Nessun giustizia per Vakhtang finché le mura del CPR non crolleranno [Iniziative]

Presentazione dell’iniziativa e discussione

Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione

Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30


L’allora Cpt di Gradisca apre nel 2006 in conseguenza della legge “Turco-Napolitano” voluta dal centrosinistra. La morte di Majid El-Khodra, caduto dal tetto durante una rivolta, porta alla sua chiusura nel 2013. Anni dopo, nel 2019, il campo di deportazione per persone senza documenti riapre come CPR, sotto la gestione della coop Ekene di Battaglia Terme (PD). Cambia il nome, ma non la sostanza: apice fisico del razzismo di Stato e delle sue imprese coloniali, come tutte le carceri è luogo di tortura e annientamento al suo interno, dispositivo di controllo e minaccia tramite il ricatto che esercita sui “liberi”, all’esterno.

Dal 2019 a Gradisca si susseguono le vittime della macchina espulsiva: quella di Vakhtang Enukidze dopo un pestaggio da parte delle guardie (gennaio 2020), quella per overdose di Orgest Turia (luglio 2020) e quelle per suicidio di Anani Ezzedine e Arshad Jahangir, ma il lager democratico non ha mai smesso di essere operativo.

Per la morte di Vakhtang Enukidze è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo della cooperativa Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Spacciati dai media come “mele marce”, si tratta in realtà dei piccoli ingranaggi della macchina di oppressione e sfruttamento che sulla vita degli ultimi e dei marginali genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali.

Il tribunale da un lato finge di elargire la “giusta” giustizia di Stato a due suoi complici, dall’altro è il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti rastrellate in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

Il processo contro due aguzzini di Ekene, a prescindere del suo esito, non servirà se non a ripulire e oliare la macchina: le coop continueranno a fare affari, il CPR a torturare.

I Cpr, quando sono stati chiusi, lo sono stati sotto il fuoco e i colpi delle rivolte dei prigionieri al loro interno. A loro va tutta la nostra solidarietà e supporto. Finchè di quelle mura non resteranno che macerie.

Per tutto questo vi invitiamo a un doppio appuntamento:

·  Presentazione e discussione – Casa del Popolo di Gorizia (piazza Tommaseo 7), venerdì 28 febbraio, ore 18:30

·  Presenza solidale con i detenuti del CPR in rivolta e con i/le solidali colpitx dalla repressione – Tribunale di Gorizia (via Nazario Sauro 1, di fronte al giudice di pace), martedì 4 marzo, ore 10:30

Assemblea No CPR FVG

Assemblea permanente contro carcere e repressione del Friuli e di Trieste


VERSIONE ESTESA

Storia del CPR di gradisca: oppressione razziale, morti di stato

Il Cpr di Gradisca d’Isonzo apre nel 2006, sotto la gestione della cooperativa goriziana Minerva, nel sito dell’ex-caserma “Polonio”. Assieme ad altre prigioni per senza-documenti volute dall’allora governo di centrosinistra con la legge 40/1998 “Turco-Napolitano”, rappresenta l’apice del razzismo di stato, il complesso sistema costruito sulla detenzione amministrativa, la deportazione, il perenne stato di oppressione razziale a cui sono sottoposte le persone lungo le linee della razza, del colore, della classe.

Nel 2013 scoppia una grande rivolta repressa brutalmente dalle guardie, durante la quale Majid El-Khodra cade dal tetto, morendo dopo otto mesi di coma. L’allora CIE viene dunque chiuso. Nel dicembre del 2019 riapre con la denominazione di CPR – altro decreto del centrosinistra, il “Minniti – Orlando” del 2017 – questa volta sotto la gestione della cooperativa Ekene di Battaglia Terme (PD).

Poche settimane dopo la riapertura, tre detenuti riescono a scappare dal centro. In quei giorni sono numerosi i casi di autolesionismo (incluso un tentato suicidio), dovuti alle dure condizioni di detenzione al suo interno. Il 18 gennaio 2020, Vakhtang Enukidze muore pochi giorni dopo aver subito un pestaggio all’interno del CPR da parte delle guardie in assetto antisommossa. Nel luglio dello stesso anno, Orgest Turia muore per overdose di psicofarmaci. Nel dicembre 2021 si toglie la vita nel campo Anani Ezzedine, come farà anche Arshad Jahangir nell’agosto 2022.

Giustizia per Vakhtang

Lo stato normalmente non si autoprocessa, e anche quando finge di farlo, lo fa col fine di autoassolversi, preferendo semmai mettere in piedi delle farse tribunalizie al termine delle quali arrivare a condannare alcune “mele marce”, che poi tanto marce non sono, visto che esso continua a beneficiare volentieri dei loro servigi.

Non ci riferiamo in questo caso solamente alle ormai quasi quotidiane esecuzioni a sangue freddo da parte dei servitori dello stato in divisa, ma anche ai ricchi affari che le Prefetture – quella goriziana in prima linea – continuano a fare con gli aguzzini senza divisa che gestiscono i Cpr, le cosiddette coop “dell’accoglienza” e tante piccole e medie imprese del territorio coinvolte nelle sua esistenza. La prefettura goriziana foraggia infatti la coop Ekene di Battaglia Terme (Padova) perchè continui a “gestire” il Cpr di Gradisca d’Isonzo, sebbene responsabile della morte di almeno cinque persone, quattro nel campo gradiscano dal 2020 ad oggi ed una nel campo di Conetta (Venezia), dove nel 2017 morì Sandrine Bakayoko.

Per la morte di Vakhtang Enukidze, ucciso nel Cpr di Gradisca da un pestaggio di un gruppo di anonime guardie nel gennaio 2020, è in corso oggi un processo che vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo di Ekene, e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa. Questi che si vorrebbero additare come unici responsabili non sono “mele marce” di un sistema riformabile perchè ancora “inefficiente e costoso”, sono invece due piccoli ingranaggi della vasta macchina di ricatto e sfruttamento su base razziale, che sulla vita dei più marginali e ricattabili genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali. Il processo in corso, a prescindere da quale sarà il suo esito, serve proprio a far sì che la macchina continui a girare a pieno regime una volta “ripulita” e nuovamente oliata: le coop continuano a fare affari, le guardie e il CPR a torturare. Il CPR continua ad esercitare la propria funzione di ricatto e di terrore nei confronti di tutte le persone straniere.

Non solo, questa vasta macchina che è il dominio non tollera che qualcuna o qualcuno esca dall’automatismo psicologico che porta alla “normale” sopportazione dell’esistenza della tortura, non tollera che qualcuno sia ancora in grado di sentire il dato intuitivo che accanirsi su persone inermi è disturbante. Quindi colpisce nel silenzio generalizzato con procedimenti giudiziari anche quei solidali che con determinazione si sono mobilitati negli ultimi mesi.

Il sistema della detenzione amministrativa

Il tribunale non è solo il luogo in cui nessuna vera “giustizia” potrà essere stabilita – banalmente, il sistema Cpr in cui è morto Vakhtang continuerà ad esistere a prescindere dalla sentenza – ma è anche il luogo in cui si decide durante udienze-farsa dell’internamento delle persone senza-documenti, fungendo da cinghia di trasmissione per gli ingressi nel Cpr di tutte le persone che la polizia rastrella in tutto il nord-Italia. La figura a questo deputata è il giudice di pace – a Gorizia, Giuseppe La Licata – assieme ai suoi collaboratori.

La detenzione amministrativa, come nei regimi coloniali (su tutti l’entità sionista israeliana), è la forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione che corona il sistema di sfruttamento e divisione razziale: uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e più in generale nel controllo della popolazione straniera. Basti guardare all’estensione del trattenimento amministrativo: dal nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania. Agli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti ai nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri. Ma anche per i cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente come nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Le rivolte e la voce dei prigionieri

Le rivolte e le ribellioni, grandi e piccole, scandiscono da sempre l’esistenza del Cpr di Gradisca. Di queste sappiamo, più che dai giornali (sempre a fianco della narrazione securitaria del potere), per le voci – e le immagini – che riescono ad uscire e a diffondersi all’esterno del campo. Per questo è fondamentale mantenere i contatti con l’interno, per una comunicazione solidale che dia voce a chi viene schiacciato dalla violenza di stato.

L’ultima ondata di rivolte è iniziata lo scorso capodanno, quando alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Qualche settimana dopo sono scoppiati degli scontri tra detenuti e guardie che si sono protratti per due giorni, raggiungendo un apice quando diversi fuochi sono stati accesi durante la notte nelle aree delle celle. La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si era ribellato e 35 detenuti sono stati poi trasferiti in carcere o deportati in Tunisia e Marocco. Ma le rivolte non hanno portato soltanto repressione: un’intera sezione del CPR, l’area rossa, è stata resa “inagibile” e perciò chiusa temporaneamente. Così, come già successe al Cpr di Torino nel 2023, il fuoco dei ribelli è riuscito a sottrare, ancora una volta, preziosi spazi alla macchina razzista e classista delle deportazioni.