri che sono ostaggi di una guerra contro marginali, devianti, irrecuperabili all’ordine imposto, individui considerati non integrabili nella catene della produzione. Persone razzializzate secondo i criteri coloniali dell’Occidente, destinate alla deportazione dalle questure del territorio della regione e da tutto il nord Italia, dopo fermi, retate, controlli di documenti, carceri.
Questa spinta solidale ha senza dubbio avuto a che fare con le recenti rivolte [link]: risulta infatti difficile non supportare anche in modo minimo, come abbiamo fatto sabato — chi prova a ribellarsi a una situazione di violenta oppressione, organizzandosi con i propri compagni di prigionia, battendosi con i pochi mezzi a disposizione, con il proprio corpo e le affinità e alleanze che si creano sul momento.
Di fronte a quelle mura, e al massiccio schieramento di polizia, abbiamo tentato di farci sentire da dentro, attraverso interventi e musica. E abbiamo ottenuto delle risposte: grida di libertà attraverso una comunicazione minima, ma che crediamo fondamentale per dare forza a chi resiste.
«I CPR si chiudono col fuoco» non è uno slogan, non è retorica, ma una realtà palpabile. Così è successo a Torino nel 2023 e a Gradisca nel 2013, e così in queste settimane è stato reso inagibile — parzialmente — quello di Gradisca. Non possiamo che continuare a supportare e dare voce a chi è dentro, a chi tenta la fuga, a chi viene deportato.
Segnaliamo infine – come annotazione certamente marginale rispetto alla condizione dei prigionieri, ma significativa dei tentativi di isolamento a cui è sottoposto il campo gradiscano, le identificazioni di massa e le perquisizioni avvenute verso le tante persone accorse al presidio, prima ancora di poterlo raggiungere. La solidarietà è un arma che qualcuno vorrebbe disarmare, non ci riuscirà: la lotta e la mobilitazione continueranno fino a quando le mura del CPR non crolleranno!

Aggiornamenti dopo le rivolte del CPR di Gradisca d’Isonzo [video]

A dieci giorni della rivolte del CPR, la situazione a Gradisca d’Isonzo sembra ritornata alla calma: sappiamo che si tratta di una tregua apparente, la storia del CPR è da sempre scandita dalle rivolte, le proteste, le evasioni.

Dopo le giornate di battaglia, sono state deportate diverse persone, soprattutto in direzione della Tunisia; altre sono state trasferite in altri CPR, come quello di Trapani-Milo e del Corelli a Milano; altre ancora sono state arrestate e portate nelle carceri.

L’area rossa è stata temporaneamente chiusa per diversi giorni, resa inagibile (“gravemente compromessa” nel linguaggio questurino) dalla forza delle rivolte. Molti sono stati spostati nelle altre due area ancora aperte, in particolare quella blu, che risultava particolarmente sovraffollata. Qualche giorno dopo, a seguito di alcune riparazioni, è stata in parte riaperta anche l’area rossa.

I nuovi ingressi sono continuati, segno anche che la macchina delle deportazioni funziona imperterrita. Resta la potenza di quelle giornate, i pezzi di CPR divelti, posti e capienza ridotti e sottratti alla detenzione amministrativa, ai dispositivi materiali del razzismo di stato.

Pubblichiamo un video che racconta quelle giornate, che mostrano il coraggio e la determinazione dei prigionieri in rivolta. Rilanciamo anche l’appuntamento di sabato 8 febbraio alle ore 15, sotto le mura del CPR di Gradisca, per portare una volta di piu’ solidarietà e complicità con i reclusi!

 

Solidarietà ai rivoltosi di Gradisca: presidio pubblico, 8 febbraio 2025

Il 21 gennaio, nel CPR di Gradisca d’Isonzo, la paura e l’isolamento hanno cambiato campo. Dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti.

La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si è ribellato alle torture e violenze. Le rivolte hanno portato alla chiusura dell’area rossa e 35 detenuti sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.

Torniamo ancora una volta sotto a quel muro che nasconde un lager etnico legalizzato, torniamo per portare solidarietà e rompere silenzio e isolamento verso chi continua a lottare per la libertà e non piega la testa verso uno Stato razzista che vuole l’omogeneità e la pacificazione sociale.

Perché i CPR si chiudono con il fuoco non sia solo uno slogan.
SABATO 8 FEBBRAIO ORE 15:30 DAVANTI AL CARA

FREDOOM-HURRIYA-LIBERTÀ
Assemblea no cpr

Di rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione e fughe. La normalità del campo di Gradisca

La lotta dei prigionieri nel campo per senza-documenti di Gradisca continua senza soste. Nelle ultime settimane gli episodi di rivolte, ribellioni e proteste sono stati diversi. Dopo la caduta da un tetto di un giovane prigioniero tunisino nella notte del 10 gennaio (con gravi lesioni alle gambe) e un nuovo incidente cinque giorni dopo, giovedì 16 gennaio si e’ scatenata una protesta incendiaria nella zona rossa. Il 21 gennaio, dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte: la polizia è entrata nelle celle, caricando i detenuti e sequestrandogli i telefoni, che sono stati riconsegnati solo più tardi. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti. Martedì l’agitazione è cresciuta ancora: uno sciopero della fame collettivo è sfociato in una nuova rivolta con fuoco nell’area rossa. La polizia è intervenuta con lanci di lacrimogeni e getti d’acqua, com’è successo di nuovo durante la notte, quando alcuni detenuti avrebbero tentato la fuga, tra le nubi di fumo del campo.

Le motivazioni delle rivolte sono strutturali, sia per le condizioni di detenzione nel centro come per la sua stessa natura, di lager di tortura. Si susseguono scioperi della fame per la pessima qualità del cibo e la somministrazione di psicofarmaci assieme ad esso. Cio’ avviene con la complicità e necessaria collaborazione della cooperativa Ekene, che continua a gestire il centro in proroga, in attesa della nuova assegnazione in seguito alla gara d’appalto per la sua gestione indetta nel giugno del 2024 e chiusasi a settembre, nel corso della quale sono state presentate quattro offerte.

Spesso le guardie in antisommossa entrano nelle gabbie esterne alle camerate manganellando chiunque si trovi a tiro, ma questo non impedisce ai prigionieri di reagire, continuando a minare e sabotare pezzo per pezzo la tenuta del campo, che sembra al momento contenere molti meno prigionieri di quelli riportati dalla stampa locale e nei comunicati delle stesse guardie.

Se non possiamo che essere contenti che i cosiddetti costi “materiali e sociali” di cui si lamentano politicanti locali e guardie non facciano che aumentare rivolta dopo rivolta — attualmente l’operatività della struttura sarebbe già “seriamente compromessa” —, ribadiamo che gli unici “costi umani” sono quelli dei prigionieri rinchiusi in questi luoghi di tortura, umiliazione e morte, non certo quelli degli assassini con o senza divisa che ne permettono l’esistenza e il funzionamento.

Aggiornamento: dopo due giorni di rivolte, la cosiddetta area rossa del campo – collocata nel mezzo dell’ex-caserma, tra le aree verde e blu – è stata completamente devastata e nessuno si trova più al suo interno. Otto prigionieri sono stati trasferiti nell’area blu, mentre 35 di loro sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.
Sono poi avvenute perquisizioni con l’impiego di squadre antisommossa nelle camerate.

FUOCO AI CPR E A TUTTE LE GALERE
TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE

Contro il razzismo di stato: uno sguardo sulla detenzione amministrativa

Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca

17 gennaio 2024 – ore 18

Via Tarabocchia 3, Trieste

La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.

In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).

La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.