Ieri moltissimi mezzi d’informazione davano grande risalto alla notizia che sono escluse le percosse dalle cause della morte di Vakhtang Enukidze. Questo sulla base di indiscrezioni fatte trapelare da avvocati e medici prima degli esiti ufficiali dell’autopsia sul corpo. Si tratta degli stessi mezzi d’informazione che il 15 gennaio titolavano che la causa della morte era da imputare a una rissa tra detenuti. A detta dell’avvocato che sta seguendo il caso, l’autopsia ha rilevato che la causa della morte è stato un edema polmonare. Ma quali sono state le cause di quell’edema? Davvero non c’entrano niente le botte ricevute qualche giorno prima?
Noi sappiamo, perché ce l’hanno detto i suoi compagni di prigionia rischiando di essere puniti e deportati, che Vakhtang è stato picchiato duramente, che ha battuto la testa nell’ultimo pestaggio e che è stato trascinato via per i piedi «come un animale». Sappiamo che ha chiesto aiuto «con la bava alla bocca» per più di un giorno, senza essere soccorso, per poi morire. Sappiamo, dalla testimonianza della sorella, che Vakhtang era stato sovraccaricato di medicine dal giorno del suo arrivo. Sappiamo che almeno cinque testimoni del pestaggio sono stati frettolosamente deportati nei loro Paesi d’origine nei giorni immediatamente successivi alla morte. Sappiamo che dentro il Cpr, dopo la morte di Vakhtang, è avvenuta un’operazione di “bonifica”: sono stati sequestrati i telefoni dei detenuti tramite i quali erano filtrate le prime testimonianze sul pestaggio di Vakhtang; sappiamo anche che dentro i Cpr le telecamere dei cellulari vengono sistematicamente distrutte all’entrata. Sappiamo che dentro i Cpr le violenze delle guardie sono quotidiane.
Sappiamo tutto questo, e per questo non accettiamo questa ultima versione riportata dai giornali, che non considera le circostanze della morte di Vakhtang. Se una persona muore mentre è nelle mani dello Stato, in un luogo già in sé violento e oppressivo, sedata da un sovraccarico di farmaci, dopo aver subito un pestaggio da parte delle cosiddette forze dell’ordine, dopo aver atteso i soccorsi per più di 24 ore, lo Stato e le guardie del Cpr sono responsabili di quella morte. A fronte dello sforzo mediatico per oscurare le circostanze della morte di Vakhtang e risolvere il caso appellandosi a un problema dell’apparato respiratorio, noi ripetiamo che Vakhtang è un morto di Stato.
Tuttavia, noi non siamo contro i Cpr perché sono strutture gestite male o perché i reclusi hanno pochi diritti, e nemmeno perché sono luoghi dove si può morire senza ricevere cure mediche, com’è successo a Vakhtang. Siamo contro i Cpr in sé, perché sono luoghi di morte anche quando non muore nessuno, perché fanno parte di un sistema massacrante che crea gerarchie tra le persone a seconda di dove sono nate.