“Mentre il colono o il poliziotto possono, per intere giornate, picchiare il colonizzato, insultarlo, farlo mettere in ginocchio, si vedrà il colonizzato tirar fuori il coltello al minimo sguardo ostile o aggressivo di un altro colonizzato. Poiché l’ultima risorsa del colonizzato è di difendere la sua personalità di fronte al proprio simile […] il colonizzato tenta di persuadersi che il colonialismo non esiste, che tutto si svolge come prima, che la storia continua. Qui afferriamo in piena luce, al livello delle collettività, quei famosi comportamenti elusivi, come se il tuffo in quel sangue fraterno permettesse di non vedere l’ostacolo, di rimandare a più in là l’opzione pure inevitabile, quella che sfocia nella lotta armata contro il colonialismo. [..] Tutti quei comportamenti sono riflessi di morte di fronte al pericolo, comportamenti-suicidio che permettono al colono, la cui vita e il cui dominio risultano tanto più consolidati, di verificare nella stessa occasione che quegli uomini non sono ragionevoli.” Franz Fanon, I dannati della Terra (1961)
Questi ultimi aggiornamenti ruotano anche attorno alla figura degli operatori della cooperativa Ekene, attuale gestore del CPR di Gradisca. Diversi dei suoi “lavoranti” sono di origine marocchina, la cosa può forse stupire. Come puoi lavorare dentro un lager etnico che detiene brutalmente i tuoi compaesani? Oggi lavori con noi, domani puoi stare dell’altra parte. Comportati bene.
La “zona grigia” della macchina deportativa, il campo dei padroni e quello dei servi, i burocrati nelle ASL e nei tribunali, i secondini nelle carceri, gli operatori nei CPR. Il sistema di annichilimento e tortura offre a chiunque la possibilità di ottenere per sé anche una piccola fetta di profitti e tranquillità che esso genera.
Ci vengono in mente le parole che Fanon scrive durante la sua militanza nella lotta di liberazione in Algeria. Vedi Franz, i colonizzati nel frattempo hanno fatto il loro ingresso nelle aree metropolitane dell’Occidente a rinfoltire le fila degli schiavi del capitale, a fungere da fondamentali capri espiatori per la propaganda securitaria di stato e – in compagnia di sempre più ampie e diverse categorie di popolazione – per i continui salti in avanti repressivi necessari alla tenuta dei sistemi a regime democratico. Così fino ad arrivare, in qualità della loro condizione di ultimi fra gli sfruttati, a costituire reali o potenziali minacce interne alla sopravvivenza delle “società opulente”. Questo il colono non lo può accettare e ha creato per i decolonizzati dei campi per la deportazione volti a rispedire alcuni di loro nel proprio paese d’origine, approntando al contempo tutto un armamentario legislativo-poliziesco di ricatto, dissuasione e controllo volto alla loro selezione come forza-lavoro, gestione in termini di “eccedenze”, repressione e – sempre più spesso – eliminazione quando si dimostrino irriducibili all’ordine stabilito per loro. Tra questi paesi, anche l’Algeria. Ti stupisce, Franz? Forse no.
La guerra fratricida che descrivi accadeva ieri e continua ad accadere. Qualche giorno fa abbiamo portato 9 pacchi dentro al CPR, in questi giorni ci erano arrivate diverse lamentele per il cibo, è immangiabile. Fa così schifo che viene lasciato per terra.

Un piccolo, minimo, atto di solidarietà è anche quello di portare del cibo decente – libero dagli psicofarmaci continuamente somministrati anche in maniera coatta all’interno dei pasti – a chi è dentro.
Durante la distribuzione dei pacchi ai vari detenuti un prigioniero è stato picchiato da due operatori di origine marocchina.
Che pericolo potrà dare un uomo con la maglia strappata, incazzato perché picchiato mentre prendeva ciò che gli spetta? Il normale rapporto nel CPR resta quello con le squadre di celerini in tenuta antisommossa. Come accade da anni, come per esempio accaduto con Vakhtang.
Ti lamenti? Eccoci, pronti a farti tacere.
Un altro episodio di guerra fratricida, del “difendere la sua personalità di fronte al proprio simile” ci arriva in questo video. I reclusi lanciano delle arance verso i lavoranti attraverso le gabbie: reagiscono alla quotidiana miseria, verso gli stessi operatori che la amministrano.
Mercoledì 21 maggio un prigioniero nell’area blu cade nel bagno preparandosi per fare la preghiera, ha un forte dolore alla gamba. Il copione è lo stesso, silenzio, viene chiesta da dentro l’ambulanza più volte, non è mai arrivata. Solo dopo ore si degnano di guardare cosa è successo.
Ci fanno sapere di diversi atti di autolesionismo, messi in atto per la semplice richiesta di essere ascoltati, e diversi fuochi. Ci raccontano ancora di un ennesimo pestaggio da parte dei lavoranti a danno di un recluso, per un pacchetto di sigarette. Ieri sera, lunedì 26 maggio, grandi fuochi si sono alzati nelle celle dell’area blu. La polizia in assetto antisommossa è intervenuta, come sempre, duramente: un recluso è svenuto per i colpi inferti, sono passate diverse ore prima che lo portassero in infermeria.
Durante il presidio dello scorso venerdì 23 maggio, nell’area blu c’è stata un battitura. Anche se quel muro sembra apparentemente invalicabile, la solidarietà tra dentro e fuori si rafforza.
Chiedono da dentro che la loro storia venga raccontata, perché i CPR non devono esistere. Punto.
SOLIDARIETA’ AI RIVOLTOSI e AI COLONIZZATI CHE SI RIBELLANO
TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE