Di rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione e fughe. La normalità del campo di Gradisca

La lotta dei prigionieri nel campo per senza-documenti di Gradisca continua senza soste. Nelle ultime settimane gli episodi di rivolte, ribellioni e proteste sono stati diversi. Dopo la caduta da un tetto di un giovane prigioniero tunisino nella notte del 10 gennaio (con gravi lesioni alle gambe) e un nuovo incidente cinque giorni dopo, giovedì 16 gennaio si e’ scatenata una protesta incendiaria nella zona rossa. Il 21 gennaio, dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte: la polizia è entrata nelle celle, caricando i detenuti e sequestrandogli i telefoni, che sono stati riconsegnati solo più tardi. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti. Martedì l’agitazione è cresciuta ancora: uno sciopero della fame collettivo è sfociato in una nuova rivolta con fuoco nell’area rossa. La polizia è intervenuta con lanci di lacrimogeni e getti d’acqua, com’è successo di nuovo durante la notte, quando alcuni detenuti avrebbero tentato la fuga, tra le nubi di fumo del campo.

Le motivazioni delle rivolte sono strutturali, sia per le condizioni di detenzione nel centro come per la sua stessa natura, di lager di tortura. Si susseguono scioperi della fame per la pessima qualità del cibo e la somministrazione di psicofarmaci assieme ad esso. Cio’ avviene con la complicità e necessaria collaborazione della cooperativa Ekene, che continua a gestire il centro in proroga, in attesa della nuova assegnazione in seguito alla gara d’appalto per la sua gestione indetta nel giugno del 2024 e chiusasi a settembre, nel corso della quale sono state presentate quattro offerte.

Spesso le guardie in antisommossa entrano nelle gabbie esterne alle camerate manganellando chiunque si trovi a tiro, ma questo non impedisce ai prigionieri di reagire, continuando a minare e sabotare pezzo per pezzo la tenuta del campo, che sembra al momento contenere molti meno prigionieri di quelli riportati dalla stampa locale e nei comunicati delle stesse guardie.

Se non possiamo che essere contenti che i cosiddetti costi “materiali e sociali” di cui si lamentano politicanti locali e guardie non facciano che aumentare rivolta dopo rivolta — attualmente l’operatività della struttura sarebbe già “seriamente compromessa” —, ribadiamo che gli unici “costi umani” sono quelli dei prigionieri rinchiusi in questi luoghi di tortura, umiliazione e morte, non certo quelli degli assassini con o senza divisa che ne permettono l’esistenza e il funzionamento.

Aggiornamento: dopo due giorni di rivolte, la cosiddetta area rossa del campo – collocata nel mezzo dell’ex-caserma, tra le aree verde e blu – è stata completamente devastata e nessuno si trova più al suo interno. Otto prigionieri sono stati trasferiti nell’area blu, mentre 35 di loro sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.
Sono poi avvenute perquisizioni con l’impiego di squadre antisommossa nelle camerate.

FUOCO AI CPR E A TUTTE LE GALERE
TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE

Contro il razzismo di stato: uno sguardo sulla detenzione amministrativa

Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca

17 gennaio 2024 – ore 18

Via Tarabocchia 3, Trieste

La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.

In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).

La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.