ESSERCI, DOMANI, SIGNIFICA RISPONDERE CHE A NOI SÌ INTERESSA.
Per la chiusura di tutti i CPR. Per Vakhtang.
“La morte di del Sig. Stefano Cucchi è addebitabile ad un quadro di edema polmonare acuto […] intimamente correlata all’evento traumatico occorso” citava la perizia sull’autopsia di Stefano Cucchi. “Non è morto per le botte è morto per un’edema polmonare acuto” titolavano tutti i giornali riguardo alla morte di Vakhtang ad inizio settimana, dopo le indiscrezioni fatte uscire, con intelligenza, sull’autopsia. Queste indiscrezioni hanno permesso di chiuderel’interesse mediatico scoppiato la settimana scorsa per la morte di Vakhtang e per i lager CPR. “A chi volete che interessi il destino di un migrante morto?” ha commentato la sorella di Vakhtang nel dolore.
La risposta alla sua domanda sta in ognuna di noi.
Domani ci sarà un corteo a Gradisca che arriverà davanti al CPR. Da lì speriamo di riuscire a parlare con i detenuti, poi mangeremo e cercheremo di inviare della musica dall’altra parte delle mura. Nei presidi delle ultime settimane siamo riuscite a comunicare con chi era rinchiuso nel CPR e a farci raccontare la situazione al suo interno. È grazie a quelle comunicazioni che sono uscite le testimonianze sulla morte di Vakhtang e che si è iniziato a parlare di CPR.Se siamo in tante, domani, riusciremo anche questa volta. Se siamo in poche, forse, ci manderanno via.
I CPR sono i luoghi più razzisti che esistono sul territorio italiano. Il CPR di Gradisca, come tutti gli altri, deve chiudere.
I reclusi al suo interno hanno rischiato e (molti) ottenuto la deportazione pur di far uscire le loro voci sulla morte di Vakhtang, essere li fuori domani è la responsabilità minima che ognuno di noi deve prendersi, dopo averle sentite.
Sarà una giornata di pioggia in cui nessuno avrà voglia di uscire di casa. Beh, fatelo lo stesso, non sarà un giorno normale. Non troviamoci in poche in strada.
Per Vakhtang, che chiudano tutti i CPR e che vengano liberate le persone che vi sono rinchiuse.
Chiediamo aiuto per una massima diffusione del corteo.
Ieri moltissimi mezzi d’informazione davano grande risalto alla notizia che sono escluse le percosse dalle cause della morte di Vakhtang Enukidze. Questo sulla base di indiscrezioni fatte trapelare da avvocati e medici prima degli esiti ufficiali dell’autopsia sul corpo. Si tratta degli stessi mezzi d’informazione che il 15 gennaio titolavano che la causa della morte era da imputare a una rissa tra detenuti. A detta dell’avvocato che sta seguendo il caso, l’autopsia ha rilevato che la causa della morte è stato un edema polmonare. Ma quali sono state le cause di quell’edema? Davvero non c’entrano niente le botte ricevute qualche giorno prima?
Noi sappiamo, perché ce l’hanno detto i suoi compagni di prigionia rischiando di essere puniti e deportati, che Vakhtang è stato picchiato duramente, che ha battuto la testa nell’ultimo pestaggio e che è stato trascinato via per i piedi «come un animale». Sappiamo che ha chiesto aiuto «con la bava alla bocca» per più di un giorno, senza essere soccorso, per poi morire. Sappiamo, dalla testimonianza della sorella, che Vakhtang era stato sovraccaricato di medicine dal giorno del suo arrivo. Sappiamo che almeno cinque testimoni del pestaggio sono stati frettolosamente deportati nei loro Paesi d’origine nei giorni immediatamente successivi alla morte. Sappiamo che dentro il Cpr, dopo la morte di Vakhtang, è avvenuta un’operazione di “bonifica”: sono stati sequestrati i telefoni dei detenuti tramite i quali erano filtrate le prime testimonianze sul pestaggio di Vakhtang; sappiamo anche che dentro i Cpr le telecamere dei cellulari vengono sistematicamente distrutte all’entrata. Sappiamo che dentro i Cpr le violenze delle guardie sono quotidiane.
Sappiamo tutto questo, e per questo non accettiamo questa ultima versione riportata dai giornali, che non considera le circostanze della morte di Vakhtang. Se una persona muore mentre è nelle mani dello Stato, in un luogo già in sé violento e oppressivo, sedata da un sovraccarico di farmaci, dopo aver subito un pestaggio da parte delle cosiddette forze dell’ordine, dopo aver atteso i soccorsi per più di 24 ore, lo Stato e le guardie del Cpr sono responsabili di quella morte. A fronte dello sforzo mediatico per oscurare le circostanze della morte di Vakhtang e risolvere il caso appellandosi a un problema dell’apparato respiratorio, noi ripetiamo che Vakhtang è un morto di Stato.
Tuttavia, noi non siamo contro i Cpr perché sono strutture gestite male o perché i reclusi hanno pochi diritti, e nemmeno perché sono luoghi dove si può morire senza ricevere cure mediche, com’è successo a Vakhtang. Siamo contro i Cpr in sé, perché sono luoghi di morte anche quando non muore nessuno, perché fanno parte di un sistema massacrante che crea gerarchie tra le persone a seconda di dove sono nate.
Il 18 gennaio è morto Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano di 37 anni. Era recluso nel CPR di Gradisca e il CPR l’ha ucciso.
Mentre la stampa ufficiale e la procura hanno ricondotto sbrigativamente le cause del decesso a una rissa tra detenuti, i suoi compagni di prigionia raccontano come invece Vakhtang sia morto ammazzato di botte da parte delle forze dell’ordine all’interno della struttura.
Il CPR di Gradisca ha riaperto il 17 dicembre, dopo l’aggiudicazione dell’appalto alla cooperativa veneta Edeco, già nota per la gestione del “campo-lager” di Cona (VE). La stessa cooperativa è anche al centro di indagini giudiziarie per maltrattamenti, corruzione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta e falso, frode nelle pubbliche forniture. In questo primo mese, a Gradisca si sono già verificati rivolte, tentativi di fuga, fughe, violenze, atti di autolesionismo e tentati suicidi. Fino alla morte di Vakhtang Enukidze, a poche ore dal suo previsto rimpatrio in Georgia.
Come Assemblea No Cpr No Frontiere siamo in contatto diretto con alcuni dei reclusi e ne stiamo raccogliendo le testimonianze dirette, che parlano di continue violenze e pestaggi da parte della polizia, rivolte in particolare a chi cerca di rendere note le condizioni all’interno del centro e gli eventi che hanno portato alla morte di Vakhtang. Diversi testimoni oculari sono stati rimpatriati in questi ultimi giorni, con una solerzia che è difficile ritenere casuale.
È fondamentale spezzare l’isolamento e contribuire a far sentire la voce delle persone recluse, perché siano chiare le responsabilità istituzionali nella morte di Vakhtang Enukidze, perché il silenzio non avvolga le violenze e i soprusi quotidiani all’interno del lager.
Rifiutiamo l’esistenza di una struttura che, essendo fondata sulla violenza repressiva, non può che generare altra violenza, oppressione e morte. Perché ognun@ possa essere liber@ di essere chi vuole e dove vuole, è necessario che tutti i muri contenitivi cadano. Trovate le testimonianze dei reclusi nel blog nofrontierefvg.noblogs.org e sulla pagina fb “no cpr e no frontiere – fvg”. [nofrontiere.noblogs.org]
PROGRAMMA DELLA GIORNATA
h. 11:00 Ritrovo davanti al centro commerciale La Fortezza
corteo davanti al Cpr
pranzo sociale (porta qualcosa!)
concerto dei Minoranza di uno (punk hc), in solidarietà con le persone recluse.
Tutta la giornata a Gradisca sarà contro il Cpr e per Vakhtang. Seguiranno info su altre attività.
Per la chiusura di tutti i Cpr e la liberazione di tutti i reclusi e le recluse!
???? Giovedì 30 dicembre: presidio seguito da corteo a Trieste ???? Sabato 1 dicembre: intera giornata di azioni e mobilitazioni davanti al CPR di Gradisca.
Ieri notte vi sono state delle rivolte e tentativi di fuga dal CPR, oggi dovevano riconsegnare i cellulari e non lo hanno fatto. Qualcuno ha cercato di comunicare oltre le mura, ma sembra la polizia non permettesse alle persone di parlare. La settimana di azioni e mobilitazioni per ????la chiusura di tutti i CPR ????la libertà immediata di tutti coloro che vi sono rinchiusi ???? per Vakhtang
sarà ricca e presto pubblicheremo aggiornamenti.
ATTENZIONE!! Quando la verità dev’essere insabbiata – parte 3 –
Oggi alle 4 di mattina nuova deportazione a sorpresa di un testimone. Era in Italia da 24 anni. Era tra coloro che coraggiosamente domenica durante il presidio aveva parlato con noi e lunedì con una delle delegazioni entrata nel CPR.
Qui quello che ci racconta e che concorda sia diffuso. Le voci sono state modificate per tutelare tutti.
Che chiunque faccia qualcosa perché tutti i CPR chiudano e tutte le persone in essi rinchiuse vengano liberate. Per Vakhtang.
SBOBINA:
-Pronto, mi senti?
-Sono il ragazzo che ha parlato da CPR
-Si, si, so che sei tu
-Niente, ho preso espulsione, adesso sono in mio paese.
-Adesso sei già tornato nel tuo paese?
-Sì, mi ha trasferito quando [non si capisce] testimoniato
-Ti hanno già, ti hanno già rimpatrieato?
-Sì sì, stamattina alle 4 son partito fino a Monaco e da Monaco poi su XXX
-Ok, ma senti una cosa, prima di partire ti hanno fatto parlare con qualcuno per dire cos’hai visto?
-Sì, c’erano i parlamentari lì, di Roma che sono venuti
-Ok, sì quello so che son venuti. Loro anche, alcuni stanno dicendo quello che dite anche voi.
eh però però altri continuano a dire che non è vero
-Eh, loro negano e tutto che lui è morto ambulanza però lui è morto lì.
-Sì
-Al Cpr è morto lui
-Ho capito
-Perchè io l’ho visto venerdì e poi sta [quella]notte era già..
-Stava guà malissimo
-Mm. Poi domenica c’hanno picchiati con le spranghe e tutto, ci hanno spinto per ritirarci i telefoni che hanno visto sui giornali le foto e tutto
-Mannaggia.. questo domenica sera, no?
-Mh
-Ok. E infatti..
-Per quello che non riuscivo io a mandare a voi niente, mi avevano preso telefono e tutto, perquisito tutto, buttato i vestiti per terra
-Ok
-Sì e infatti dentro non li hanno ancora restituiti i cellulari, sono ancora tutti senza, noi non riusciamo a parlare con nessuno
-Stanno ancora bruciando i vestiti e tutto, materassi, vogliono [incomprensibile]
-Ho capito, ho capito. E tu come stai?
-Eh, un po’..dopo 24 anni che ero in Italia, adesso entrare qua, mi sento malissimo
-E’ difficile..
-Mh. Cioè sono giovane e tutto, posso ricominciare tutto da capo, però se non conosci nessuno hai niente
27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE IN ESSI E PER VAKHTANG.
Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle forze dell’ordine all’interno del CPR di Gradisca.
Ce l’hanno raccontato i reclusi, quella stessa notte del 18 gennaio, quando siamo andate sotto le mura del CPR a parlare con loro, avendo saputo della morte di una persona.
Ce l’hanno gridato, chiamandoci e inviandoci video, con il coraggio di chi sapeva che nessun altro, se non loro, avrebbe fatto uscire quello che era realmente successo lì dentro.
La Questura e la Procura hanno fatto di tutto, fin dall’inizio, per liquidare la sua morte: “migrante morto per rissa” titolavano i giornali il giorno seguente alla pubblicazione della prima notizia da parte di Melting Pot.
Siamo riuscite a far uscire quelle voci, come altrove fanno da anni altri solidali, e da tutta Italia tante persone hanno ascoltato le testimonianze e ci hanno creduto. Anche il giorno successivo, domenica 19, siamo tornate in tante davanti al CPR, mentre i detenuti ci chiamavano, sottraendosi ai pestaggi che – ci dicevano – venivano riservati a chiunque parlasse con chi era fuori. Le direttive sembravano chiare: nessuno doveva più riuscire a comunicare con l’esterno. La notte hanno cercato di sequestrare tutti i cellulari, una “bonifica” che la procura ha giustificato “ai fini dell’indagine”. Quella stessa notte, a sorpresa, un deputato ed un avvocato si sono presentati in visita al CPR, trovando le forze dell’ordine in assetto antisommossa che parlavano del sangue presente nella struttura.
La stampa ha iniziato a riportare la versione dei compagni di Vakhtang: per un giorno è uscito che qualcuno diceva fosse stato ammazzato di botte, un “Cucchi” straniero e non in carcere. Prontamente il procuratore ha dichiarato che erano “tutte illazioni” e il 21 alle 4 di mattina sono stati deportati in Egitto, senza che nessuno lo sapesse, i tre compagni di cella di Vakhtang, che erano tra coloro che si erano detti disponibili a testimoniare. Questo è il modo in cui la “procura sta indagando”, come ci dicono i giornali.
Quando la verità di chi aveva assistito è iniziata a filtrare, la stampa ha iniziato a etichettare l’assemblea che sta diffondendo le voci dei reclusi come gruppo di ultras e incitatori di rivolte -come se le rivolte necessitassero d’incitazione dall’esterno-, cercando di delegittimarla. In contemporanea, si sono seguiti molteplici tentativi di minare la credibilità dei reclusi. Vakhtang è stato descritto come violento, tossico e autolesionista, forse sperando che in questo modo l’empatia verso la sua morte si esaurisse. I reclusi in generale sono stati definiti stupratori, spacciatori, criminali.
Vakhtang era una persona, viva, con i propri sogni, rinchiusa in un girone infernale creato da leggi razziste. I reclusi e le recluse in tutti i CPR d’Italia sono persone, rinchiuse dentro lager esclusivamente per non avere i documenti in regola.
Nei CPR in Italia ci sono alcune centinaia di persone e non sempre la reclusione si conclude con la deportazione, spesso le persone vengono liberate con un “foglio di via” che le costringe a vivere in stato di clandestinità.
Le persone deportate, invece, si ritrovano costrette nel loro Paese d’origine senza la possibilità di tornare in Italia, dove hanno vita e affetti, ricondotte al punto di partenza di un viaggio terrificante già affrontato. La minaccia della deportazione è la più grande che una persona non comunitaria possa ricevere: i CPR, teatri di abusi e peggiori delle carceri, servono a rendere reale quella minaccia. Tutto ciò è utile affinché le persone debbano accettare condizioni di lavoro disumane, pur di mantenere un contratto, vincolato al permesso di soggiorno.
La legalità farà il suo corso, perché delle persone vi si dedicheranno, e forse un giorno qualcuno sarà giudicato colpevole. Adesso, però, spetta a noi non permettere che l’omicidio di Vakhtang passi sotto silenzio e fare il possibile perché tutti i CPR chiudano per sempre.
Incoraggiate dalla risposta solidale ricevuta da tutta Italia, lanciamo una chiamata per una settimana di azioni e mobilitazioni per la chiusura di tutti i Cpr, per la liberazione immediata delle persone rinchiuse in essi e per Vakhtang.
Invitiamo quindi tutti i singoli, le assemblee, i gruppi, le associazioni, le organizzazioni, i comitati a fare il possibile verso lo stesso obbiettivo. Convinti che ognuno possa esprimere la sua rabbia e il suo dissenso nel modo che ritiene opportuno, pensiamo ora sia il momento di farlo.
Che chiunque si organizzi nel luogo dove vive. Facciamo in modo che questi luoghi infernali chiudano.
-se volete inviarci le iniziative o azioni per ricapitolarle in un futuro potete scrivere a : nocprnofrontieretrieste@riseup.net –
????????AGGIORNAMENTI!!???????? Ci è stato riferito dall’interno e poi è stata confermata la notizia da fonti ufficiali che IERI ALLE 4 DI MATTINA sono stati prelevati dalle celle e ????RIMPATRIATI???? tre ragazzi egiziani che avevano parlato agli avvocati riguardo all’omicidio di Vakhtang. ERANO I SUOI COMPAGNI DI CELLA. Sembra vogliano far sparire tutti i ????TESTIMONI???? e intimorire chiunque si era reso disponibile a testimoniare sull’omicidio. Da dentro alcune persone ci dicono di aver paura di essere deportate. Hanno anche sequestrato i telefoni.
CHE CHIUNQUE FACCIA QUALCOSA PERCHÈ TUTTI I CPR CHIUDANO E PERCHÈ LA MORTE DI VAKHTANG NON VENGA INSABBIATA.
Domenica 19 gennaio, durante il presidio, mentre comunicavamo da una parte all’altra delle mura, le persone ci chiamavano per dirci che la polizia li stava picchiando. A seguito, come anche riportato dai giornali, la polizia ha cercato di prendere tutti i cellulari, così che non potesse uscire più alcuna informazione.
“Stanno fuori stanno dando il manganello, […]. Stanno picchiando la gente con i manganelli. [..] Non dicono niente sono entrati così a picchiare la gente.” Ci diceva una persona detenuta.
Ci raccontavano che chi veniva visto comunicare con noi, gridando o telefonandoci, veniva prelevato dalla cella, portato fuori, picchiato e ributtato in cella. “Loro ti portano lì e ti fanno quello che vogliono” ci raccontava un altro.
Lasciamo qui la testimonianza di due reclusi su ciò che stava avvenendo ieri dentro il CPR. Si tratta di chiamate avvenute in diretta durante il presidio.
Nonostante il rischio per loro nel comunicare con noi, lo hanno fatto, con il coraggio di chi sa che altrimenti nessuno farà passare la verità su quello che stanno vivendo e su quello che è successo a Vakhtang. Che ognuno faccia qualcosa!
Nei CPR sono rinchiuse persone strappate dalla libertà e dagli affetti per non avere un documento valido.
La famiglia di Vakhtang è venuta a sapere della sua morte, sono sotto shock, lo aspettavano a casa. Ora chiedono la salma.
Le voci sono state modificate per tutelare le persone coinvolte.
SBOBINA:
Polizia è arrivata dentro adesso. Per piacere aiuta!
Sì
Pronto?
Pronto siamo qua. Adesso la polizia è lì dentro?
Per piacere aiuta per favore. Per piacere!
Sì. Dove sei? Dicci il tuo nome.
Eh? come?
Se vuoi dicci il tuo nome. Così se la polizia ti fa qualcosa sappiamo che è stato a te.
Xxxxxxxxxxx è il mio nome
Dove sei adesso?
Xxxxxxxxxxx
C’è la polizia dentro la tua cella?
Si ma la polizia perché la gente. È brutto per piacere aiuta per favore
E adesso la polizia è dentro con te?
Per piacere per favore!
In quanti siete adesso in cella?
È in tanti tante persone qua per piacere aiuta per favore
Noi non possiamo entrare. Però possiamo..
Per piacere la polizia fuori. La polizia fuori ci menano. Questo è inumano. Comincia picchia. per piacere!
Sì noi diremo a tutti quello che ci stai raccontando. Se riuscite a mandarci delle fotografie mandatecele.
SBOBINA:
Ci senti?
Si si si
ok
sì. Entrato preso a me mi han massacrato!
Adesso sono ancora li?
dimmi
E la polizia è ancora li?
Ma la polizia è uscita fuori io..perché io stava parlando con voi come faccio adesso e hanno entrato e han preso me. M’hanno messo fuori e picchiato a me, ho visto sangue. T’ho mandato su whatsapp le foto. Sangue tutti sangue
tutti sangue
Secondo io sto morendo qua. Tutto sangue sta arrivando nella mano, nella faccia, di tutto. Qua siamo con polizia assassini. Perché voi parlate con noi e a loro non piace che voi parlate con noi
Al seguente link c’è un audio con la testimonianza di alcuni detenuti sull’assassinio di V.E., ammazzato di botte nel CPR di Gradisca, e morto in ospedale ieri. Le voci sono state modificate per tutelarci tutti.
È inizio settimana, V. non trova il telefono, non vuole tornare in cella, resiste, viene picchiato finché non ne può più. Viene buttato in cella, nella rabbia prende un ferro in mano e si fa male allo stomaco. Dopo viene portato in infermeria, non più di una ventina di minuti, torna e si mette a dormire, forse per i farmaci. Raccontano che il suo corpo era rosso dai lividi.
Il giorno dopo si sveglia, aveva accettato di essere estradato e riportato in Georgia, i compagni di prigionia dicono che gli fosse stato detto di fare le valigie per partire. Alle 20 però torna.
Sta presumibilmente due giorni nel CPR, sta male, per le manganellate e per il colpo nello stomaco, chiede aiuto senza essere soccorso.
Allora comincia a gridare, arriva la polizia che chiede a un suo compagno di cella di collaborare passandogli fuori un ferro. Quando V. lo vede aiutarli si arrabbia e i due iniziano a litigare, allora la polizia entra e in otto accerchiano V., iniziano a picchiarlo a sangue, si buttano su di lui con forza finché non sbatte la testa contro il muro.
Lo bloccano con i piedi, sul collo e sulla schiena, lo ammanettano e lo portano via. “Lo stavano tirando con le manette come un cane, non puoi neanche capire, questo davanti a noi tutti” ci ha spiegato un altro suo compagno recluso.
Non dicono più niente a nessuno, raccontano agli altri detenuti che lo stanno processando. Poi ieri qualcuno origlia una conversazione e scopre che è morto. I compagni avvisano la moglie a casa, lei chiama il CPR e nessuno le risponde.
V. è stato ammazzato di botte dalle guardie del CPR
CI VEDIAMO IL 19 GENNAIO ALLE ORE 14:30 PUNTUALI PER ANDARE DAVANTI AL CPR. Il luogo di incontro è davanti al centro commerciale “La fortezza” di Gradisca, dal lato del Cpr, sulla SR305, in direzione Udine.
CPR DEVONO CHIUDERE. I CPR SONO LAGER.
SBOBINA
Cosa hai detto?
Suo telefono si è perso, lui non ricordava dove ha lasciato. Da lì hanno cominciato a picchiarlo, loro volevano mandare tutta gente dentro le camere, lui insisteva nella ricerca del suo telefono, da lì hanno cominciato a picchiare con il manganello, aveva tutto il corpo rosso proprio di lividi.
Ok.
Ecco da lì lo hanno portato nel corridoio, quando arriva vicino al suo modulo per rientrare lui non voleva perché era un ragazzo basso e robusto: aveva la forza. Da lì lui ha chiamato uno della Guardia di finanza e non voleva e hanno cominciato a picchiarlo di nuovo, lo hanno buttato dentro e lui con la rabbia ha preso un pezzo di ferro ha tagliato un po’ allo stomaco. Loro l’hanno lasciato, non lo hanno portato all’ospedale. Domani mattina quando lui sveglia ha cominciato a fare di nuovo casino perché sentiva male al corpo per quel manganello che ha preso tutto quella sera li.
Poi mattina le ferite le faceva male, da lì sono entrati e hanno picchiato di nuovo.
Di nuovo?
Di nuovo. Dopo è venuto direttore e l’hanno portato in infermeria. Dopo neanche venti minuti è tornato ed è rimasto con noi un attimo e poi è andato a dormire poi quando ha svegliato, il giorno dopo mattina sono venuti e hanno detto “oggi deve partire in bus per andare via”, lui ha preso tutte le sue cose ed è andato via con lui tutta la giornata. La sera verso 8 lo hanno portato hanno detto che non ha voluto andare perché aveva tanti brividi e hanno avuto paura di mandarlo in quel modo lì al Paese suo: sarebbe un casino lì, nessuno avrebbe accettato. avrebbe voluto capire cosa era successo: lo hanno portato indietro.
Rimasto per due giorni e lui sentiva male e chiavava “aiuto aiuto!” perché usciva sangue. Può darsi qualche vetri rimasto dentro lo stomaco non sappiamo. Da lì lui ha cominciato di nuovo a spaccare degli specchi davanti a loro, e lì ci stava un altro ragazzo da dietro, e la polizia hanno detto a quel ragazzo dietro di buttare un pezzo di ferro fuori, e quando lui si è girato ha visto che l’altro ragazzo stava buttando fuori i vetri che lui usava a spaccare e lì ha cominciato a litigare con lui. Da lì che la polizia hanno aperto la porta e sono entrati dentro. Quando sono entrati dentro hanno aperto la porta, lo hanno messo in mezzo, quanti erano.. 8. Lui in mezzo circondato da 8 poliziotti. D’improvviso quando lo hanno attaccato al muro uno di loro gli è saltato addosso di forza e lui da lì la testa gli è caduta e ha sbattuto al muro
La testa è caduta ed ha battuto il muro?
Un muretto, quello che ci sediamo sì… tipo una scaletta. Noi posso testimoniare ovunque dovunque, perché era uno di noi. Da li uno dei poliziotti ha messo i piedi sul collo.
Piedi sul collo?
Un altro alla schiena da li lo hanno ammanettato e lo hanno portato via, circondato da loro. Noi non riuscivo a vedere bene da che parte il sangue usciva da lì lo hanno portato via e fino a oggi non lo hanno portato più indietro, abbiamo cercato di chiedere delle botte, lui ci ha denuncia, “lui è stato denunciato” , “domani lo mandiamo al tribunale”, non lo so “andrà in galera”: sono queste delle cose che loro dicevano a noi. Oggi, all’improvviso, uno di noi è andato in infermeria. Da lì stavano parlando e non lo hanno accorto di quello che lì stava dietro e hanno detto che il ragazzo è morto. Questo qua è venuto da noi e ha detto che “il ragazzo è morto”. Noi abbiamo cominciato a chiamare loro per avere più informazioni, nessuno è venuto da noi fino ad adesso a dire niente noi abbiamo chiamato poi al Paese suo, a sua moglie.
Ahh avete parlato con sua moglie!
Eh sì, sì perché ci abbiamo email e numero di sua moglie, perché lui l’aveva lasciato. Sua moglie lo sa. Se volete possiamo parlare con il ragazzo vi dà numero di sua moglie e parlate con famiglia sua. Avete più… la famiglia sua sta chiamando qua e nessuno risponde. Hanno chiamato il 118 di Gorizia e nessuno risponde.
Volete mandarci il numero della sua famiglia?
Se volete certo qua non c’è una cosa da nascondere… qua c’è una cosa da salvare.
Eh sì.
Perché c’è un corpo umano che è dentro un frigorifero adesso eh. Oggi è toccato a lui, domani non sappiamo chi sarà.
Siete riusciti a sentire un avvocato voi? Avete parlato con un avvocato?
Qui dici avvocato? Sono tutti cadaveri qui! L’avvocato qui…[…] Qui loro ci hanno dato l’elenco degli avvocati. Noi quando quando chiamiamo questi avvocati, appena gli dici che sei in questo centro, dice “un attimo sto guidando dopo ti chiamo” e non ti chiama più. Tu chiami e non rispondono.
Ok.
Siamo abbandonati a noi stessi.
Ma aspetta, ma la sua famiglia lo sa già adesso? La sua moglie?
Adesso abbiamo li abbiamo avvisati, li abbiamo chiamati. Adesso la sua moglie sa già. Sta aspettando da tre anni la dentro… e anche se parli di… è un dolore comunque.
E adesso stanno qua le le..
Le polizie stanno qui davanti a noi.
Davanti a noi.
davanti a noi.
….
Adesso stanno aspettando per chiudere fuori perché hanno saputo che stiamo parlando con voi. Qui davanti a noi.
Ehi, mandateci il numero. […]
E ci menano anche a noi!
Poi… su di noi, che cosa dobbiamo fare o voi cosa potete fare per noi?
Siamo dimenticati da dio!
Qui dentro per sapere di lui, loro non ci hanno detto niente a noi, siamo riusciti a saperlo così, grazie a dio. Ma perché?
Sono degli assassini
Veramente. È disumano, è disumano. Veramente. Se c’è qualcosa da fare son delle domande, un esempio è questo, vedi un uomo andarsene dalla vita per niente.
Per niente.
Aveva già accettato di essere estradato al Paese suo. Non sono riusciti a mandarlo, lo hanno ammazzato e lo mandano morto adesso. E se lo manderanno perché non vogliono manco rispondere alla famiglia di là. Che voglio dire.
Noi vi siamo vicini, non siete soli!
Ok… speriamo.
Resistete!
Così noi vogliamo sapere di più da voi su cosa possiamo fare, anche con gli altri ragazzi.
Noi non lo sappiamo.. però noi possiamo cercare di fare di tutto perché la storia che ci avete raccontato venga detta fuori. Perché fuori raccontano che voi vi siete picchiati tra di voi. Sui giornali c’è scritto che vi siete picchiati tra di voi detenuti e che lui è morto per questo.
No, non è vero. Non è vero. Non è vero perché loro invece ci fanno uscire per esempio ci fanno uscire da soli e ci picchiano in cortile e ci portano dove vogliono loro, finché guarisci. E, siccome lui era grave, molto grave è morto e loro stanno cercando qualche scusa per farla franca.
V.E., di trentasette anni, georgiano, è stato ammazzato di botte delle forze dell’ordine nel Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO) gestito dalla cooperativa EDECO di Padova.
Le voci dei suoi compagni reclusi ci dicono che ieri otto poliziotti in tenuta antisommossa l’avevano raggiunto nella sua cella e l’avevano accerchiato e picchiato. Lui era caduto, sbattendo la testa. A quel punto, dei poliziotti gli avevano messo i piedi sul collo e sulla schiena e l’avevano portato via ammanettato.
Poi è morto. La sua morte non è stata comunicata ai compagni reclusi, che ne sono comunque venuti a conoscenza e che ora ripetono che V.M. ha subito violenze da parte delle forze dell’ordine. NON È MORTO PER UNA RISSA CON GLI ALTRI RECLUSI.
Il Cpr, aperto da un mese, ha già ucciso.
Domani ci troviamo, alle 14.30 puntuali, a Gradisca, sulla SR305, all’altezza del centro commerciale La Fortezza, perché è terribile quello che hanno fatto. Per mostrare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso nel lager di Gradisca e sta subendo la violenza della repressione mista al dolore della morte di un compagno.
Prima di quanto ci aspettassimo, una persona è morta in quel luogo di morte.
Come sempre, e più che mai: libere tutte, liberi tutti!