Un’altra morte di Stato nel CPR di Gradisca

Due settimane fa, Abdel Latif, ventiseienne tunisino, è stato trovato morto, legato al letto, all’Ospedale san Camillo di Roma, dopo essere stato relegato su una nave quarantena e rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria, a Roma. Ieri, il sistema delle prigioni su base etnica ha fatto un altro morto: non sappiamo come si chiami, sappiamo solo che era rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo e che ieri mattina era già morto.

Dopo Majid el Khodra, Vakhtang Enukidze e Orgest Turia, aggiungiamo un ennesimo nome ai morti di Stato del lager della nostra regione. Non dobbiamo smettere di far arrivare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e non dobbiamo smettere di dire che i CPR vanno distrutti.

Per la LIBERTA’ e la DIGNITA’ di TUTTE/I LOTTIAMO CONTRO I CPR, LAGER per MIGRANTI

Riceviamo notizia di questa iniziativa dell’ Assemblea permanente contro il carcere e la repressione, avvenuta a Udine il 13/07 e inoltriamo:

Come assemblea permanente contro il carcere e la repressione, martedì 13 luglio, abbiamo volantinato un testo contro i CPR all’ingresso di uno spettacolo teatrale al quale partecipava il musicista Liubomyr Bogoslavets, che ha subito qualche settimana fa la cattura da parte della polizia e la deportazione nel CPR di Gradisca d’Isonzo con la minaccia di un rimpatrio in Ucraina e che poi è stato liberato.

Di fronte all’interessamento ipocrita alla vicenda di politicanti locali del PD ma anche ad un’opinione pubblica che va avanti a colpi di flash mob e petizioni on line, con questo volantinaggio, abbiamo voluto rimarcare la prospettiva della lotta contro i CPR, una lotta che implica quella contro lo Stato, i suoi confini e le sue leggi, il potere della polizia, lo sfruttamento e la schiavitù che derivano dalla criminalizzazione delle persone migranti.

Tutta la nostra solidarietà va a Liubomyr Bogoslavets che è stato privato della sua libertà e rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo con la minaccia di un rimpatrio forzato nella sua terra di provenienza, l’Ucraina ed a tutti i/le prigionieri/e rinchiusi nei lager di Stato italiani.

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) sono l’ultimo nome dato alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e nate come Centri di Permanenza Temporanea (CPT), poi Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), infine nel 2017 con la legge Minniti-Orlando, CPR.
I CPR sono delle prigioni amministrative senza regolamento penitenziario, impermeabili alla società civile che non può avervi accesso, affidate alla gestione di cooperative ed aziende, il famigerato privato-sociale. Ad esempio a Gradisca la gestione del lager è passata dal consorzio Connecting People alle cooperative Minerva, Edeco, infine Tucso.
A Gradisca, come in tutti i CPR, le condizioni sono degradanti e disumanizzanti: gabbie in acciaio, coperture di plexiglass, lucchetti, filo spinato e offendicula direttamente importati dallo stato genocida israeliano, letti imbullonati al pavimento senza materassi e lenzuola, bagni putridi e senza porte divisorie, sporcizia ovunque, cibo insufficiente, scadente e drogato da psicofarmaci.
Dalla loro creazione ad oggi vengono rinchiuse nei CPR migliaia di persone come Liubomyr, persone non comunitarie trovate senza permesso di soggiorno “regolare”, perché perso, non rinnovato oppure mai avuto, o alle quali è stata rifiutata la richiesta di asilo politico, o che avevano in sospeso decreti di espulsione dall’Italia, senza comunque essere state condannate per alcun reato (per quel che vale).
Il CPR di Gradisca d’Isonzo riapre nel dicembre 2019, dopo essere stato chiuso nel 2013 grazie ad una importante rivolta dei prigionieri in seguito alla quale morì Majid El Kodra che, assediato dalle forze dell’ordine, cadde dal tetto della struttura.
A fine maggio 2021, pochi giorni prima di Liubomyr, la polizia ha provato a deportare un altro uomo ucraino che aveva già vinto un ricorso contro l’espulsione, il quale è stato deportato a Gradisca da Milano, anche lui in seguito liberato.
Queste persone vengono imprigionate tutti i giorni sulla base di un dispositivo che lo Stato italiano ha introdotto come strumento di controllo sui propri confini e di repressione su chi li oltrepassa senza “carte in regola” oppure non è più ritenuto utilizzabile a fini produttivi, quindi “eliminabile”. La privazione della libertà viene disposta di regola dalle forze di polizia che effettuano i controlli sui documenti, mentre il giudice di pace interviene solo in seguito in sede di controllo sulla legittimità della detenzione.
Quante volte vediamo per le strade della città volanti della polizia “a caccia” di migranti: fermano senza alcuna ragione persone che stanno semplicemente camminando per i fatti loro, solo perché non bianche o identificate come non italiane.
Dal dicembre 2019 sono morti nel CPR di Gradisca d’Isonzo due prigionieri, nel gennaio 2020 Vakhtang Enukidze, ammazzato di botte dalle guardie perché per cercare il suo telefono rifiutava di entrare nella cella e Orgest Turia, morto di overdose a causa di psicofarmaci che gli sono stati somministrati in modo coatto. Queste, come quella di Majid sono morti di Stato! Non dimentichiamocelo.
Le forze politiche, PD in testa, che si sono esibite in dimostrazioni di solidarietà con Liubomyr sono le dirette eredi di quelle che crearono i CPT e la detenzione amministrativa e quelle che hanno riaperto nuovi e vecchi centri col nome di CPR mentre facevano accordi (Memorandum Gentiloni del 2017) coi miliziani libici per il controllo delle loro frontiere a sud, per tenere internati circa 1 milione di uomini e donne in campi concentramento dove vengono torturati, stuprate e uccisi e fare buona guardia ai pozzi petroliferi dell’ENI.

La lotta contro i CPR non è un’azione di carità e non può esaurirsi nell’azione legale che riesce a evitare detenzione ed espulsione per qualcuno/a.

La lotta contro i CPR è una lotta politica contro gli Stati e i loro confini, contro il potere della polizia e delle altre forze dell’ordine, per l’autodeterminazione degli individui e dei popoli, contro lo sfruttamento e la schiavitù alla quale sono sottoposte le persone cosiddette “irregolari”.

Assemblea permanente contro carcere e repressione fvg

 

La “nuova” coop sociale Tucso, ovvero nome nuovo e stesso schifo

È dei primi mesi di quest’anno la notizia, riportata da alcune testate locali, che la vecchia coop Edeco è stata sostituita con un’operazione di scissione d’impresa dalla “nuova” coop Tucso, a sua volta un ramo della coop Tuendelee. L’idea è la solita: rimescolare ogni tanto qualche carta per continuare indisturbati con le propre usuali attività, mantenendo ovviamente invariati i propri sporchi traffici, appalti pregressi compresi.

A inizio 2020, la ex-Edeco chiude l’attività, entra in liquidazione e viene cancellata dall’elenco regionale veneto delle cooperative sociali. Cambia nome, domicilio – Tucso si trova ora in via Pescheria 17, sempre a Battaglia Terme (Pd), per chi si trovasse a passare di là – e direttivo, con un bel giro di giostra che sembrerebbe vedere alla guida di Tucso non più Sara Felpati, moglie di Simone Borile, diventata consigliera, ma Gabriele Milani, prima amministratore delegato di Edeco.

Il sistema è comunque ben collaudato: ai tempi della morte di Sandrine Bakayoko e delle rivolte al campo di Cona (Ve), la coop si chiamava Ecofficina; poi, come noto, prende il nome di Edeco, collezionando due morti nel Cpr di Gradisca e due processi carico a Venezia e Padova per intrallazzi con alti funzionari delle locali Prefetture sull’affidamento e gestione dei sevizi di reclusione e sfruttamento di persone migranti; ora, appunto, è diventata Tucso.

Il Comune di Padova, dove Tucso oggi continua a gestire in tutta tranquillità lo Sprar locale, pare non essersi accorto di niente e la sua assessora al sociale Marta Nalin afferma: «Se la cooperativa Edeco, che è poi diventata Tuendelee–Tucso, ha continuato a gestire fino ad oggi lo Sprar vuol dire che ha potuto farlo perché non sono subentrate condizioni che lo impedivano. Dal punto di vista legale deve essere tutto a posto». Anche l’ex-prefetto di Padova (ora a Genova) Renato Franceschelli, come d’altronde a suo tempo i suoi ex-colleghi presi con le mani nel sacco, non trovava nulla di strano: «Fino a oggi con la nuova coop non c’è stato alcun problema».

Tutto a posto, nessun problema. Quando ci sono di mezzo affari per centinaia di migiaia di euro sulla vita e la morte degli/le ultimi/e degli/le sfruttati/e, non c’è processo che tenga.

Dietro le abituali facciate di “scuole dell’infanzia” – almeno 3 nel padovano, a Lozzo Atestino, Megliadino San Vitale e Villa Estense – “servizi a persone svantaggiate” e “turismo sociale” e le stesse baggianate di prima sui “valori fondamentali del benessere dell’individuo, della carità e della crescita individuale” e sui “legami sociali in contesti accoglienti”, i veri profitti derivano dalla gestione di campi di concentramento dove la gente viene imprigionata, annichilita, picchiata, lasciata morire e uccisa.

Insomma, diverso nome ma stesse facce e ancor più luridi affari.

Per Moussa Balde, Vakhtang Enukidze, Orgest Turia e tutti/e i/le morti/e per la complicità di Tucso, dei suoi affini e di ogni responsabile.

Che i CPR possano bruciare.

Che i profitti di chi si arricchisce su qualsiasi prigione possano andare in fumo.

Solidarietà ai rivoltosi.

Liubomyr libero, liberi tutti

Per chi suona la fisarmonica?

Liubomyr Bogoslavets è un musicista di origine ucraina che è solito suonare la fisarmonica in piazza Matteotti a Udine. Dall’11 giugno è rinchiuso nel Cpr di Gradisca d’Isonzo dove, dal dicembre 2019, sono passate centinaia di persone come lui: cioè persone senza documenti regolari.

Questa storia, a differenza delle storie delle centinaia di persone rinchiuse, è riuscita a bucare il muro della vera fortezza di Gradisca, il Cpr, e a far emergere la violenza della detenzione delle persone senza documenti. Per esempio, oggi (sabato 19 giugno 2021) a Udine si terrà un flashmob musicale in solidarietà a Liubomyr: musicisti e musiciste suoneranno insieme This land is your land di Woody Guthrie, ognuno con il proprio strumento. «Ma come? Liubomyr era un volto noto, uno che non faceva male a nessuno, come è possibile che rischi la deportazione?», ci si chiede.

Lo stiamo ripetendo da anni. Nessuno viene rinchiuso a Gradisca perché «ha fatto male a qualcuno»: si viene rinchiusi a Gradisca perché non si hanno documenti regolari. Sono state rinchiuse a Gradisca persone che erano in Italia da quasi tutta la vita, ci sono state persone che stavano per diventare padri, persone che hanno studiato in Italia, insieme a persone che erano appena sbarcate a Lampedusa
o che erano uscite dall’accoglienza con un negativo in commissione o che avevano finito di scontare una pena. Ci sono state persone di tutti i tipi e di tutte le provenienze: dalla Georgia all’Albania, dalla Russia al Pakistan, dall’Egitto al Venezuela. Ognuna di loro era il volto noto di qualcuno e aveva una propria storia, come Liubomyr. Solo che le loro storie non hanno avuto la forza di bucare quel muro, anche se in questi anni l’Assemblea ha provato a raccontarne alcune, che si trovano sul blog, a mo’ di archivio.

Liubomyr deve uscire dal Cpr non perché sa suonare la fisarmonica né perché è conosciuto alle cittadine e ai cittadine udinesi e nemmeno perché non è un soggetto socialmente pericoloso, come è stato scritto: Liubomyr Bogoslavets e con lui tutti gli altri devono uscire dal Cpr di Gradisca perché sono ingiustamente rinchiusi in un posto che non deve esistere.

Che Liubomyr sia libero, che lo siamo tutte e tutti.

Un testo di Divine sulla sua espulsione dall’Italia

Riceviamo e volentieri diffondiamo una testimonianza di Divine, compagno di origini nigeriane, sulla sua espulsione dall’Italia e sulla sua esperienza nel Cpr di Bari.

Un saluto a tutt*

La mattina del giorno 15/07/2019, mi ritrovai gli sbirri in casa che mi chiesero di seguirli per la firma di una notifica.

Arrivati in questura scoprii che la notifica riguardava la mia espulsione per il giorno seguente, così mi portarono e trattennero all’aereoporto di Malpensa.
Naturalmente lo stesso giorno del trattenimento ci fu un processo in stile medievale con tutto già deciso in partenza.

Il giorno seguente, a Malpensa, mi fu detto da uno sbirro che l’espusione era stata bloccata dalla CEDU (corte europea dei diritti umani), così che invece di liberarmi e basta, non soddisfatti degli esiti della corte europea, decisero di rinchiudermi nel CPR di Bari.

Se fino allora gli sbirri erano stati legalisti, nel CPR di Bari gli sbirri sono tutt’altro che sbirri “legalisti”. Vorrei soffermarmi su alcune precisazioni riguardanti il CPR;

1) All’interno del CPR è vietato introdurre telecamere o cose simili.

2) I telefoni vengono forniti dalla struttura stessa (a me personalmente non è mai stato dato…)

3) All’entrata del CPR vieni perquisito come all’entrata di un carcere (il carcere è decisamente meglio) i tuoi effetti personali vengono custoditi da loro, e nel caso tu abbia soldi verranno contati ed anche essi “custoditi” (o meglio incustoditi in tasca altrui dato che all’uscita mi sono quasi fatto menare per averli indietro).

4) La struttura è formata da bracci (spesso nei bracci vieni messo con i tuoi connazionali) ed io ero all’interno di un braccio con una prevalenza di Albanesi.

All’interno del braccio l’aria è nauseante (un mischio di urina e feci), i bagni sono di fronte alle camere, inoltre c’è un soggiorno con una tv dove si mangia
ed un campetto dove stare all’aperto.

-Le camere sono formate da semplici file di letti nei quali non ci sono nemmeno lenzuola.

-I bagni sono senza water e l’aria è irrespirabile, con pezzi di escrementi e urina decennali attaccati sulle pareti del bagno e delle docce (le docce sono di fianco al water) i lavandini anche essi di fianco ai water (ugualmente sporchi di escrementi).

5) Il cibo viene drogato di psicofarmaci  tranquillizzanti.

Ora, a distanza di quasi due anni, si è tenuta l’udienza definitiva della corte europea, la quale ha delegato la decisione sulla mia espulsione al governo italiano, che ovviamente mi ha espulso.

L’elenco è lungo  ma le cose principali sono queste. Io non sono sorpreso dal trattamento riservato ai senza documenti. Non sono sorpreso dal fatto che mi vogliano espellere; del resto lo stato è lo stato, e come tale vuole salvaguardare i suoi interessi!  Sappiamo tutti come si comporta lo stato con i suoi nemici. E nulla ci deve più sorprendere, ma al contrario prepararci a sferrare un pugno più potente cercando di schivare i colpi. Siamo noi che dobbiamo sorprendere loro e non viceversa.

Divine.

TUNISIA-GRADISCA E RITORNO, PASSANDO PER LAMPEDUSA: il “business dell’immigrazione” dello Stato italiano

Dal CPR di Gradisca ci arrivano notizie di continui soprusi. Ferite non curate o curate male, minacce e intimidazioni. Durante una visita di una donna al proprio compagno recluso, sono stati sequestrati i documenti di lui e lei è stata minacciata di non poter fare altre visite.

Non sappiamo chi abbia preso quei documenti, se si sia trattato della polizia o di qualche operatore della cooperativa gestrice, la ex-EDECO ora TUCSO, sempre con sede a Battaglia Terme (PD), che nella sua storia di gestione dell’immigrazione vanta tre morti ed è finita a processo accusata da un lato di maltrattamenti e abusi verso gli “ospiti”, dall’altro di accordarsi con le Prefetture per vincere i bandi di gestione ed evitare i controlli.

Il CPR di Gradisca continua a essere l’hub informale per i respingimenti a caldo dalle navi quarantena. Grazie agli accordi Italia-Tunisia presi dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a Tunisi nell’agosto 2020, atti a «contrastare il traffico di migranti», l’Italia deporta, senza permettere la richiesta di asilo, centinaia di giovani e giovanissimi scampati al naufragio e arrivati sulle coste italiane. In breve, le persone che sopravvivono alla rotta del Mediterraneo centrale vengono immediatamente rimpatriate, perché intraprendano il viaggio un’altra volta.

La procedura della deportazione, secondo le informazioni raccolte finora, funziona così:

1. sbarcate a Lampedusa o Pantelleria, le persone vengono portate sulle navi quarantena;

2. né qui, né in alcun momento successivo viene loro permesso di perfezionare una richiesta di asilo;

3. dopo il periodo di quarantena, vengono trasportate in modo coatto al CPR di Gradisca, in zona blu, isolate dal resto dei detenuti;

4. qui, in generale, non hanno la possibilità di usare il telefono per avvisare le famiglie, non viene fornita loro una sim card e spesso non hanno la possibilità di comunicare con alcun avvocato;

5. il martedì e il giovedì mattina all’alba, gruppi di dieci o venti persone vengono caricati su degli autobus della polizia e trasportati solitamente fino a Milano; né loro né eventuali avvocati vengono informati con anticipo;

6. da qui prendono un volo, secondo alcune voci si tratta di aerei della compagnia spagnola Vueling, che le porta a Palermo;

7. a Palermo un console dà l’autorizzazione per la deportazione, dopo averli sommariamente identificati come cittadini del proprio Paese;

8. nel caso avvengano errori di identificazione, per esempio se vengono trasferite a Palermo persone tunisine con una richiesta d’asilo in corso, cioè giunte prima che questo meccanismo venisse messo in moto o arrivate in altro modo, allora questa procedura si interrompe: ci sono casi di persone che, una volta arrivate a Palermo, sono state infatti rispedite a Gradisca.

L’Italia sta attuando deportazioni seriali che, oltre a favorire chi specula sui traffici di persone, mettono a rischio la vita di persone obbligandole a intraprendere una seconda volta il viaggio. Sembra un meccanismo ad hoc perfezionato per effettuare respingimenti illegali, come quelli che avvenivano a Trieste verso la Bosnia, respingimenti immediati che non garantiscono alle persone la possibilità di chiedere asilo.

A Gradisca, come in tutti i CPR e come abbiamo scritto spesso, le condizioni sono degradanti, disumanizzanti, umilianti: nei video che seguono ci sono recenti testimonianze. Invitiamo vivamente a guardarle, anche se ci stiamo assuefacendo alla miseria, nessuno/a dovrà poter dire di non sapere. Si vedono i letti senza materassi, i bagni putridi, i pavimenti insanguinati e (non l’avevamo mai visto prima) un cappio, lasciato legato alle inferriate sopra a una porta:
una rappresaglia,
le condizioni putride,

una testimonianza.

Che le voci che si stanno levando per Moussa Balde non sfumino con alcuni articoli di giornale. È già avvenuto per Vakhtang e non può risuccedere.

Il CPR uccide strutturalmente, il CPR crea un mondo terribile per tutte e tutti, il CPR serve a far guadagnare cooperative con le mani sporche di sangue e a ricattare persone fragili sul lavoro. Il CPR va distrutto. Per Musa Balde, per Orgest Turia, per Vakhtang Enukidze, per Faisal, per Majid el Khodra e per tutti coloro che con il CPR sono stati ammazzati.

Musa Balde, un altro morto di Cpr

Un’altra morte di Stato dentro al Cpr di Torino. Un’altra persona uccisa dalla brutalità delle prigioni etniche, dalla violenza dell’Europa, dall’indifferenza. A quasi un anno e mezzo di distanza dalla morte di Vakhtang Enukidze e a quasi un anno da quella di Orgest Turia dentro al Cpr di Gradisca, ieri, 23 maggio, Musa Balde, di ventitré anni, originario della Guinea, è stato trovato morto all’interno del Cpr di Torino.

L’ipotesi circolata sulla causa del decesso è quella del suicidio. Le cause della morte di Musa devono essere accertate, ma per quello che la storia ci ha insegnato sappiamo che sarà molto facile insabbiare qualsiasi prova sulle reali responsabilità di chi ha in gestione questi campi di concentramento; se anche si fosse trattato di suicidio, non ci sembra sbagliato dire che Musa è STATO suicidato.

Le testimonianze raccolte e che continuiamo a raccogliere da dentro il Cpr di Gradisca ci dicono che i casi di internati che hanno pensato molto seriamente al suicidio sono tantissimi, ma ancora più numerosi sono gli episodi di violenza quotidiana subita da chi è rinchiuso. Lo ribadiamo: qualsiasi morte all’interno di una struttura carceraria e securitaria come quella dei Cpr è una morta indotta e causata dal funzionamento della struttura stessa; è una morte di Stato, e ognuno di noi ne è testimone!

Riprendiamo dalla pagina di Nocpr Torino, un aggiornamento sulle testimonianze dei reclusi che si trovano all’interno di quella prigione razziale: a loro va tutta la nostra solidarietà.

DOMANI MARTEDÌ 25 MAGGIO ORE 18

PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI A TORINO

CONTRO OGNI PRIGIONE, CONTRO OGNI FRONTIERA!

In solidarietà con i reclusi in sciopero della fame.

«24.5.2021 Abbiamo sentito la voce di alcuni reclusi che con coraggio hanno voluto raccontarci quello che sta accadendo dentro il CPR di Torino.

Il ragazzo deceduto nella notte tra sabato e domenica si chiamava Musa Balde, aveva 23 anni ed era originario della Guinea. Il 9 maggio scorso era stato aggredito a colpi di spranghe da tre ragazzi italiani a Ventimiglia, luogo di frontiera, al confine con la Francia. Dopo essere stato massacrato di botte era stato portato in ospedale a Bordighera (Imperia) e dimesso con prognosi di 10 giorni per gravi lesioni ed un trauma facciale. A causa della denuncia in Questura era emersa la sua irregolarità sul territorio nazionale ed era stato portato al CPR di corso Brunelleschi a Torino dove da subito è stato rinchiuso nell’area Rossa insieme ad altri detenuti e successivamente, durante la serata di sabato, portato in isolamento all’interno della sezione denominata “Ospedaletto”.

Secondo la testimonianza di un ragazzo, nonostante dimostrasse chiari segni di sofferenza causati dalle lesioni al corpo, Musa Balde non è stato mai visitato da nessun medico o membro del personale medico del CPR. Ci ha raccontato che dopo il trasferimento in isolamento, avvenuto senza una chiara motivazione, lo ha sentito urlare e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere una risposta.

Domenica mattina la versione del suicidio si è diffusa rapidamente in tutte le aree del centro provocando numerose proteste tra i reclusi a causa del fatto che nessuno di loro ha creduto possibile che Musa Balde si sia potuto suicidare, accusando fin da subito la polizia ed il personale medico del CPR di quanto accaduto. Cosa è accaduto realmente durante la notte non si sa con certezza e probabilmente non si saprà mai anche perché non c’erano altri compagni in cella con lui. E anche se ci fossero stati sarebbero stati rimpatriati rapidamente per eliminare scomodi testimoni come è già successo dopo la morte di Faisal nel 2019, avvenuto sempre all’interno del CPR di Torino nella stessa sezione di isolamento dove si trovava Musa Balde e nel 2020 dopo la morte di Vakhtang, avvenuto nel CPR di Gradisca di Isonzo. Una cosa però è certa. Ovvero che un altro ragazzo è entrato dentro un Centro di Permanenza per il Rimpatrio con le sue gambe ed è uscito dentro una bara. Ucciso dallo Stato che ha concepito e continua a giustificare questi luoghi infami.

I ragazzi reclusi all’interno dell’area Verde e dell’area Blu hanno intrapreso uno sciopero della fame rifiutando il cibo avariato che gli viene fornito per protestare contro la morte del loro compagno e contro le condizioni in cui sono costretti.

Ieri sera un gruppo di solidali si è presentato sotto le mura del CPR di corso Brunelleschi per urlare la propria rabbia e sostenere chi con coraggio lotta per distruggere la propria gabbia.

Nella notte le proteste dei reclusi hanno preso forma con diversi incendi che hanno danneggiato parte dell’area Verde e dell’area Bianca.

Seguiranno aggiornamenti.”
Con questa siamo a tre morti dentro ai Cpr, dall’inizio del 2020.

Queste morti hanno resposabili precisi!

Quante ancora ne vogliamo contare?

I Cpr devono chiudere! SUBITO!»

27 gennaio 2021: manifesti che ricordano Vakhtang Enukidze

Il 27 gennaio 2021, Giorno della memoria, sono apparsi in giro per Trieste molti manifesti che ricordavano l’uccisione di Vakhtang Enukidze, avvenuta poco più di un anno fa nel campo di internamento di Gradisca d’Isonzo.

Vakhtang Enukidze fu ammazzato, secondo i testimoni, dalle botte ricevute dalle guardie armate della struttura. A seguito della sua morte tutti i testimoni furono deportati, i loro cellulari sequestrati, la famiglia di Vakhtang Enukidze in Georgia subì forti pressioni per non prendere parte a un processo penale e, ad oggi, non è stato comunicato alcun esito ufficiale dell’autopsia sul corpo.

Grazie al coraggio, alla testimonianza e ai video inviati dai reclusi del Cpr di Gradisca a gennaio 2020, sappiamo che Vakhtang è morto ammazzato dalle botte ricevute qualche giorno prima dai suoi carcerieri, mentre resisteva per rimanere fuori dalla cella a cercare il suo telefono. I giornali locali nel raccontare la vicenda hanno riportato subito la versione della rissa tra detenuti, poi i consulenti del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma dissero che la a morte sarebbe stata causata da un edema polmonare, che evidentemente “colpisce” spesso chi viene pestato a morte, come successe anche a Stefano Cucchi.

È sempre solo grazie ai racconti dei detenuti del Cpr che si sa anche che il 14 luglio Orgest Turia è morto in seguito a un’overdose e un suo compagni di stanza è scampato alla stessa sorte.

Noi non dimentichiamo Vakhtang e Orgest e tutte le persone uccise dallo Stato dentro e fuori dalle sue prigioni, dentro e fuori dai suoi confini. Senza giustizia non ci sarà mai pace.

Comunicato della Fabbrica Rog di Lubiana sullo sfratto – traduzione

Come assemblea no Cpr – no frontiere, in questi anni, ci siamo trovate più volte fianco a fianco dei compagni e delle compagne del Rog di Lubiana, davanti al Cpr di Gradisca così come davanti al centro di detenzione di Postojna in Slovenia. Il Rog è stato sgomberato violentemente qualche giorno fa e, in solidarietà, abbiamo tradotto in italiano il loro comunicato.

AI NOSTRI COMPAGNI INTERNAZIONALI: INVITO ALLA SOLIDARIETÀ

Compagn*! Molte di voi ci siete state, avete combattuto e amato uno dei due squat a Lubiana. Per 15 anni Rog è stato un centro di attività politica nella città e nei movimenti internazionali. Oggi la fabbrica di Rog è stata brutalmente sfrattata. Molte delle nostre compagne sono state picchiate violentemente e arrestate. Chiediamo solidarietà in tutto il mondo. Mostriamo agli oppressori di ogni tipo che stanno scherzando con il movimento sbagliato!

DICHIARAZIONE DELLA FABBRICA ROG SULLO SFRATTO

Martedì, 19 gennaio 2021 alle 7 del mattino, i dipendenti della società di sicurezza Valina sono entrati prepotentemente negli spazi della Fabbrica Autonoma Rog. Con la violenza, usando la forza fisica, hanno ferito alcuni dei suoi utenti e sfrattato tutti. Le nostre cose personali, animali domestici e preziose attrezzature sono stati lasciati all’interno, insieme a 15 anni di sogni, attività, progetti, avventure ed esperienze comuni. La polizia ha innalzato recinzioni intorno a Rog e ha iniziato a picchiare i sostenitori che si radunavano davanti al cancello della fabbrica. All’interno del complesso i lavoratori hanno demolito la maggior parte delle strutture laterali e fracassato le finestre dell’edificio principale che è tutelato come patrimonio. Allo stesso tempo stanno portando via, in un luogo sconosciuto, tutta l’attrezzatura dal Rog. Più di 10 persone sono state trattenute in custodia, tra cui alcuni dei feriti che necessitano di assistenza medica. Non abbiamo accesso a loro né abbiamo informazioni su dove sono stati portati.

Nell’ultimo decennio e mezzo centinaia di utenti hanno utilizzato la Fabbrica Autonoma Rog per le proprie attività e migliaia di persone hanno partecipato a vari eventi nei suoi spazi. Migranti, persone ai margini della società, artisti che non hanno ceduto ai dettami della cultura capitalistica, pattinatori, artisti dei graffiti, artisti del circo e altri, che nonostante le pressioni della capitale, della sicurezza municipale e della polizia, rendono questa città viva e attiva, vita degna di essere vissuta.

Dall’apertura della fabbrica autonoma Rog il Comune di Lubiana non tollera un fatto che si mostri specchio alla loro politica gentrificatrice. Le loro politiche stanno trasformando la città in una Disneyland per i turisti e stanno mettendo il profitto prima delle persone. Questo è il motivo per cui hanno annunciato una guerra totale contro di noi. Dopo anni di procedimenti giudiziari contro gli utenti senza successo e pubblicamente impopolari, le autorità hanno deciso oggi per un’irruzione violenta e una completa demolizione dello spazio. Indipendentemente dal fatto che non abbiano idee o mezzi finanziari per lo sviluppo futuro dell’area. Inoltre, non molto tempo fa le autorità municipali hanno dichiarato pubblicamente di non avere alcun piano concreto per Rog nell’attuale mandato. Non c’erano informazioni su questo attacco ovviamente attentamente pianificato, nemmeno durante la sessione di ieri sera del governo municipale. Dopo tutti questi anni di attività e promozione pubblica del dialogo che il Comune ha da tempo abbandonato, ci aspetteremmo almeno una scadenza decente per concludere i nostri progetti in corso, proteggere i nostri averi e una discussione costruttiva sui piani del comune sul potenziale sfratto degli utenti. Invece, il Comune di Lubiana mentiva al pubblico, ai consiglieri eletti e a noi.

L’attacco al Rog non avviene nel vuoto politico. Negli ultimi mesi stiamo assistendo a vari attacchi alla società civile, Radio Študent, Metelkova 6 e altri attori critici pubblicamente. In tempi in cui l’impegno politico si riduce a un’esposizione pubblica volgare di individui disobbedienti nei media di destra, anche le autorità municipali hanno deciso di utilizzare mezzi ingannevoli sul territorio, che si sta propagando come rifugio sicuro contro i governi attuali di destra. Oggi il Comune di Lubiana ha dimostrato chiaramente da che parte si trova veramente. Lo sgombero delle persone nel mezzo di una grave epidemia è assurdo per il comune che vende continuamente la sua immagine di capitale verde, sociale, culturale e solidale. Dopo la sua campagna infruttuosa per la capitale europea della cultura con il motto “Solidarietà”, tutte le maschere sono finalmente cadute.

Cosa puoi fare a sostegno del Rog?

1. VIENI DAVANTI ALLA FABBRICA AUTONOMA ROG. Dimostriamo loro che non siamo soli. Non possiamo lasciare che gli spazi autonomi cadano uno dopo l’altro! L’attacco a una è l’attacco a tutte!

2. INVIA UNA LETTERA DI PROTESTA A COMUNE E POLIZIA! PUBBLICALA ONLINE! Devono essere ritenuti responsabili dei loro crimini, violenze, profitti e corruzione.

Non possiamo permettere che spazzino sotto iltappeto i loro piani di lucro e gli atti controversi.

3. CONDIVIDI INFORMAZIONI, INVITA AMICI E COMPAGNI.

In questo momento non combattiamo solo per la nostra dignità. Combattiamo per poter esistere in questa città. Combattiamo per tutto ciò che non è capitalistico, gentrificato, privatizzato, educato, ordinato; per tutto ciò che respira liberamente e non si lascia catturare dalla logica del profitto che gestisce la nostra città comune.

Contro la sinergia opportunistica di fascisti, polizia, profittatori comunali e capitale!

Salviamo la Fabbrica Rog!