CHE COS’È UN CPR?
CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti irregolari istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.
Il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) prevede l’apertura di un CPR per regione. In FVG, dovrebbe essere riaperta la struttura di Gradisca d’Isonzo, ex caserma convertita in CIE nel 2006 e chiusa nel 2013, grazie alle rivolte di chi vi era rinchiuso.
Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono costrette in stato di reclusione persone non comunitarie che vengono ritrovate prive di documenti regolari di soggiorno oppure già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno, perché scaduto o perso. Spesso le persone diventano irregolari perché scade il visto turistico o di studio, perché perdendo il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno o perché si sono viste rigettare la richiesta di asilo politico.
Il trattenimento può durare fino a 90 giorni, che diventano 120 giorni se la persona è già stata detenuta in carcere o 12 mesi nel caso la persona detenuta in CPR inoltri una domanda di asilo.
FUNZIONE UFFICIALE
In teoria, lo scopo dei CPR è trattenere una persona ai fini dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, cioè del rimpatrio nel Paese d’origine. I centri dovrebbero quindi garantire l’effettiva espulsione di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia. Di fatto, nel corso dei vent’anni di esistenza di queste strutture, il tasso di rimpatrio si è sempre attestato attorno al 50% dei/delle reclusi/e. Nel complesso, si parla di numeri che non hanno nessuna incidenza reale sul fenomeno del soggiorno irregolare in Italia. Tuttavia, rappresentano un considerevole business per le cooperative e aziende che speculano sulla loro esistenza.
Nonostante la loro inefficienza rispetto allo scopo che si prefiggono (il rimpatrio delle persone “irregolari”), la loro funzione rimane assolutamente inaccettabile per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. Ne sono prova i numerosi casi di scioperi della fame e autolesionismo – nei CPR ad oggi aperti – per evitare il momento del rimpatrio.
FUNZIONE EFFETTIVA
I CPR, come già i CIE e i CPT, servono per rafforzare il mantenimento di tutta la comunità di non cittadine/i in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttabilità, con un duplice risultato: da un lato impedire qualsiasi tipo di rivendicazione da parte di chi potrebbe potenzialmente essere rinchiusa/o; dall’altro, potenziare una segregazione razziale nelle leggi, con conseguenze sull’immaginario collettivo. I CPR si configurano infatti come un non-luogo dove alcune persone possono essere private della libertà senza che abbiano commesso alcun tipo di reato penale (contrariamente all’ordinamento costituzionale italiano) a causa principalmente del loro luogo di nascita. Sono dispositivi di controllo che instaurano una differenza tra cittadini/e dotati/e di diritti e garanzie, e non cittadini/e che di tali diritti e garanzie possono essere privati/e, potenziando e contribuendo a mantenere operativa tra gli esseri umani una gerarchia globale basata su razzializzazione, classe e passaporto, con le tragiche conseguenze a cui questo sta portando e ha già portato nella storia.
I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a fare credere ai cittadini italiani che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.
I CPR creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passato/a e da chi si è opposto/a alla loro esistenza.
LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR
In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio da parte dei migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica trasversale, che da vent’anni definisce e affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando la libertà di muoversi per cambiare le proprie condizioni di vita alle persone considerate indesiderabili.
Oggi la richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese d’origine economicamente indesiderato. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e anche i permessi per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.
Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera incessantemente i problemi che in teoria dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.
Dovremmo chiederci in caso cosa sta portando molte persone a migrare e riconoscere e le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e condizioni di vita dei Paesi sfruttati economicamente ed energeticamente.
RIBELLIAMOCI AL RAZZISMO
È necessario uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza da risolvere e abbattere l’immaginario che ammette lo/la straniero/a solo in quanto profugo/a.
L’attuale sistema ha come principale risultato la costruzione di soggetti fragili, marginali, detentori di diritti precari e di serie B. A trarne vantaggio è prima di tutto chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, che ha un’arma in più per imporre salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.
Per questi motivi ci opponiamo all’apertura del CPR a Gradisca d’Isonzo e pretendiamo l’abolizione definitiva delle strutture su tutto il territorio italiano, affermando l’urgenza di contrastare il discorso politico razzista e securitario di cui i CPR sono un esempio.
…ORA!
In FVG, il presidente Fedriga ha dato la disponibilità all’apertura di ben più di un CPR, accogliendo il sostegno dei sindaci di Trieste, Udine e Gorizia.
Inoltre, sta contemporaneamente militarizzando sempre più il confine triestino, con la possibilità che la pratica dei push-backs (respingimenti immediati illegali oltre il confine europeo senza permettere la richiesta d’asilo) – già sistematica e violenta in Slovenia e Croazia – si estenda anche in Italia.
Il pacchetto sicurezza statale, in procinto di essere discusso a settembre 2018, prevede l’aumento del numero di CPR, della loro capienza, della durata massima della detenzione nonché l’aumento della lista dei reati che portano alla perdita del permesso di soggiorno e quindi al potenziale internamento.
L’apertura del CPR di Gradisca di Isonzo sembra quindi essere un primo passo di un progetto razzista più ampio a cui crediamo sia determinante porre resistenza al più presto, perchè non diventi operativo.
Per tutto ciò sentiamo la responsabilità urgente di unirci ed organizzarci in regione tra persone per mettere in atto una resistenza concreta al razzismo e a chi lo perpetua, in solidarietà con chi migra e chi ne sta già vivendo le conseguenze più aspre.
SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE! NESSUN CPR APRIRÀ!
Qui il link per scaricare la versione stampabile: COS’È-il-CPR-04-09-2018