Continua la violenza per mano dello Stato nel CPR di Gradisca, tra caldo insopportabile e i diversi livelli di tortura a cui sono sottoposti i catturati dalla macchina delle espulsioni.
Manganelli sì, ambulanze no
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno nell’area blu si è verificato l’ennesimo pestaggio. A seguito di un litigio all’interno di una cella è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa picchiando i reclusi. Un prigioniero in particolare ha riportato diversi ematomi e graffi ben visibili su tutto il corpo e ha raccontato di esser stato picchiato anche in testa, da dietro. Come ormai avviene quasi sempre nel lager di Gradisca, nessun soccorso, nessuna visita, anzi, alle ambulanze non viene permesso di entrare, altrimenti “vedono cosa ci hanno fatto”. Viene chiamato il 118 da dentro, ma la chiamata viene passata ai carabinieri che affermano di non poter fare niente. Viene chiamato il 118 anche da fuori, ma comunque non arriva nessuna ambulanza. Da dentro sentono le sirene avvicinarsi e poi andarsene. Solo la sera tardi, dopo le chiamate esterne, il detenuto viene portato in infermeria, dove viene visitato per finta, senza venire nemmeno toccato, e gli viene dato un antidolorifico. Sta male, ha mal di testa, capogiri e nausea. Eppure lo lasciano lì. La stessa sera un altro recluso sta molto male, è malato da diversi giorni ed è stato imbottito di farmaci per “non farlo parlare”. Anche lui è stato visitato superficialmente qualche giorno prima, gli viene data prima una crema che peggiora la situazione, poi una puntura. Sembrerebbe essere scabbia. Un prigioniero che i giorni scorsi aveva bevuto dello shampoo ed era stato portato in ospedale, è ancora in attesa di essere visitato dallo psichiatra. La visita è stata fissata solo fra due settimane.
Dove non arrivano le botte, arrivano gli psicofarmaci
Le condizioni di “vita” sicuramente non sono d’aiuto: le celle sono sporchissime, gira la scabbia e altre malattie infettive, l’acqua non solo non è potabile, ma è anche calda ed esce direttamente dal muro perchè i rubinetti sono stati rimossi – probabilmente durante le rivolte precedenti – e i prigionieri attuali si stanno arranggiando attacando una bottiglia al muro a mò di rubinetto. L’acqua potabile che ricevono per ogni cella si limita a 6 litri due volte al giorno, chiaramente non abbastanza. Il cibo è quasi immangiabile, quando non ci vengono mischiati psicofarmaci. La pratica del rifiutare il cibo è sempre più diffusa.Le giornate sono calme, perché i reclusi sono stati pacificati “con le gocce”. C’è chi le odia e chi invece le accetta per calmarsi – i meccanismi di sopravvivenza sono molteplici e diversi fra loro, per qualcuno cambiano a seconda di come si sente quel giorno.
Le gabbie del campo sono roventi e le alte dosi di valium somministrate si uniscono al caldo asfissiante di questi giorni nel contribuire a soffocare ed abbattere sul nascere slanci di ribellione e resistenza. Molti dormono e basta, altri non riescono nemmeno a muoversi.Essendo il dolore, il malessere, i problemi di salute, di igiene, burocrazia et similia normale amministrazione, questi non bastano ad attirare l’attenzione di chi lavora nel CPR – l’unico modo sono gli atti di ribellione che non possono essere ignorat: autolesionismo, proteste del cibo, fuochi o rivolte continue che siano.
Infatti, alle 19 circa del 16 giugno viene acceso un bel fuoco, sempre nell’area blu, sembrerebbe per una richiesta di confronto con l’ufficio immigrazione. Poco dopo arriva un lavoratore con l’idrante a spegnere le fiamme, ma i danni sono ormai fatti. La notte successiva, tra il 17 e 18, un altro prigioniero bisognoso di cura psichiatrica si agita per vari motivi, tra cui il fatto che da tempo gli viene impedito di sapere il nome del proprio psichiatra. Viene portato in ospedale e dopo mezz’ora di nulla si taglia per poter finalmente essere visitato. Ad un certo punto si ritrova piegato e circondato:
—”Cosa state facendo?”— chiede.
—”Altri esami.”
—”Io non sono qui per fare altri esami.”
E dopo il dissenso arrivano le botte. Calci e pugni su un corpo già maltrattato, raggomitolato a terra. Poi arriva la puntura di sedativo, che lo farà dormire fino al pomeriggio del giorno dopo, l’istituzione medica sempre pronta al servizio della repressione.Racconta poi che gli sbirri gli hanno rubato le poche pastiglie della terapia che era riuscito a procurarsi da solo. Oltre a non sapere il nome di chi lo cura, non ha accesso ai propri certificati medici e prescrizioni e i guardiani della coop Ekene che gli danno le medicine nel CPR non seguono le indicazioni date dalla psichiatra del CSM. La sera il recluso si taglia di nuovo, questa volta per far arrivare l’infermiera e farsi dare la terapia di cui ha bisogno. Nel frattempo il recluso picchiato nella notte 12-13 viene ricoverato in ospedale e dopo qualche giorno riportato in CPR. Per una volta la visita dal medico sembra essere andata a buon fine, con la prescrizione di una terapia adeguata.
L’uso sproporzionato e pacificatore degli psicofarmaci è pratica quotidiana, indispensabile per poter anestetizzare e depotenziare chi rifiuta di piegarsi alla privazione della propria libertà, per annichilire in partenza ogni tensione alla ribellione e alla distruzione delle proprie gabbie. L’autolesionismo, recentemente strumentalizzato dai giornali per giustificare i pestaggi, è anch’esso uno strumento usato per ottenere ciò di cui si ha bisogno, come i fuochi.
Varie deportazioni e una fuga felice
Il 19 giugno un prigioniero marocchino sembra venire trasferito in un altro CPR senza preavviso, i compagni di cella non sanno dove: si scopre, alla fine, che si trattava di una deportazione, tramite volo di linea. Lo stesso giorno viene trasferito un altro detenuto. Il 20 giugno attorno all’ora di pranzo viene acceso un altro fuoco nell’area blu. Sembrerebbe in risposta alla minaccia di botte da parte di un lavorante.
Non si ferma, inoltre, la macchina delle espulsioni. Negli ultimi giorni è sicuramente partito un volo charter per la Nigeria: almeno cinque i prigionieri prelevati da Gradisca. Per l’Egitto la solita deportazione dell’ultima venerdì del mese è stata anticipata al mercoledì: da Gradisca, come in altri CPR, in piena notte sono stati presi alcuni reclusi egiziani e trasferiti a Roma Fiumicino, da cui è partito il charter per il Cairo, con scalo a Palermo. Ma, nella giostra di trasferimenti interni – quasi mai motivati ai prigionieri, ma rispondenti alle necessità di controllo, funzionamento e logistica dei campi (ad esempio, alcune celle dell’area blu sono al momento vuote per probabili lavori di ristrutturazione) – almeno un recluso è stato trasferito nella colonia CPR di Gjader. Di altri, sappiamo semplicemente che vengono prelevati, sequestrati nel sequestro, senza sapere la destinazione – altri CPR, un volo di linea – numeri di una macchina anonima che fa sparire persone dopo aver mediaticamente costruito e legittimato l’archetipo dell’altro/diverso, per definizione pericoloso, sulle esistenze delle persone migranti, degli “stranieri”.
Ma la macchina, come sappiamo, è tutt’altro che perfetta. Un ex-prigioniero marocchino proveniente dal CPR di Gradisca è riuscito a darsi alla fuga quando era in procinto di essere caricato su un volo di linea, all’aeroporto di Bologna. La notizia è uscita anche sui media di regime nazionali (https://bologna.repubblica.it/cronaca/2025/06/28/news/bologna_aeroporto_fuga_espulsione-424698494/): una corsa, due guardie che arrancano e un fuocherello alle sterpaglie in questa afosa estate sono bastate a riguadagnargli la libertà.
Che la sua corsa possa continuare leggera! E quella di tutti e tutte verso la libertà!
Fuoco ai Cpr e a tutti complici del loro funzionamento