CAMMINATA NO BORDER!

domenica 7 ottobre
h. 10.30, ritrovo a Draga

[porta qualcosa da mangiare per il pranzo condiviso!]

(di fronte alla locanda Mario)

I confini sono un’invenzione, ma un’invenzione che ammazza, da sempre.
Ogni giorno, decine di persone tentano di raggiungere l’Europa attraverso
la rotta balcanica: attraversano confini di nascosto rischiando di essere
prese e respinte, derubate e menate dalla polizia, rischiando di morire.
Noi, che possiamo muoverci di qua e di là dal confine
quando e come ci pare, solo perché siamo bianche e cittadine,
siamo solidali con chi ci rischia la vita.
Attraversiamo la frontiera insieme per dire che rifiutiamo la sua esistenza
e che siamo contro e chi la fa esistere e funzionare. Denunciamo la violenza
di questo confine e di quello dell’area Schengen (sloveno-croato),
denunciamo i respingimenti illegali dalla Slovenia e la violenza della
polizia croata. Denunciamo le condizioni nelle quali l’Unione Europea
condanna i migranti in Bosnia. Denunciamo la pazzia delle reclusioni sulle
isole greche. Denunciamo la violenza dei CPR – che sono dei lager di Stato
– e la costruzione di un CPR a Gradisca d’Isonzo.
Qui diciamo che i confini ci fanno schifo,
che vanno distrutti, che li vogliamo distruggere.
Vogliamo la demilitarizzazione del Carso e della frontiera.
Vogliamo la libertà di movimento incondizionata per tutti gli esseri umani.
VIA I FASCISTI E IL CORPO MILITARE,
PIÙ NOMADI E MONTANARE!

 

[la camminata sarà fatta anche in caso di pioggia: garantiamo pranzo sociale al coperto!]


PROGRAMMA della GIORNATA:

h 10.30 – ritrovo a Draga (piazzetta attigua alla Locanda da Mario).
PASSEGGIATA NO BORDER e sconfinamento in Slovenia con letture condivise.

A seguire – ritorno a Draga e PRANZO CONDIVISO (cucina e porta ciò che vorresti trovare!)

IN CASO DI PIOGGIA LA PASSEGGIATA SI TERRÀ COMUNQUE IN FORMA BREVE, SEGUIRÀ IL PRANZO SOCIALE AL COPERTO!


Qui la versione stampabile: CAMMINATA NO BORDER 2xpagina CAMMINATA NO BORDER


POHOD
BREZ MEJE!
nedelja, 7. oktober
ob 10.30, zbor v Dragi
(pred gostilno locanda Mario)
[prinesi nekaj hrane za skupinsko kosilo!]

Meje so izum, ampak izum, ki ubija, že od nekdaj.
Vsak dan na desetine ljudi poskuša doseči Evropo po balkanski poti:
skrivoma prečkajo meje in pri tem tvegajo, da bodo odkriti in zavrnjeni,
oropani in pretepeni s strani policije, tvegajo smrt.
Me, ki se lahko prosto gibamo čez mejo,
kadar in kakor se nam zazdi, samo zato ker smo bele in državljanke,
smo solidarne s tistimi, ki tvegajo življenje.
Prečkajmo mejo skupaj, da povemo, da nasprotujemo njenemu obstoju
in da smo proti tistim, ki jo udejanjajo. Obsodimo nasilje te meje in tiste šengenske
med Slovenijo in Hrvaško, obsodimo nezakonite vrnitve iz Slovenije in
nasilje hrvaške policije. Obsodimo pogoje na katere Evropska unija obsoja migrante v
Bosni in Hercegovini. Obsodimo norost zaporov na grških otokih.
Obsodimo nasilje italijanskih centrov CPR – ki so državna koncentracijska taborišča –
in izgradnjo CPR v Gradišču ob Soči.
Tu pravimo, da se nam meje gnusijo,
da jih je treba uničiti, da jih hočemo uničiti.
Hočemo demilitarizacijo Krasa in meje.
Hočemo brezpogojno svobodo gibanja za vse ljudi.
PROČ S FAŠISTI IN Z VOJSKO,
VEČ NOMADOV IN POHODNIC!
nofrontierefvg.noblogs.org
[pohod bo tudi v primeru dežja, zagotovljeno skupinsko kosilo pod streho!]


NATISNITE: pohod brez meje, Pohod brez meje A5


 

NO CPR

CHE COS’È UN CPR?

CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.

Il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) prevede l’apertura di un CPR per regione. In FVG, dovrebbe essere riaperta la struttura di Gradisca d’Isonzo, ex caserma convertita in CIE nel 2006 e chiusa nel 2013, grazie alle rivolte di chi vi era rinchiuso.

Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono costrette in stato di reclusione persone non comunitarie che vengono ritrovate prive di documenti regolari di soggiorno oppure già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno, perché scaduto o perso. Spesso le persone diventano irregolari perché scade il visto turistico o di studio, perché perdendo il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno o perché si sono viste rigettare la richiesta di asilo politico. Con il decreto sicurezza appena approvato, per perdere il permesso di soggiorno basta essere condannate/i in primo grado per alcuni reati penali tra cui rapina e oltraggio a pubblico ufficiale (accusa nota per essere mossa senza prove o testimoni, a libero arbitrio della polizia) o per essere valutate/i pericolosi socialmente senza essere imputabili di delitti (a seguito per esempio di partecipazione in manifestazioni o di ribellione al razzismo subito sul posto di lavoro o sull’autobus per arrivarci).

Il trattenimento, secondo la Minniti-Orlando, doveva durare fino a 90 giorni, che diventavano 120 giorni se la persona era già stata detenuta in carcere o 12 mesi nel caso la persona detenuta in CPR inoltrasse una domanda di asilo. Con il decreto sicurezza appena approvato il trattenimento diventa 180 giorni.

FUNZIONE UFFICIALE

In teoria, lo scopo dei CPR è trattenere una persona ai fini dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, cioè del rimpatrio nel Paese d’origine. I centri dovrebbero quindi garantire l’effettiva espulsione di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia. Di fatto, nel corso dei vent’anni di esistenza di queste strutture, il tasso di rimpatrio si è sempre attestato attorno al 50% dei/delle reclusi/e. Nel complesso, si parla di numeri che non hanno nessuna incidenza reale sul fenomeno del soggiorno irregolare in Italia. Tuttavia, rappresentano un considerevole business per le cooperative e aziende che speculano sulla loro esistenza.

Nonostante la loro inefficienza rispetto allo scopo che si prefiggono (il rimpatrio delle persone “irregolari”), la loro funzione rimane assolutamente inaccettabile per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. Ne sono prova i numerosi casi di scioperi della fame e autolesionismo – nei CPR ad oggi aperti – per evitare il momento del rimpatrio.

FUNZIONE EFFETTIVA

I CPR, come già i CIE e i CPT, servono per rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità, con un duplice risultato: da un lato impedire qualsiasi tipo di rivendicazione da parte di chi potrebbe potenzialmente essere rinchiusa/o; dall’altro, potenziare una segregazione razziale nelle leggi, con conseguenze sull’immaginario collettivo. I CPR si configurano infatti come un non-luogo dove alcune persone possono essere private della libertà senza che abbiano commesso alcun tipo di reato penale (contrariamente all’ordinamento costituzionale italiano) a causa principalmente del loro luogo di nascita. Sono dispositivi di controllo che instaurano una differenza tra cittadini/e dotati/e di diritti e garanzie, e non cittadini/e che di tali diritti e garanzie possono essere privati/e, potenziando e contribuendo a mantenere operativa tra gli esseri umani una gerarchia globale basata su razzializzazione, classe e passaporto, con le tragiche conseguenze a cui questo sta portando e ha già portato nella storia.

I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a fare credere ai cittadini italiani che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.

I CPR creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passato/a e da chi si è opposto/a alla loro esistenza.

LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR

In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio da parte dei migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica trasversale, che da vent’anni definisce e affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando la libertà di muoversi per cambiare le proprie condizioni di vita alle persone considerate indesiderabili.

Oggi la richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese d’origine economicamente indesiderato. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e anche i permessi per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.

Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera incessantemente i problemi che in teoria dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.

Dovremmo chiederci in caso cosa sta portando molte persone a migrare e riconoscere e le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e condizioni di vita dei Paesi sfruttati economicamente ed energeticamente.

RIBELLIAMOCI AL RAZZISMO

È necessario uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza da risolvere e abbattere l’immaginario che ammette lo/la straniero/a solo in quanto profugo/a.

L’attuale sistema ha come principale risultato la costruzione di soggetti fragili, marginali, detentori di diritti precari e di serie B. A trarne vantaggio è prima di tutto chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, che ha un’arma in più per imporre salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.

Per questi motivi ci opponiamo all’apertura del CPR a Gradisca d’Isonzo e pretendiamo l’abolizione definitiva delle strutture su tutto il territorio italiano, affermando l’urgenza di contrastare il discorso politico razzista e securitario di cui i CPR sono un esempio.

ORA!

In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia.

Inoltre, sta contemporaneamente militarizzando sempre più il confine triestino, con la possibilità che la pratica dei push-backs (respingimenti immediati illegali oltre il confine europeo senza permettere la richiesta d’asilo) – già sistematica e violenta in Slovenia e Croazia – si estenda anche in Italia.

Approvato il decreto sicurezza, in particolare le condizioni quasi arbitrarie per la revoca del permesso di soggiorno, è ancora più evidente la funzione dei CPR di lager statali.

L’apertura del CPR di Gradisca di Isonzo sembra quindi essere un primo passo di un progetto razzista più ampio a cui crediamo sia determinante porre resistenza al più presto, perchè non diventi operativo.

Per tutto ciò sentiamo la responsabilità urgente di unirci ed organizzarci in regione tra persone per mettere in atto una resistenza concreta al razzismo e a chi lo perpetua, in solidarietà con chi migra e chi ne sta già vivendo le conseguenze più aspre.

SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE!

Assemblea NO CPR – no frontiere

www.nofrontierefvg.noblogs.org

APPUNTAMENTI:

  • SABATO 6 OTTOBRE 9:30h, Gradisca d’Isonzo:

    Volantinaggio al mercato.

  • DOMENICA 7 OTTOBRE 10:30h, Draga (TS):

    Passeggiata contro le frontiere

  • SABATO 20 OTTOBRE 15:00h, Piazza di Gradisca d’Isonzo:

CORTEO REGIONALE CONTRO L’APERTURA DEL CPR

Seguite gli aggiornamenti sulla pagina web per tutti gli altri eventi ed assemblee che verranno organizzati nei vari luoghi prima e dopo il corteo del 20 (la manifestazione del 20, non sarà un punto d’arrivo ma di partenza).

NESSUN CPR APRIRÀ!

Qui la versione stampabile: NO CPR -A5

Venerdì 21 settembre 2018

#2. Come già accennato, il numero di migranti che ogni sera arriva allo squat per un pasto caldo dello chef Bashir tende a fluttuare tra le 70 e le 120 persone. Le variabili: il flusso in entrata e in uscita da Belgrado e la direzione di questo flusso; la praticabilità della rotta bosniaca che entra in Croazia dopo Velika Kladuša; e naturalmente l’operatività della polizie serba e croata. Questo perché, a cadenza quasi giornaliera, dopo cena decine di ragazzi preparano i propri beni (soprattutto le scarpe), e si avvicinano ai treni e ai camion che fermano a Šid e sono diretti verso i Paesi dell’Europa centrale. Senza che conducenti o capitreno se ne accorgano i ragazzi – tutti o quasi tra i 15 e i 23 anni, ma abbiamo anche un dodicenne – saltano sui mezzi e cercano di nascondersi come possono. Scenderanno poi quando il mezzo avrà attraversato almeno una frontiera, ma in ogni caso quelli che sono respinti vengono colti generalmente in cinque momenti distinti. Questa struttura in livelli, la difficoltà ascendente che separa l’uno dall’altro, il set di abilità uniche richieste per ognuno, l’incidenza di una certa componente di fortuna, la presenza di checkpoint (gli squat e i campi) da cui è sempre possibile ripartire, le conseguenze progressivamente più incisive della cattura e la giovane età dei migranti credo siano le ragioni per cui questo modo di spostarsi sia universalmente noto come the Game. I momenti in cui è possibile perdere, vale a dire essere presi e ricondotti al punto di partenza, sono i seguenti:
1) Immediatamente saliti sul mezzo di trasporto.
Oltre ad una certa velocità di corsa è cruciale avere bene in mente gli orari di partenza dei treni e dei camion sufficientemente grandi da offrire un buon nascondiglio. Se non si è abbastanza lesti lo chauffeur scende e scarica i partecipanti; i ragazzi però sono ancora freschi e, anche a fronte di un’elevata aggressività del conducente, se la cavano al massimo con un calcio in culo. Le conseguenze della squalifica quindi sono abbastanza modeste e durano pochissimo, vale a dire fino al successivo mezzo giocabile.
2) A Šid dalla municipale.
I migranti vengono raccolti e scortati verso la jungle dove molti di loro vanno a dormire. Inaspettatamente le conseguenze della squalifica si fanno più leggere sul piano fisico, però se reiterata pesa molto sul morale del giocatore. Va detto che, se esiste un’abilità assolutamente necessaria e che deve essere impiegata in ogni tratta del viaggio, questa abilità è la caparbietà, da cui si genera la pazienza di aspettare il giusto mezzo giocabile, la tenacia per camminare quando fanno male i piedi, eccetera. Comunque ogni migrante è ben consapevole che, a questo punto, le sue possibilità di arrivare in Croazia si andavano facendosi più concrete. Forse i meno scafati iniziavano a pensare alla Slovenia, o addirittura all’Italia e alla Germania. La causa principale della squalifica qua dipende direttamente dal tipo di Game che era in corso. Se si tratta di un Big Game, vale a dire un Game molto partecipato e che generalmente si svolge di notte, la squalifica insorge per scarsa fortuna: un po’ passano, moltissimi sono presi, cosicché tra noi volontari serpeggia la quasi-certezza che questi Big Game siano roba da beoti. In verità qualche sera fa, quando abbiamo incrociato sulla strada verso casa almeno trenta-quaranta partecipanti seguiti da una macchina della polizia che procedeva a passo d’uomo, so di per certo che due cugini con cui avevo chiacchierato qualche ora prima sono riusciti a passare, e con loro almeno altri dieci. Spessissimo però succede che in molti si muovano preventivamente o bazzichino con eccessiva convinzione nei dintorni della stazione ferroviaria o del polo industriale da dove partono i camion, mettendo in allarme la polizia che pare sensibilissima a questo tipo di fermento. É un pochino come nei 100 metri piani, una falsa partenza di uno o di pochi nuoce a tutti quelli che sono in gara.
Se invece si tratta di un Game che raccoglie poche unità e si svolge a qualsiasi orario del giorno, venire beccati dalla muni

cipale di Šid diventa veramente questione di scarsa scaltrezza o estrema sfortuna, perché generalmente chi partecipa a questi Game piccoli viene squalificato al livello successivo.
3) Ovvero al posto di frontiera, in collaborazione tra la polizia croata e quella serba. Chi ha superato i primi due livelli, nettamente i più agevoli, deve ancora passare attraverso la tagliola dello scanner nel posto di blocco dalla parte croata del confine che si trova a una manciata di chilometri dal centro di Šid. Sicuramente più della metà dei partecipanti si ferma a questo punto. Credo che questi scanner siano delle macchine a raggi X attraverso cui passano i camion, ma non sono sempre in funzione e così passare il confine, se si è fortunati, è solo una questione di qualità del cantuccio che ci si è scelti. Se invece sono in funzione, a giudicare da quanti rimandano indietro, sono degli strumenti abbastanza potenti. La polizia croata avvisa quella serba che prende in carico i ragazzi, li monta su una volante o su un furgoncino, li porta alla stazione di polizia di Šid per impronte digitali e una serie di “second time jail”, che non ha la minima pretesa di verità e in effetti non spaventa nessuno.
4) In territorio croato.
Lo scarto nel tenore delle conseguenze della squalifica balza nettissimamente in avanti. In prima istanza dal punto di vista giuridico, perché la Croazia pratica sistematicamente pushback di questi ragazzi. Questa mattina, in un attimo di pausa, ho trovato una definizione di pushback che mi è parsa molto precisa, e quindi la copincollo:
‘Pushback’ is the term used to describe the practice by authorities of preventing people from seeking protection on their territory by forcibly returning them to another country. By pushing back those seeking safety and dignity over a border, states abdicate responsibility for examining their individual cases. Pushbacks encompass the legal concept of collective expulsion, which is prohibited in Article 4 of Protocol No 4 to the European Convention on Human Rights (ECHR). This refers to the ‘prohibition of collective expulsion of aliens’, which occurs when a group is compelled to leave a country without reasonable and objective examination of individual cases.
Pushbacks violate international and EU law because they undermine people’s right to seek asylum, deny people of the right to due process before a decision to expel them is taken, and may eventually risk sending refugees and others in need of international protection back into danger. (fonte: Oxfam)
In seconda istanza perché la polizia croata si lascia andare molto, molto, molto spesso a insulti, percosse e minacce armate anche su minori non accompagnati, donne e bambini. Spesso sottraggono soldi e telefono cellulare. Chiunque venga catturato è immediatamente deportato in Serbia e, tra quelli che poi vengono a mangiare allo squat, una buona percentuale presenta contusioni, ferite o escoriazioni o lamenta dolori in varie parti del corpo. La nostra doctor ha sempre un gran daffare. Una discriminante piuttosto importante è il luogo in cui si viene arrestati. Se succede nelle vicinanze della frontiera serbo-croata alle manganellate, ai calci, agli insulti segue un rapido scarico in territorio extra-UE. Con la vicinanza della Mitteleuropa aumentano i disagi: le percosse ne guadagnano in intensità e inizia un viaggio di molte ore verso la Serbia.
Negli ultimi giorni ho parlato con diversi ragazzi che mi hanno raccontato di traduzioni sportive. Tutti i resoconti mi sono parsi non solo coerenti tra loro, ma addirittura complementari nella descrizione di massima delle abitudini delle polizia croata, e allora sono riuscito a strutturare una specie di normotipo del poliziotto croato procedendo quasi per esclusiva addizione di nuovi elementi su quelli già in mio possesso. Chiaramente questa figura, che per quanto precisa esclude i casi estremi di virtù e vizio, l’ho costruita attraverso le storie di testimoni diretti ma non disinteressati, così devo sforzarmi ogni volta di verificare minuziosamente l’attendibilità di ognuno di loro. Altro perp
etuo appunto di cui devo assolutamente ricordarmi mentre scrivo è l’obbligo assoluto a non esprimere giudizi morali ma unicamente i fattori oggettivi che mi hanno permesso di arrivare a questi giudizi. A volte divento retorico quando mi sforzo di nascondere questi giudizi ma non è mai difficile capire quando sta succedendo o sta per succedere.
Quello che un migrante che viene tratto in arresto diciamo nella campagna zagabrese può aspettarsi è: un brevissimo inseguimento a cui seguono colpi di arma da fuoco o in alternativa un Alt! sotto la minaccia sempre delle armi; una serie infinita di insulti in serbocroato (il significato di “pičku matri” ormai lo sanno anche i muri) che accompagnano le percosse a questo punto assai poco necessarie a infilare i fuggitivi dentro una camionetta in stile Fiat Ducato; certamente la confisca definitiva di sacchi a pelo, coperte e vestiti; possibilmente anche del cellulare e del denaro; un viaggio che richiede 6-7 ore e in cui non solo nessuno viene rifocillato né viene offerta acqua, ma durante il quale le condizioni all’interno del retro del Ducato sono di assoluto sovraffollamento; nella camionetta è buio. Naturalmente non mi viene proprio facile immaginare quanto prossimi ci si deve sentire a dei capi d’allevamento in piedi, feriti, al buio, affamati e disidratati, in un locale ingombro di gente che nei giorni precedenti ha dormito all’addiaccio nelle campagne e nelle foreste croate e ora probabilmente si lamenta, qualcuno ogni tanto batte i pugni sulla lamiera al di là della quale stanno le guardie, qualcun altro ha dei bisogni che non può controllare, c’è gente che vomita e in pochi svengono.
Quello che mi aspettavo da queste persone è che dimostrassero segni di acuto nervosismo o accessi d’ira. Invece arrivano così, e ti raccontano ste robe come se fossero successe al cugino di chissà chi che poi forse nemmeno esiste ma bisogna comportarsi come se ci importasse qualcosa. Scrivo questo perché inizialmente ho faticato a credere a queste storie, raccontate con eccessivo distacco, tra un discorso e l’altro, giusto per offrire una piccola esperienza personale o non far morire la conversazione. Ora invece penso che sia tutto coerente con la non eccezionalità di queste storie tutte simili, e che mi ha fatto scartare l’ipotesi delle mele marce che stanno dappertutto e quindi anche nella polizia in favore della certezza che non esistano organi effettivamente in grado di preparare i poliziotti in tema di diritti umani e affini: il problema è certamente generale.
5) In Slovenia.
Come già in Croazia le abilità più utili sono saper camminare attraverso i boschi senza farsi vedere, possedere coperta e sacco a pelo per le notti, resistere alla tentazione di avvicinarsi ai centri abitati per recuperare qualcosa. La polizia slovena è generalmente più morbida di quella croata, quindi si evitano minacce e percosse. Il problema dei pushback invece rimane: nonostante un controllo a maglie più larghe, chi viene colto è portato al confine e lì consegnato alla polizia croata, che farà lo stesso con quella serba e di nuovo allo squat. Abbiamo gente che parte per il Game e torna dopo 4-5 giorni. Il viaggio per e dalla Slovenia è abbastanza lungo e già di per sé debilitante. I ragazzi non ritentano di andare al Game per almeno almeno un giorno o due, mentre i meno granitici tendono ad aspettare anche una settimana o due. Il Game oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente.

Abbiamo bisogno di coperte, sacchi a pelo, scarpe numero 42.

 

Venerdì 14 settembre 2018

#1. Ieri sono arrivato a Šid e ho immediatamente iniziato. Non sapevo dove fosse l’appartamento dei volontari e quindi mi sono fatto accompagnare, da un ragazzo afghano che ho incrociato in stazione, direttamente allo squat. Si tratta di un edificio a 2 piani abbandonato da lungo tempo. Molte pareti sono solo mucchi di calcinacci; porte e finestre o intonaco sono inesistenti. La calce grigia dei muri che resistono, qua e là ricoperta di scritte a pennello, è più o meno tutto quello che si vede. Solo dal pavimento, in cui alcune piccole zone del rivestimento superficiale ancora si intravedono, e dal poco che si può capire della planimetria, si può azzardare l’ipotesi che l’edificio fosse un tempo una scuola o un qualche tipo di di ufficio pubblico. Ieri, quando sono arrivato, ho conosciuto due volontari di No Name Kitchen nel mezzo del turno docce: da mezzogiorno alle cinque, si porta l’acqua allo squat, si aziona una pompa, si montano due tende per un minimo di privacy e così, all’interno di un locale esterno a cui manca la parete che dà sul giardino e dove l’acqua delle docce dei giorni precedenti (si fanno due turni a settimana) ristagna in una pozza maleodorante, le persone possono lavarsi. Nello squat, di questi tempi, vanno e vengono giornalmente 70-80-90-100 persone. Un po’ dipende dalla polizia di frontiera croata, un po’ da quello che succede a Belgrado e alla rotta bosniaca. Gli arrivi, come ho potuto notare qualche ora più tardi, sono costanti. Delle partenze sappiamo poco, oltre a qualcuno che promette “tonight i go to the Game” – che significa infilarsi sotto i camion più grandi per cercare di passare sotto il naso dei doganieri serbi e croati del posto di blocco. È anche difficile capire quando manca qualcuno. Ovviamente non facciamo appelli, e con 70+ persone diventa più facile rendersi conto delle facce nuove che non di quelle che mancano.

Venerdì 14 settembre 2018

L’ANTIRAZZISMO OGGI È LOTTA AI CPR!

Il 18 ottobre 1938, il governo fascista promulgava le leggi razziste. Nel 2018, i governi democratici ne hanno ereditato il mandato, segregando in centri di detenzione le persone senza documenti.

A Gradisca, vogliono iniziare i lavori per la trasformazione del CARA (ex-CIE) in CPR, Centro Permanente per il Rimpatrio.

I CPR – come già CIE e CPT – sono dei lager. Le persone vengono imprigionate per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno. Le condizioni di vita dentro i CPR sono pessime. Il loro mantenimento (costosissimo!) arricchisce cooperative e imprese speculatrici.

Formalmente, le persone vengono rinchiuse per essere rimpatriate. In realtà, la finalità dei CPR è rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità.

Secondo il decreto Minniti-Orlando, ci deve essere un CPR in ogni regione, ma in FVG, il presidente Fedriga vuole aprire un CPR in ogni provincia.

A Gradisca, il contratto con la cooperativa Minerva – nota per maltrattare le persone nel CARA – scade a fine 2018. In queste settimane sono iniziati trasferimenti di persone dal CARA di Gradisca e stanno per cominciare i lavori per  dibirlo a CPR. Il cantiere – che vale quasi 3 milioni di euro – è stato affidato al genio militare, saltando la gara d’appalto, come se si trattasse di un’emergenza.

Ci opponiamo e ci opporremo totalmente alla creazione e all’apertura di un CPR e sappiamo che unendoci, organizzandoci e coordinandoci tra tutte/i le antirazziste/i e le/i solidali della regione possiamo bloccarne l’apertura.

Assemblea NO CPR – no frontiere

Qui il link per scaricare la versione stampabile:  CPR leggi razziste

COS’È UN CPR E PERCHÉ CI OPPONIAMO

CHE COS’È UN CPR?

CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.

Il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) prevede l’apertura di un CPR per regione. In FVG, dovrebbe essere riaperta la struttura di Gradisca d’Isonzo, ex caserma convertita in CIE nel 2006 e chiusa nel 2013, grazie alle rivolte di chi vi era rinchiuso.

Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono costrette in stato di reclusione persone non comunitarie che vengono ritrovate prive di documenti regolari di soggiorno oppure già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno, perché scaduto o perso. Spesso le persone diventano irregolari perché scade il visto turistico o di studio, perché perdendo il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno o perché si sono viste rigettare la richiesta di asilo politico.

Il trattenimento può durare fino a 90 giorni, che diventano 120 giorni se la persona è già stata detenuta in carcere o 12 mesi nel caso la persona detenuta in CPR inoltri una domanda di asilo.

FUNZIONE UFFICIALE

In teoria, lo scopo dei CPR è trattenere una persona ai fini dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, cioè del rimpatrio nel Paese d’origine. I centri dovrebbero quindi garantire l’effettiva espulsione di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia. Di fatto, nel corso dei vent’anni di esistenza di queste strutture, il tasso di rimpatrio si è sempre attestato attorno al 50% dei/delle reclusi/e. Nel complesso, si parla di numeri che non hanno nessuna incidenza reale sul fenomeno del soggiorno irregolare in Italia. Tuttavia, rappresentano un considerevole business per le cooperative e aziende che speculano sulla loro esistenza.

Nonostante la loro inefficienza rispetto allo scopo che si prefiggono (il rimpatrio delle persone “irregolari”), la loro funzione rimane assolutamente inaccettabile per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. Ne sono prova i numerosi casi di scioperi della fame e autolesionismo – nei CPR ad oggi aperti – per evitare il momento del rimpatrio.

FUNZIONE EFFETTIVA

I CPR, come già i CIE e i CPT, servono per rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità, con un duplice risultato: da un lato impedire qualsiasi tipo di rivendicazione da parte di chi potrebbe potenzialmente essere rinchiusa/o; dall’altro, potenziare una segregazione razziale nelle leggi, con conseguenze sull’immaginario collettivo. I CPR si configurano infatti come un non-luogo dove alcune persone possono essere private della libertà senza che abbiano commesso alcun tipo di reato penale (contrariamente all’ordinamento costituzionale italiano) a causa principalmente del loro luogo di nascita. Sono dispositivi di controllo che instaurano una differenza tra cittadini/e dotati/e di diritti e garanzie, e non cittadini/e che di tali diritti e garanzie possono essere privati/e, potenziando e contribuendo a mantenere operativa tra gli esseri umani una gerarchia globale basata su razzializzazione, classe e passaporto, con le tragiche conseguenze a cui questo sta portando e ha già portato nella storia.

I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a fare credere ai cittadini italiani che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.

I CPR creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passato/a e da chi si è opposto/a alla loro esistenza.

LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR

In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio da parte dei migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica trasversale, che da vent’anni definisce e affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando la libertà di muoversi per cambiare le proprie condizioni di vita alle persone considerate indesiderabili.

Oggi la richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese d’origine economicamente indesiderato. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e anche i permessi per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.

Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera incessantemente i problemi che in teoria dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.

Dovremmo chiederci in caso cosa sta portando molte persone a migrare e riconoscere e le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e condizioni di vita dei Paesi sfruttati economicamente ed energeticamente.

RIBELLIAMOCI AL RAZZISMO

È necessario uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza da risolvere e abbattere l’immaginario che ammette lo/la straniero/a solo in quanto profugo/a.

L’attuale sistema ha come principale risultato la costruzione di soggetti fragili, marginali, detentori di diritti precari e di serie B. A trarne vantaggio è prima di tutto chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, che ha un’arma in più per imporre salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.

Per questi motivi ci opponiamo all’apertura del CPR a Gradisca d’Isonzo e pretendiamo l’abolizione definitiva delle strutture su tutto il territorio italiano, affermando l’urgenza di contrastare il discorso politico razzista e securitario di cui i CPR sono un esempio.

…ORA!

In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia.

Inoltre, sta contemporaneamente militarizzando sempre più il confine triestino, con la possibilità che la pratica dei push-backs (respingimenti immediati illegali oltre il confine europeo senza permettere la richiesta d’asilo) – già sistematica e violenta in Slovenia e Croazia – si estenda anche in Italia.

Il pacchetto sicurezza statale, in procinto di essere discusso a settembre 2018, prevede l’aumento del numero di CPR, della loro capienza, della durata massima della detenzione nonché l’aumento della lista dei reati che portano alla perdita del permesso di soggiorno e quindi al potenziale internamento.

L’apertura del CPR di Gradisca di Isonzo sembra quindi essere un primo passo di un progetto razzista più ampio a cui crediamo sia determinante porre resistenza al più presto, perchè non diventi operativo.

Per tutto ciò sentiamo la responsabilità urgente di unirci ed organizzarci in regione tra persone per mettere in atto una resistenza concreta al razzismo e a chi lo perpetua, in solidarietà con chi migra e chi ne sta già vivendo le conseguenze più aspre.

SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE! NESSUN CPR APRIRÀ!

Qui il link per scaricare la versione stampabile: COS’È-il-CPR-04-09-2018

21/08 e 08/09 -ASSEMBLEA PUBBLICA e PRESIDIO CONTRO L’APERTURA DEL CPR

Il decreto Minniti-Orlando (https://bit.ly/2mbNZsQ) sulla protezione internazionale e l’immigrazione (2017) prevede, tra le altre cose, l’estensione della rete dei centri di detenzione di migranti “irregolari”. I Centri permanenti per il rimpatrio (CPR) sostituiscono i CIE (Centri di identificazione ed espulsione), aumentandone il numero: l’obiettivo della legge è la creazione di 20 CPR (uno per regione), per un totale di 1.600 posti.
I CPR – come già i CIE e i CPT – sottopongono a regime di privazione della libertà per il solo fatto di non possedere un permesso di soggiorno. Chi viene rinchiuso nei CPR si trova in uno stato di detenzione, privata/o della libertà personale e sottoposta/o ad un regime di coercizione, subendo giornalmente vari tipi di soprusi da parte dei dipendenti delle cooperative e delle imprese che gestiscono e speculano sui CPR.
La finalità della reclusione nei CPR è formalmente il rimpatrio, opzione inaccettabile per chi si è trovata/o costretta/o a giocarsi la vita per attraversare frontiere; più in generale, la finalità dei CPR è rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità.
Attualmente sono 5 i CPR aperti in Italia: Bari, Brindisi, Ponte Galeria (Roma), Palazzo San Gervasio (PZ) e Torino. In alcune città dove si intende aprire un CPR – come Montichiari (BS) e Modena – le persone migranti e native stanno creando reti di opposizione e mobilitazioni sul territorio per impedirne l’apertura.
In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia (qui: https://bit.ly/2KhwBN7). Tuttavia la scelta di dove aprire il primo è per ora ricaduta su Gradisca d’Isonzo, dove c’è un ex CIE oggi parzialmente utilizzato come CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati). Il CPT/CIE di Gradisca, noto per essere tra i più terribili, era stato aperto nel 2006 e chiuso nel 2013 grazie alle rivolte portate avanti dai migranti rinchiusi al suo interno.
In queste ultime settimane sono iniziati trasferimenti di persone dal CARA di Gradisca di Isonzo e sono parzialmente cominciati i lavori per adibire la struttura a CPR. Il cantiere è stato direttamente affidato, per un importo pari a 2.750.000.000 euro, al 1° Reparto del Genio dell’Aeronautica Militare, saltando i tempi delle gare d’appalto ed enfatizzando la retorica emergenziale e la pratica di guerra al migrante (vedi qui: https://bit.ly/2LJJkgX).
La gestione dell’attuale CARA da parte della cooperativa Minerva, nota per i subdoli mal-trattamenti riservati dai suoi operatori ai richiedenti asilo (LINK VIDEO), scadranno a fine 2018. Gli accordi attuali tra Comune di Gradisca e Regione sono che a quel punto verrà chiuso il CARA ed aperto il CPR ad inizio 2019.
Ci opponiamo e ci opporremo totalmente alla creazione e all’apertura di un CPR  e sappiamo che unendoci, organizzandoci e coordinandoci tra tutte/i le antirazziste/i e le/i solidali della regione possiamo bloccarne l’apertura. Per questo dopo due partecipati incontri in-formativi organizzati a Trieste contro il CPR lanciamo ora due ulteriori appuntamenti in preparazione di una prima manifestazione regionale. Invitiamo inoltre tutte le realtà e le persone antirazziste in regione ad agire nelle varie città in questo senso.

MARTEDÌ 21 AGOSTO h.19:00: Assemblea informativa e dibattito aperto su come opporci al progetto CPR. C/O Bivacco in Piazza Goldoni.

SABATO 8 SETTEMBRE:
– h. 17:00: PRESIDIO CONTRO L’APERTURA DEL CPR IN PIAZZA UNITÀ D’ITALIA (TRIESTE).
– H. 20:00: ASSEMBLEA REGIONALE PER COORDINARE ATTIVITÀ NELLE VARIE CITTÀ IN PREPARAZIONE DI UNA PRIMA MANIFESTAZIONE A GRADISCA  CONTRO L’APERTURA DEL CPR.
— portati dove sederti ! —

Coordinamento No CPR e no Frontiere