MISURE FASCISTE CONTRO LA SOLIDARIETÀ:
I FOGLI DI VIA NON CI FERMERANNO, LIBERE TUTTE, LIBERI TUTTI!
Nelle scorse settimane quattro militanti dell’assemblea NO CPR – NO Frontiere FVG sono stati raggiunti da altrettanti fogli di via dal territorio comunale di Gradisca d’Isonzo. La “scusa” ufficiale per un simile provvedimento risale al 9 dicembre scorso quando i carabinieri di Gradisca fermavano e trattenevano in caserma per oltre un’ora e mezza i quattro, per poi rilasciarli con copia della richiesta indirizzata al Questore di Gorizia del foglio di via per aver presuntamente tentato di scattare delle foto dall’esterno del CARA (allora il CPR non era aperto né era nota la data d’apertura).
Il foglio di via è una misura amministrativa che in base all’articolo 2 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 intitolato “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” inibisce l’accesso al territorio comunale pena l’arresto da uno a sei mesi. Si tratta di una limitazione della libertà personale che viene imposta non per aver commesso un reato, ma per _prevenire_ che esso possa essere commesso da una persona che i rappresentanti dello Stato (questori) ritengono “pericolosa”.
La pretestuosità della misura è evidente dal momento che il CARA non è certo una struttura segreta: immagini e riprese della struttura sono continuamente pubblicate dai media. Ma l’evidenza diventa ancora maggiore se si tiene presente che la misura è stata comminata dal questore il 13 gennaio, cioè due giorni dopo il corteo indetto dall’assemblea No CPR – No Frontiere che, passando davanti il CPR ha instaurato il primo dialogo con i reclusi, i quali hanno così potuto rendere pubbliche le tremende condizioni in cui sono costretti e, la settimana seguente, i pestaggi.
Per questi motivi, l’intento di intimidire e dissuadere chi tenta di solidarizzare con i reclusi e svelare la disumanità di una prigione etnica quale è il CPR è del tutto evidente.
Peraltro l’utilizzo di misure amministrative per reprimere il dissenso in Italia è un fatto sempre più frequente. Sin dal cosiddetto “pacchetto sicurezza “, L125/2008, del Ministro Maroni che da ai Sindaci “sceriffi” la possibilità di legiferare in delega allo Stato su questioni di sicurezza, passando per il decreto Minniti sulla “sicurezza urbana” del 2017, nell’ordinamento italiano sono state progressivamente introdotte sempre maggiori possibilità per colpire con misure amministrative immediatamente esecutive ogni forma di resistenza e dissenso. Proprio per il loro carattere amministrativo si tratta di misure che sono impartite delle autorità senza un processo e un giudizio di merito, e molto spesso comportano sanzioni pecuniarie, che si rivelano più efficaci di quelle penali nel colpire soggetti a basso reddito, precari e studenti, cioè esattamente i principali protagonisti delle lotte sociali.
Crediamo vada sottolineato il legame tra l’utilizzo di queste misure e la legge Turco-Napolitano del 1998, che istituiva i centri per l’espulsione dei migranti (i quali nel corso del tempo hanno cambiato nome in CPT, CIE, CPR). Proprio l’aver introdotto nell’ordinamento giuridico la detenzione amministrativa per i cittadini stranieri, che possono venir privati della libertà personale e rinchiusi nei CPR con un semplice atto disposto dal Questore, convalidato poi da un Giudice di Pace senza un giudizio di merito da parte di una corte, ha creato il precedente utile per estendere progressivamente a tutti e tutte misure amministrative di limitazione della libertà.
Ma questo legame diviene ancora più inquietante se lo si guarda da un’altra ottica: il “foglio di via obbligatorio” è uno dei “rimasugli” che sono ancora in vigore nell’ordinamento italiano di quelle che erano le “misure di sicurezza” previste dal mussoliniano codice Rocco del 1930 per colpire gli oppositori politici del regime. Ecco quindi che a chi lotta contro l’esistenza di prigioni etniche nel nostro paese, cioè istituzioni che di fatto sono assimilabili ai lager del secolo scorso, vengono applicate norme fasciste che esattamente a quel periodo risalgono.
Allora diviene chiaro che costruire la solidarietà con i reclusi nel CPR così come con chi viene colpito dalla repressione significa difendere la libertà di tutti e tutte.